Quale futuro per le aree disponibili a Milano? Giorgio Goggi, 28 novembre 2015 Circolo Culturale Carlo Cattaneo
05 febbraio 2016
Quale futuro per le aree disponibili a Milano?
Giorgio Goggi, 28 novembre 2015 Circolo Culturale Carlo Cattaneo
E’ il momento di chiedersi quale sia la strategia di localizzazione delle funzioni e dei servizi nella città di Milano e nell’area urbana milanese.
Ci troviamo di fronte a un paradosso: in Milano abbiamo una quantità sempre maggiore di aree disponibili per la rigenerazione urbana e, al contempo, molte importanti funzioni pubbliche vengono destinate fuori città, lasciando a destinazioni di generico mix funzionale -a prevalenza residenziale- le aree urbane collocate in luoghi strategici per l’accessibilità
Qualcuno dice che la “Città metropolitana” richieda una diversa strategia.
Al contrario, se davvero vogliamo che la città metropolitana sia la città di tutti i milanesi (in verità bisognerebbe guardare a tutta l’area milanese lombarda) il criterio di localizzazione dovrebbe essere ancora più rigoroso.
Il criterio di localizzazione -a maggior ragione se si guarda ad un’area più vasta deve essere in favore degli utenti: in luoghi che consentano al più vasto insieme di persone di raggiungere nel modo agevole e diretto il servizio o la funzione cui si rivolgono.
Quindi, non sparpagliare funzioni su tutta la città metropolitana, ma inserire nei nodi della rete di trasporto pubblico in primis, ma senza trascurare la rete stradale.
Solo questo criterio consente la migliore accessibilità alla più vasta platea di utenti.
Nell’area milanese, invece, sono state fatte e si stanno facendo scelte in netta controtendenza.
Dato preoccupante, che in futuro potrebbe generare costi più elevati per l’erario, per le famiglie e le imprese ed amplificare la congestione degli spostamenti nell’area urbana.
Vengono quindi spontanee due domande:
•Quale destino insediativo spetta alle aree attualmente disponibili?
La gran parte di queste è pubblica ed un criterio di buona amministrazione vorrebbe che per le funzioni e le infrastrutture pubbliche essenziali fossero utilizzate innanzitutto le aree pubbliche.
•Esiste una strategia urbanistica di localizzazione delle grandi funzioni in Milano?
Dovrebbe riguardare ospedali, università, uffici pubblici.
Ma anche altre funzioni sono carenti in città come: impianti sportivi amatoriali, strutture per il tempo libero e, ultima ma non per importanza, l’edilizia sociale.
AREA MQ STRUMENTO PROPRIETA'
Scali ferroviari 1.247.631 AdP RFI (pubblica)
Expo 1.048.000 AdP Arexpo (pubblica)
Ex-macello e altro 173.035 Piano attuativo Comune di Milano
Bovisa 420.000 AdP Privata
Totale 2.888.666
Porto di Mare 850.000 Verde PGT Comune di Milano
Ortomercato 678.000 - Comune di Milano
TOTALE 4.416.666
Gran parte di queste aree (tranne Expo) oggi è destinata ad un mix funzionale generico a prevalenza residenziale.
Sembra che la strategia urbanistica sia quella di rendere la città più abitata o più edificata.
Tuttavia, la strategia non dovrebbe essere quella di rendere la città migliore per i cittadini? (Di conseguenza potrà essere anche più abitata).
Questa strategia, invece, sottende l’ipotesi che la domanda immobiliare sia infinita.
Prendiamo in considerazione la bozza di Accordo di Programma per gli scali ferroviari (Figura 5).
Ci sono piccole differenze tra le destinazioni d’uso (riguardano le quote di l’edilizia sociale e lo scalo di San Cristoforo destinato tutto a verde) ma perché queste aree non sono ancor più differenziate?
Perché non si è pensato ad un grande parco, per esempio destinandovi tutto lo scalo di Porta Romana?
Perché non concentrare edificazione terziaria presso la stazione del passante a Farini?
Così gli uffici pubblici, che l’Agenzia del Demanio voleva spostare ad Expo, sarebbero ben più accessibili a tutti gli abitanti dell’area urbana lombarda.
Perché le Università non vengono concentrate sulle aree ex-ferroviarie vicine alle stazioni del passante, come prevedeva il Documento Direttore del Passante ferroviario del 1984 che allora riorientò strategicamente il PRG del 1980?
Altri problemi occorrerebbe sollevare sulla bozza di AdP degli scali, basti osservare che, dal 2005 ad oggi, la volontà politica è cambiata radicalmente, da quella di utilizzare aree destinate a servizi pubblici per generare altri servizi pubblici (nella fattispecie nuove infrastrutture ferroviarie: il secondo passante) si è passati al mero scopo di rimpinguare le casse di Ferrovie dello Stato SpA.
Veniamo al caso di Città Studi.
I due importanti ospedali presenti in Città Studi (Istituto dei Tumori e Besta) sono stati destinati a Sesto San Giovanni, sulle aeree ex-Falk (su 200.000 mq).
Verranno quindi insediati su aree di proprietà privata e -soprattutto- servite da un ramo secondario delle FS che non fa parte della rete passante.
Peraltro, sarebbero distanti 500 m dalle stazioni della ferrovia e della metropolitana, non il massimo dell’accessibilità per gli utenti.
