PSI LOMBARDIA - SOCIALISMO O BARBARIE, intervento di Giovanni Scirocco, 4 luglio 2010

20 luglio 2010

PSI LOMBARDIA - SOCIALISMO O BARBARIE, intervento di Giovanni Scirocco, 4 luglio 2010

Care compagne, cari compagni,
un’assemblea socialista è, pare, ormai uno dei pochi luoghi in Italia dove si può utilizzare questo appellativo senza essere contestati.
I giovani vecchi del PD che hanno criticato l’attore Fabrizio Gifuni per averlo pronunciato in una riunione di partito (evidentemente, ci voleva un attore) non conoscevano, probabilmente, una bellissima lettera che lo scrittore Mario Rigoni Stern inviò, poco prima di morire, il 20 gennaio 2007, ad una riunione dell’Anpi:

Cari Compagni,
sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i compagni d’arme.
Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere. Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione. All’erta Compagni! Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Il fatto che in questa assemblea potevo liberamente usare il termine compagni è uno dei motivi per cui ho accettato volentieri l’invito di Roberto Biscardini di parteciparvi, anche se non sono iscritto al PSI e ho in tasca solo due tessere: quella dell’Anpi e quella del circolo Carlo Rosselli.
Ma vi è un altro motivo per cui ho accettato l’invito di Roberto e cioè per parlarvi di un tema che mi sta molto a cuore, e cioè, appunto, Socialismo o barbarie.
Quelli di oggi sono chiaramente tempi di barbarie per i motivi indicati da Mario Rigoni Stern: perché di fronte ad una gravissima crisi economica, che erode il nostro patrimonio di sicurezza, di valori e di diritti conquistati attraverso decenni di lotte, molti pensano di uscirne sollecitando non la condivisione (il “cum panis” di Rigoni Stern) ma l’egoismo, nelle forme che tutti conosciamo: speculando sulla paura e l’insicurezza, cercando il capro espiatorio nel diverso, incitando alla frattura dell’unità nazionale o ricercando scorciatoie più o meno autoritarie.

Nel suo editoriale sul Sole 24 ore di domenica il direttore Gianni Riotta scriveva, ad un certo punto, che, di fronte ad una situazione che lui descriveva in tutta la sua gravità, l’opposizione perdeva il suo tempo a discutere sul futuro del socialismo. Gli ho inviato una mail in cui, più o meno, gli scrivevo: magari fosse così, allegandogli due testi, di cui vi farò il sunto, dicendovi alla fine (ma sono certo che qualcuno li riconoscerà) di che cosa si tratta.
Il primo è molto breve:
Va assegnato allo stato il compito di un piano di ricostruzione economica che coordini i due settori a gestione socializzata e a gestione privata, indirizzi la politica finanziaria, del credito industriale e dei lavori pubblici all’integrale utilizzazione della capacità produttiva del Paese e all’assorbimento delle energie di lavoro disponibili. Questo piano di ricostruzione nazionale dovrà essere inquadrato in un piano europeo e mondiale di piu’ razionale distribuzione delle materie prime, delle industrie produttive, dei traffici e delle forze del lavoro. Tale coordinamento economico, il cui fine dev’essere di sviluppare al massimo la circolazione libera degli uomini e delle merci sulla terra, è alla base del nuovo ordine democratico internazionale (punto 12 del programma del partito d’azione 1944)

Il secondo è un po’ più lungo:
il vero pericolo per la democrazia italiana, non è il lupo della destra dietro la porta è l’agnello della sinistra che si fa agnello perché non sa misurare le sue forze, perché non le sa unire, non sa proporre un suo progetto, in una società che ha bisogno, non di utopie, ma ha bisogno di proposte credibili, e suscettibili di sollecitare il consenso delle masse.

