RIBALTONE di Valdo Spini 6 novembre 2020
06 novembre 2020
Alla
fine, Joe Biden ce l’ha fatta. Questo anziano combattente politico (classe
1942) era stato il più giovane senatore della storia degli Stati Uniti, eletto
nel 1972 nel piccolo stato del Delaware e riconfermato per sette mandati
consecutivi. Tenace e volitivo nella sua gentilezza e nella sua moderazione ha
saputo aspettare il suo tempo prima di tagliare questo traguardo.
Nel luglio 1987 il senatore Joe Biden, in viaggio in Italia, passò da Firenze e
ci incontrammo al Circolo Rosselli allora situato dietro due lunette
semicircolari sotto i portici di piazza Libertà 16. Voleva scambiare opinioni
sulla situazione internazionale, sui rapporti Usa-Italia, sulla politica in
genere, con una persona della sua età e dei suoi interessi. Mi raccontò di come
era stato colpito dalla perdita della moglie in un incidente d’auto subito dopo
la sua elezione. Mi disse che si stava preparando alla campagna della
nomination democratica che si sarebbe svolta in vista delle elezioni
presidenziali del 1988. Si dimostrò una personalità molto interessata ai
rapporti internazionali e al nostro paese in particolare. E il fatto che la
conversazione sia avvenuta in un Circolo intitolato ai fratelli Rosselli dà per
me un significato particolare a questo incontro.
In autunno però Biden fu costretto al ritiro dalla campagna per la nomination
democratica, ma continuò ad essere eletto al Senato che lo vide tra i suoi
protagonisti, fino a riemergere venti anni dopo, nel 2008 come running mate
nella campagna elettorale di Barack Obama di cui fu il vicepresidente per otto
anni. Avrebbe corso volentieri per succedergli, ma Hillary Clinton era in quel
momento troppo forte. Ma ancora una volta Biden ha saputo aspettare e
finalmente i fatti gli hanno dato ragione. Il Partito democratico aveva bisogno
di una figura come la sua per ritornare alla Casa Bianca in un’America spostata
così radicalmente verso destra.
Sono state significative le dichiarazioni sensate, pacate, ragionevoli con cui
il candidato democratico ha accompagnato le prime, tormentate fasi dello
scrutinio elettorale, dimostrando da un lato sicurezza nella vittoria e
dall’altro volontà di unire il paese.
Gli Stati Uniti, nelle scorse elezioni presidenziali del 2016, erano stati
oggetto di un fenomeno pesantemente avvertito anche nelle nazioni europee. Si
era pensato che il processo di globalizzazione, oltre a migliorare le
condizioni di vita di varie centinaia di milioni di abitanti del Continente
asiatico avrebbe migliorato le condizioni di vita e di potere anche delle
classi medie e delle classi lavoratrici dei paesi economicamente più avanzati.
Ed invece non è stato così almeno per larghe aree del mondo occidentale,
investite dai processi di delocalizzazione e dalle trasformazioni tecnologiche.
Di qui il crescere dei lepenisti in zone tradizionalmente socialiste in
Francia, la crescita della Lega in Italia settentrionale anche tra gli operai e
così via con varie modalità a seconda delle tradizioni sociopolitiche delle
varie nazioni. È la nascita e lo sviluppo del sovranismo identitario con metodi
populisti. Negli Usa la predicazione sovranista-identitaria aveva fatto vincere
Trump negli stati cosiddetti blue collar, negli stati delle tute blu
degli operai bianchi.
Un politico avvertito come Biden era maggiormente in grado di recuperare una
situazione di questo genere: vecchi elettori democratici potevano ritrovare in
Biden il “loro” partito. Ma certamente il colpo all’immagine di Trump, che
poteva vantare delle cifre positive in economia, è venuto dall’esplodere del
Covid19. ll Presidente ha perso la testa di fronte all’espandersi della
pandemia del Covid 19 ed ha assunto una posizione negazionista, ostentata anche
in campagna elettorale, del tutto in contrasto con le necessità del
contenimento di questo flagello. Certamente, questo ha influenzato l’esito del
voto anche se in misura inferiore al previsto, a causa della mobilitazione di
tutto l’elettorato della destra profonda degli Usa che il Presidente uscente ha
saputo operare.