Una localizzazione che creerà problemi a tutti gli utenti, soprattutto ai non milanesi. Quale logica urbanistica è sottesa a tutto questo?
Purtroppo è la stessa che ha fatto spostare la seconda sede della Statale dalla stazione del passante di Porta Vittoria, ove era prevista dal Documento Direttore Passante, a Bicocca, guarda caso sullo stesso ramo secondario delle FS.
Ora si propone -e sembra che tutti ne siano entusiasti- di spostare le facoltà scientifiche della Statale nell’area Expo (a caro prezzo divenuta pubblica).
Purtroppo l’area Expo:
•è meno accessibile di quanto si voglia far credere;
•è confinata e soggetta ad inquinamento da traffico;
•si trova fuori dall’ambito di tariffa urbana del trasporto pubblico;
•ma, soprattutto, richiederà ulteriori pesanti investimenti in trasporto pubblico nel caso in cui debba ospitare i 20.000 utenti della Statale.
Eppure in Città Studi è disponibile e pubblica l’area dell’ex-macello e del mercato avicunicolo, di 173.035 mq, direttamente soprastante la stazione del passante ferroviario. Ora è destinata ad un generico Piano Attuativo1. (1 E’ da notare che queste aree sono in diretta continuità con quelle non utilizzate di P.ta Vittoria, per il fallimento dello sviluppatore che le deteneva, oltre che per la mancata realizzazione della BEIC sull’area pubblica, l’insieme costituirebbe uno straordinario polo accessibile da tutta la regione).
Perché l’Università non si estende su queste aree? Oppure perché non vi sono stati destinati gli ospedali?
Anche l’intero Ortomercato, ora obsoleto, senza più raccordo ferroviario, inopportunamente rimasto in città (in tutto il mondo queste funzioni sono tenute fuori città) potrebbe diventare una grande risorsa pubblica per localizzazioni strategiche con elevata accessibilità.
Cosa succederà a Città Studi dopo il trasferimento degli Ospedali e delle facoltà della Statale? Sarà tutto sostituito da edifici residenziali, chi li acquisterà?
E gli attuali addetti a queste funzioni andranno ad ingrossare la massa dei pendolari o si dovranno trasferire?
Altre funzioni sono carenti in città.
Si tratta degli impianti sportivi per la pratica amatoriale, come le piscine.
Si tratta anche degli impianti per il tempo libero.
Milano non ha l’equivalente del Tivoli di Copenaghen, o del Prater di Vienna, o anche di Legoland a Billund e di Disneyland di Parigi (quest’ultima luogo in cui tutte le famiglie italiane portano i loro bambini).
Sono strutture complesse e multifunzionali, non banali né solo Luna Park. (Per questi sarebbe perfetta l’area Expo, ma nessuno ha il coraggio di destinarvi una funzione che sembra tanto prosaica…).
Queste sarebbero infrastrutture di minore costo che possono essere realizzate da privati, ma ugualmente importanti per il benessere dei cittadini e l’attrattività della città.
Veniamo al punto maggiormente dolente, l’edilizia sociale.
Il deficit di edilizia sociale a Milano è enorme, è dell’ordine di grandezza di 30.000 famiglie.
Da tanto tempo, fin dall’abolizione del contributo Gescal, si sta pervicacemente tentando di sopperire all’edilizia sociale tramite l’imposizione di una ruolo di solidarietà all’edilizia privata, su aree private.
(Complice anche la colpevole e fuorviante interpretazione di alcuni che considerano i quartieri di edilizia sociale come “ghetti”, cosa che sconta una profonda ignoranza della storia di Milano e della sua urbanistica).
Si sono quindi inventate strane percentuali: il PGT si affida a 0,20/0,10/0,2 mq/mq, tra queste quella che un tempo si chiamava “sovvenzionata” e che interviene sul vero disagio sociale è confinata nello 0,2%.
Nel caso degli scali ferroviari le percentuali sono un poco più elevate, ma sostanzialmente
analoghe.
Ora dovrebbe essere chiaro che l’edilizia sociale, quella vera, non la “convenzionata” si fa su aree pubbliche e con finanziamenti pubblici diretti a questo scopo.
E le aree pubbliche, come abbiamo visto, a Milano non mancano (le risorse vanno trovate anche ripristinando il versamento Gescal in forme più adeguate).
Conviene ricordare che il vero scopo dell’Urbanistica è progettare la città: modificare la sua struttura coerentemente ad una strategia di assetto futuro, non solamente limitare o accrescere le quantità edilizie.
Non ha nessun senso abbassare le volumetrie da 0,5 a 0,35 mq/mq quando poi si determina una città dalla struttura carente, che non consente ai cittadini di accedere agevolmente al lavoro e allo studio, aumentando i loro costi e disagi.
Non a caso una volta i piani regolatori contenevano solo la parte pubblica, lasciando l’edificazione privata alle norme sul decoro edilizio.
Dopo l’approvazione del PRG del 1980, nel 1984 il Comune approvò il Documento Direttore del Passante ferroviario, che orientò la grande strategia urbanistica di Milano per mezzo della collocazione delle grandi funzioni sulle reti.
Oggi avremmo bisogno di un analogo atto di lungimiranza e di coraggio.