QUATTRO PILASTRI PER NON CRESCERE di Gianmaria Pica dal Riformista del 6 agosto 2011

21 agosto 2011

QUATTRO PILASTRI PER NON CRESCERE di Gianmaria Pica dal Riformista del 6 agosto 2011

La Bce boccia il piano italiano per la crescita. Secondo fonti dell’Eurotower, il nostro paese deve fare di più sul fronte dell’austerity. A rischio l’acquisto dei nostri bond. Come direbbe Bartali: «L’è tutto sbagliato, tutto da rifare». La Banca centrale europea, dunque, resta divisa sulla possibilità di acquistare bond italiani. Anche i membri che sostengono il nostro paese, pensano che l’Italia debba fare di più sul fronte anti-deficit. Quanto alle misure annunciate ieri dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, alcuni osservatori vicini all’istituto Ue hannorisposto: «Non crediamo che siano sufficienti quei quattro pilastri, anche se vanno nella direzione giusta. Bisognerebbe fare un po’ di più in quanto la maggior parte delle misure non si attueranno prima delle elezioni del 2013». Situazione generale aggravata anche dal declassamento del rating del debito americano da parte di Standard and Poor’s. All’interno della Bce c’è preoccupazione per la reazione dei mercati di lunedì prossimo. Per questo motivo, c’è chi auspica una teleconferenza di Trichet con i governatori delle banche centrali, nel weekend, per valutare eventuali nuove mosse. Una telefonata che, probabilmente, si terrà già oggi: al centro della riunione in conference call le possibili misure di intervento nell’eurosistema (anche i ministri delle Finanze del G7 affronteranno i problemi della crisi sui mercati finanziari in una conference call). I quattro pilastri non sono stati bocciati solo dalla Bce. Malumori anche da parte dell’opinione pubblica italiana. Il piano per rilanciare la crescita italiana - ricordiamo: l’anticipazione il pareggio di bilancio al 2013; la modifica degli articoli 41 e 81 della Costituzione; la riforma dello statuto dei lavoratori; la riforma assistenziale e fiscale - sono stati bocciati anche dal “maestro” di Giulio Tremonti, Franco Reviglio. Per il professore, affinché l’Italia riacquisti la fiducia dei mercati deve adottare «una manovra coraggiosa» in grado di «invertire le aspettative», puntando al pareggio di bilancio «già nel 2012». Insomma, colui che ha scoperto le “potenzialità” dell’attuale capo del Tesoro, sollecita un vero e proprio elettroshock. Non è un caso che Reviglio nel 1992 - anno in cui fu varata la famosa manovra “lacrime e sangue” da 90mila miliardi di lire che avviò il risanamento dei conti che poi avrebbe portato l’Italia nell’euro - era ministro del Bilancio. Insomma, secondo l’ex ministro, il governo attuale dovrebbe avere lo stesso coraggio del ’92. «Come allora - spiega - molto dipende dai tedeschi. Il punto è vedere se l’annuncio del nostro esecutivo convince i tedeschi. Mi auguro di sì, ma temo che non basterà». Per comprendere al meglio le parole di Reviglio vale la pena fare un salto indietro nel tempo di qualche anno. Nel ’92 l’Italia stava per collassare. La Germania aveva minacciato di non sottoscrivere più i titoli del nostro debito. La gente aveva iniziato a ritirare i depositi dalle banche. All’epoca Reviglio propose al presidente Amato un provvedimento forte, in grado di invertire le aspettative. Una manovra - appunto - da 90mila miliardi di lire. Oggi servirebbe lo stesso coraggio. Il prima possibile, anche perché il prossimo anno scadranno 170 miliardi di titoli del debito. Anche le parti sociali, sembrano essere scoraggiate dal nuovo piano del governo. La Cgil fa sapere che «l’anticipazione della manovra peserà sui ceti più disagiati senza affrontare le questioni sociali aperte, l’impoverimento di famiglie e lavoratori e la crescente ingiustizia sociale». E sullo statuto dei lavoratori, il sindacato di Corso d’Italia afferma che «il principio fondante è assolutamente inaccettabile quando stabilisce che i diritti debbano discendere dalla tipologia di impiego». Banche, ssicurazioni e mondo delle imprese fanno sapere - con un comunicato congiunto sottoscritto da Abi, Alleanza cooperative, Ania, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria e Reteimprese - che per procedere alle liberalizzazioni «non c’è alcun motivo di attendere una modifica dell’articolo 41 della Costituzione, in sè positiva». Chiedono anche di «anticipare i tagli ai costi della politica: sarà altrimenti molto difficile chiedere sacrifici al Paese». Solo i membri del governo promuovono i quattro pilastri. Per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, «c’è un’area vasta, politica e sociale, della responsabilità nazionale che è pronta a entrare nel merito delle misure per la stabilità e di quelle per la crescita». Si fanno i conti senza l’oste.

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