Le elezioni hanno peraltro dato la dimostrazione di un paese profondamente
diviso. Non c’è dubbio che quello di Trump è in larga parte il suo proprio
elettorato, conquistato dalle sue posizioni estreme, piuttosto che l’elettorato
del Partito Repubblicano vecchio stile. Riscontriamo questa divisione anche nei
risultati delle elezioni per il Congresso (il Parlamento Usa) dove pare che in
Senato i democratici non riescano ancora, al momento, a rovesciare la
maggioranza repubblicana mentre si restringe quella che detengono alla Camera
dei Rappresentanti. È vero che gli Usa sono una repubblica presidenziale, ma è
altresì vero che i poteri del Congresso e del Senato in particolare, sono molto
forti, e questo problema si farà sentire.
Il paese è lacerato e diviso anche per il risorgere di conflitti razziali,
dalla forza delle lobbies come quella delle armi, dal rifiuto di una parte
dell’economia e della società di portarsi sul percorso della riconversione
ecologica. (Vedi l’uscita di Trump dagli accordi di Parigi). Biden avrà il suo
da fare per riunificare il paese che è il suo obiettivo dichiarato.
Qualche indicazione politica che ci può riguardare più direttamente:
Democratici e socialisti
Biden ha potuto giovarsi
dell’appoggio di un altro anziano senatore, Bernie Sanders, che non ha avuto in
questi anni timore a dichiararsi socialista e che aveva dimostrato grande forza
sia nelle primarie di quattro anni fa che in queste. L’unità del Partito
Democratico che Biden ha saputo realizzare è passata anche per la scelta di una
running mate progressista come Kamala Harris, senatrice della California. La
prima donna eletta alla vicepresidenza nella storia degli Usa. Questa unità del
Partito Democratico ha permesso una mobilitazione senza pari dell’elettorato.
Hanno votato quasi 160 milioni di americani in una percentuale che si calcola
al 66.8% la più alta dal 1900! Le elettrici e gli elettori di ambedue gli
schieramenti hanno sentito tutta l’importanza della posta in gioco.
Una vicenda che potrebbe essere paradigmatica: le forze di centro-sinistra
devono saper trovare al tempo stesso maggiore convergenza tra di loro e
maggiore qualificazione sociale nel loro messaggio.
Usa- Europa
Donald Trump non aveva perso
un’occasione per indebolire l’Unione Europea, spalleggiando Boris Johnson nella
Brexit, annunciando un consistente ritiro delle truppe Usa dalla Germania,
dimostrando scarso interesse per lo sviluppo della U E. Il pedigree di Biden,
che ha ricoperto anche la carica di Presidente della potentissima commissione
esteri del Senato, parla in un senso molto diverso. L’Unione Europea, con la
sua “maggioranza Ursula”, ovvero della presidente della commissione europea
Ursula Von der Layen, deve immediatamente attrezzarsi ad un’iniziativa politica
di dialogo e di costruzione di risposte comuni con il nuovo presidente
americano.
Lo stesso dialogo che deve riprendere in sede Nato, che è apparsa priva di una
missione e di un dialogo comune durante la Presidenza Trump.
E tutto questo riguarda anche l’Italia, naturalmente.
Elezione Diretta del PresidenteNegli Usa, il Presidente è forte perché è eletto
direttamente dai cittadini, così come lo sono i senatori anch’essi eletti
direttamente nei loro stati per sei anni. Anche i deputati (membri della camera
dei rappresentanti) sono eletti in un collegio, ma, durando due anni, sono più
deboli.
Ci si può domandare se il fenomeno Trump sarebbe stato possibile senza
l’elezione diretta del Presidente e, parallelamente, ci si può anche domandare
se i democratici avrebbero vinto questa volta senza l’elezione diretta di una
personalità come Joe Biden. A giudicare dai risultati di Camera e Senato si
direbbe proprio di no. Viene quindi da interrogarsi se la necessità di sintesi
e di convergenza che l’elezione diretta impone non sia in genere di giovamento
alle forze democratiche e del centro-sinistra troppo spesso divise e
frammentate.
Green Deal
Pochi giorni fa gli Stati Uniti sono usciti dagli accordi di Parigi contro il riscaldamento climatico al termine di un iter promosso da Trump dopo la sua elezione. Si ricorderà che Usa e Cina insieme totalizzano il 50% di emissioni di gas ad effetto serra e l’uscita degli Stati Uniti ne provoca quindi un indebolimento sostanziale. Joe Biden ha tutte le intenzioni di riportare gli Usa negli accordi di Parigi. Non so se i repubblicani nel Congresso saranno capaci di impedirglielo, ma in tutti i casi anche su questo terreno il dialogo e la collaborazione con l’Unione Europea riprenderà. Come ben sappiamo il terreno della transizione ecologica è determinante per la costruzione della società del post Covid 19 e quello dell’ambiente è un tema cui tutti i cittadini consapevoli, ma in particolare le nuove generazioni, sono molto sensibili.
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