QUANDO D'ALEMA SPARIGLIA - di Attilio Mangano

31 gennaio 2007

QUANDO D'ALEMA SPARIGLIA - di Attilio Mangano

Sabato scorso 20 gennaio all'assemblea delle sezioni DS Massimo D'Alema ha dichiarato che " Il vasto campo di forze progressiste non è racchiuso nel termine socialismo, Il socialismo è solo uno dei filoni della storia.Persino la parola sinistra non è onnicomprensiva. D'altra parte per noi il socialismo è stato un approdo relativamente recente e allora perchè attaccarvisi con pervicacia come fa Mussi quando ci sono partiti come i democratici americani che si sono opposti alla guerra in Iraq con molta maggiore convinzione di alcuni socialisti europei? Il socialismo non è più un totem intoccabile, anche il socialismo europeo sente il bisogno di andare al di là dei propri limiti". E ha concluso osservando che quasi sicuramente nel nuovo partito democratico egli si troverà ad avere una posizione " più a sinistra" di quella che ha avuto ed ha oggi. La commentatrice del “ Corriere della sera” ha osservato a sua volta che con questo tipo di intervento D’Alema ha per cosi dire “sparigliato”, ovvero cambiato le carte in tavola imponendo un livello diverso di discussione rispetto a quello prevalente. Cosa anche possibile e per certi versi tipica dell’intelligenza del nostro e anche delle sue capacità di “bricoleur”. Credo però che non vada colto in questo un atteggiamento tattico-strumentale del nostro ministro degli Esteri ma una riflessione acuta e critica che varrebbe la pena prendere in considerazione sforzandosi di coglierrvi quello che contiene e quello che se ne può invece ricavare anche se non è ufficialmente dichiarato.
Schematicamente:
1. Se il termine SINISTRA nasce storicamente dalla collocazione nei banchi del parlamento in Francia, coi girondini e i giacobini, è vero che “ “il vasto campo di forze progressiste” che vi si colloca ( e si pensi anche alle rivoluzioni inglesi e americane) non ha ancora niente a che fare con il socialismo. Son di sinistra da noi Giuseppe Mazzini ( ostile al socialismo) e Felice Cavallotti, tanto per fare dei nomi. E’ con la nascita delle organizzazioni del movimento operaio e con la Prima Internazionale dei lavoratori che la corrente socialista entra a far parte della sinistra e scattano successivamente le distinzioni fra sinistra democratica e sinistra socialista, sinistra moderata, radicale, borghese, proletaria.
2. Solo con la nascita della corrente mondiale COMUNISTA, che si autoproclama depositaria autentica fino a negare la patente di sinistra ad altre forze ( e al socialismo stesso) e fondare la distinzione fra riformisti e rivoluzionari, comincia la leggenda egemonica che la sinistra o è “ di classe” o non è . E’ vero pertanto che solo con la crisi definitiva del comunismo del 1989 tutte queste definizioni saltano e diviene ragionevolmente obbligatorio ripensare la cosa.
3. L’identificazione fra SINISTRA e MAGGIORANZA ( del popolo) in virtù dell’identificazione tra maggioranza degli sfruttati e degli oppressi e minoranza dei gruppi borghesi dominanti approda, in conseguenza di un preteso primato sociale, verso l’’autoidentificazione tra sinistra,movimento operaio e maggioranza del popolo. In realtà nei sistemi politici occidentali a democrazia parlamentare la sinistra è stata raramente maggioranza. 4. Di volta in volta disprezzato o lusingato, bistrattato o corteggiato, il vasto campo delle forze progressiste ha visto spesso al proprio interno le sinistre di derivazione marxista, socialista, comunista avere un ruolo di forza principale, in cui comunque rimaneva “ aperto” il problema del rapporto con l’insieme delle organizzazioni democratiche, progressiste etc. Se da un lato in alcuni paesi ( ad es Inghilterra, Germania in parte, paesi scandinavi) , il partito del socialismo ha avuto un ruolo di maggioranza ,i comunisti sono sempre stati una minoranza ( anche laddove erano la forza principale della sinistra). Unico caso anomalo appunto quello italiano, in cui il partito comunista, prima ancora di essere maggioranza, ha avuto un ruolo EGEMONE all’interno della sinistra stessa.

