REFERENDUM LOMBARDIA. PERCHE' VOTARE NO! di Giuseppe Nigro
16 ottobre 2017
Il referendum indetto per il 22 ottobre e intitolato all’autonomia regionale, si fonda sul comma 3 dell’art. 116 della Costituzione, che chiama in causa i concetti di diversificazione e di decentramento.
Sul primo tema della diversificazione: il ritornello leghista riguarda il tema della ricchezza e il residuo fiscale. I famosi 54 miliardi che finiscono allo stato e non rientrano in Lombardia.
Far credere che la crescita sia un merito soltanto regionale è una mistificazione teorica: nel mondo la crescita non si distribuisce uniformemente sul territorio e gli studi più recenti dimostrano che è più elevata nelle grandi agglomerazioni. Persino in Lombardia la crescita è diversificata e vi sono province che crescono meno di altre. Non è casuale quindi, se per assecondare la crescita, si sia recentemente favorito, seppure in modo maldestro, la formazione delle Città metropolitane (agglomerati).
In Italia le differenze di Pil pro capite, quelle che producono le differenze del gettito fiscale sono da ricondursi, in modo prevalente, ai livelli occupazionali delle diverse aree del paese. Dire che c’è un saldo fiscale positivo in Lombardia, non è dire tutto, quindi.
Far credere che il trasferimento di tutte le competenze previste dall’art. 117 della Costituzione (le materie concorrenti) porti con sé il trasferimento di tutte le risorse (ancorché residuo fiscale) è una fantasia. Il residuo fiscale è il risultato di somme algebriche, la differenza fra spesa pubblica approssimativamente uguale sul territorio nazionale ed entrate tributarie differenti. Si è già detto, però, quanto pesa l’occupazione e di conseguenza gli imponibili su questo argomento.
Ulteriore questione: come calcolare il residuo fiscale in rapporto alla spesa per interessi sul debito è fatto piuttosto controverso. Come si differenzia questa spesa?
Sul secondo tema del decentramento. È quasi scontato che regioni come la Lombardia rivendichino, per sviluppo economico, il “commercio estero”. Tutto questo è già previsto dall’art. 117, comma 3 della Costituzione. Se nulla è accaduto fin qui, è perché le regioni non si sono attrezzate adeguatamente e/o per carenza di risorse.
Se trascuriamo i sindaci del Pd che si schierano per il Sì, alimentando confusione e ambiguità intorno al referendum della Lega, gran parte del mondo della sinistra lombarda ha assunto in questa vicenda una posizione agnostica. Ha preferito scegliere l’astensione e perdere l’occasione per rilanciare una discussione sulla riforma dello stato.
C’è un dato preoccupante nel dibattito pubblico, piuttosto scarso, a dire il vero, di questi giorni sul referendum ed è l’assenza di parole come solidarietà, coesione, comunità (territoriale, nazionale). Mentre invece, in un momento di forte aumento delle disuguaglianze territoriali e fra le persone , avremmo bisogno di sottolineare e rilanciare politiche pubbliche di assistenza, di sostegno ai cittadini in difficoltà.
Voto No! Perché la questione settentrionale si risolve soltanto in chiave federale, mentre il referendum di Maroni adombra separatismo e frantumazione, una deriva i cui esiti non sono calcolabili.
Voto No! Perché astenersi è una posizione ambigua. Perché il federalismo che andrebbe perseguito è una forma avanzata di solidarietà fra individui, comunità e territori.
Voto No! Perché la sinistra ha il dovere di fare chiarezza, in Lombardia, in particolare, per quello che rappresenta nel contesto nazionale, dove le prossime elezioni regionali non possono ridursi a mere alleanze tattiche contro il centrodestra.