La crisi del comunismo come corrente politica della sinistra ha obbligato i suoi dirigenti a prendere atto della loro sconfitta storica ma non a trarne le conseguenze. Nella storia della sinistra occidentale legata ai partiti e alle organizzazioni del movimento operaio i partiti comunisti son diventati minoranze in crisi, i partiti del socialismo ( leggi Seconda Internazionale, socialdemocrazia) sono invece i vincitori di una storica querelle che li voleva seppelliti e incapaci fin dall’epoca della prima guerra mondiale. Né si tratta di un fenomeno solo europeo ma di una rete politica e organizzativa ( leggi Internazionale Socialista) presente nel mondo intero. Al riconoscimento( ispirato dal realismo politico) della propria condizione di minoranza senza sbocco non è seguito un ripensamento dei propri errori, dei modelli teorici, della cultura politica ma il curioso escamotage linguistico e ideologico del passaggio al POST ( leggi post comunismo) come se si trattasse appunto di un passo in avanti che superava di colpo i “limiti” della propria politica equiparandoli al limiti della corrente socialdemocratica, in una prospettiva che andasse OLTRE L’ UNA E L’ALTRA. Tutta da discutere insomma, fin dai tempi della Bolognina, l’ipotesi di una terza via, né comunista né socialdemocratica. Quanto ha pesato l’ambizione di andare oltre elaborando un nuovo progetto politico e non invece l’opportunismo del non fare i conti con la propria sconfitta mantenendo intatta alla base la tradizione organizzativa , i riti e i miti, le fedeltà militanti non dette? Come si spiega il fatto che ancora oggi dopo quindici e più anni oltre il novanta per cento del gruppo dirigente è composto dai quadri dirigenti consolidati dell’organizzazione del Pci?
1. Quando D’Alema dichiara che per noi il socialismo è stato un approdo relativamente recente e che anche il socialismo europeo sente il bisogno di andare al di là dei propri limiti dice una verità senza approfondirne le conseguenze. Il dibattito del socialismo europeo infatti la critica dei suoi stessi limiti l’ha sviluppata e continua a svilupparla da oltre un ventennio, a tal punto che è oggi un punto fermo, storiografico, culturale e politico, la distinzione fra riformismo storico ( o classico) del modello socialdemocratico e riformismo MODERNO, una distinzione elaborata per la prima volta proprio dai socialisti italiani ( Craxi, Martelli) e che riconosce nelle politiche classiche del welfare e dello stato sociale un vizio di STATALISMO , suggerendo la elaborazione di modelli culturali cosiddetti di SOCIALISMO LIBERALE. Al di là delle storie e dei contesti specifici che rinviano a differenze specifiche, sono insomma esponenti del socialismo MODERNO sia Blair che Zapatero, per citare i nomi più significativi ( cui aggiungere, perché no, anche la stessa SEGOLENE ROYAL).
2. Se dovesse approfondire le conseguenze il nostro dovrebbe infatti arrivare, sul piano del giudizio storico politico, a riconoscere come sbagliate e perdenti le poltiche comuniste del dopoguerra ( ammettendo che era giusta la nascita stessa del PSDI di Giuseppe Saragat) e degli anni cinquanta-sessanta ( ammettendo che la politica del centro-sinistra non mirava a “ dividere il movimento operaio” ma ad aprire una nuova fase di trasformazione politica e sociale vincente, che partiva dalla constatazione di Pietro Nenni che coi comunisti non si può vincere). E via di seguito fino al giudizio sulle politiche dei socialisti negli anni ottanta e novanta.
3. Se dovesse approfondire le conseguenze l’intero gruppo dirigente DS, nato e formatosi come gruppo di nuovi dirigenti negli anni di Enrico Berlinguer, dovrebbe appunto fare i conti con la catastrofe politica di un berlinguerismo che vedeva la politica socialista come anomalia per il semplice fatto che ne metteva in discussione la sua pretesa di egemonia.
4. Cosi ancora una volta viene semplicemente aggirato l’ostacolo e pur di non riconoscere quanto sia decisivo per la sua stessa nuova elaborazione di partito democratico fare i conti con i vari tipi di riformismo operanti nella sinistra e nelle culture democratiche si evita tout court di fare i conti col socialismo tutto intero, socialdemocratico e socialista liberale. Dire infatti che esso da solo non basta, che il vasto campo delle forze progressiste è qualcosa che non lo comprende in senso univoco ed esclusivo , o è una banalità o è un falso. Banale perché la storia delle culture politiche della sinistra comprende infatti i Salvemini e i Rosselli, i Mazzini e i Cavallotti, il cattolicesimo sociale e Adriano Olivett. , ha proprio le molteplici sfaccettature a suo tempo incomprese o svalutate. Ben venga il loro recupero e la riclassificazione dei modelli e delle esperienze di tutta intera la sinistra democratica , purchè non serva ancora una volta a mettere da parte il socialismo liberale.

Se “sparigliare” significa porre all’ordine del giorno la ricchezza multipla delle correnti democratiche e socialiste della storia vecchia e nuova della sinistra allora non può essere un mero espediente per parlare d’altro. Non era un certo Karl Marx a dichiarare con ironia che quando ai fa finta di dire le cose per non affrontarle è la storia che si vendica perché infine DE TE FABULA NARRATUR?

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