Ora io in questo stato di sfiducia che c’è nell’opinione popolare verso la sinistra di cui una delle manifestazioni è l’assenteismo elettorale nelle ultime elezioni, in questo momento in cui sono in crisi i partiti e i sindacati, cioè la nostra base sociale, non credo affatto sia una crisi irreversibile, ma crisi ci sono, derivate da incertezze di strategia, derivate da incertezze di sintesi, da incertezze di proposte sintetiche e che indichino la via, quando si tratta di progetti non si tratta di stabilire progettualmente punto per punto, si tratta di stabilire la via, il filo rosso che lega una proposta politica e questo chi lo può fare se non la sinistra compagni,e badate bene la sinistra in un momento in cui in Italia e fuori c’è bisogno di una proposta di sinistra, altrimenti le forze di destra che sono già in predominio prevarranno davvero (con) politiche di destra che sono la negazione della politica assistenziale, della politica del welfare state, quella politica socialdemocratica che o sotto il nome socialdemocratico, o sotto altro nome è prevalso in Europa durante tutto il periodo che va (con alterne vicende) dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.
Che cosa dicono in sostanza, in soldoni questa gente…. Voi fino ad oggi, voi socialisti democratici avanzati, socialdemocratici, in tutti i paesi capitalistici avete sfruttato il progresso economico nel senso di aumentare il prelievo sui guadagni della borghesia, per una redistribuzione di redditi sotto forma assistenziale, la politica dell’assistenza dalla culla alla tomba, le pensioni l’assistenza sanitaria l’assistenza ai vecchi ,l’assistenza all’infanzia, la cultura diffusa.
Nel nostro paese, non abbiamo avuto neanche questo perché non abbiamo avuto neanche questa politica se non sotto forma di elargizioni clientelari, ma in altri paesi questo c’è stato, questo è entrato in crisi compagni ma la crisi è reale, se noi sinistra dicessimo che l’offensiva di destra non ha base, sbaglieremmo, l’offensiva della destra esiste perché a sinistra sta mancando la base economica per proseguire questa politica, e questo spiega la crisi verso sinistra che in questo momento pervade tutti i partiti socialdemocratici in Europa, cioè se questa politica di assistenza, questa politica di welfare state alimentata dalla politica Keynesiana, va avanti essa non riesce più ad alimentarsi, in Francia, e credo che la situazione in Italia sia piuttosto analoga è stato calcolato questo, che se la politica assistenziale dei governi precednti continuasse indefinitamente con la sua curva ascendente entro dieci anni la totalità del reddito fiscale prelevato dai francesi basterebbe appena per le opere assistenziali. E’ chiaro che una società non può vivere di sola assistenza è chiaro che ci sono problemi che si aggravano, quello che gli economisti britannici chiamano la crisi fiscale, esiste, l’insufficienza delle risorse una volta che siano concomitanti tre fenomeni, uno, una crisi produttiva e di produzione che non è affatto provvisoria e che continuerà, due, il fatto che i metodi tecnologici e di informatica che si estendono nell’industria tendono ad espellere dalla produzione una buona parte di uomini e donne e quindi riducono la forza lavoratrice, terzo, che la sanità, l’assistenza, aumenta il numero dei vecchi, rispetto a quello dei giovani, e la stessa crisi della natalità fa sì che la popolazione invecchia quindi ci troviamo già in questi anni in una situazione in cui grande parte della popolazione che tende ad essere maggioranza (oggi i più che sessantenni sono quasi la maggioranza nel nostro paese, lo diverranno fra poco) dovranno essere mantenuti da una massa di giovani in gran parte tenuti lontani dalla produzione o perché mantenuti nell’ambiente scolastico o perché non trovano lavoro, e questo in un periodo di mancata crescita della produzione, è chiaro che una società non può reggere, deve ad un certo punto abbandonare l’assistenza o mutare sistema.
Compagni ecco la crisi della società socialdemocratica. Nella sua accezione classica al capitalismo il compito di produrre, e al governo il compito di distribuire il reddito non regge più, le basi economiche mancano, e allora bisogna cambiare sistema e allora bisogna intervenire nella produzione stabilire che cosa come e per chi si produce con quali intendimenti con quali rapporti, e allora si muta il processo cumulativo in modo da rendere possibile il proseguimento dell’opera assistenziale con una società più sobria con una società che consumi di meno beni necessitanti energie e consumi di più servizi beni culturali, tempo libero musica ricerca ed istruzione. Oggi il paradosso qual è, che le risorse produttive di beni necessari per i bisogni non soltanto minimi ma anche per i bisogni superflui degli uomini e delle donne sono più che perfettamente acquisibili con l’attuale apparato produttivo. Eppure non riusciamo, appunto perché non interveniamo nell’apparato produttivo, a regolarlo in modo che esso produca quello che è necessario, e lasci le risorse necessarie per migliorare quello che si dice modo di vita.
Lo stile di vita della popolazione, è qui la grande svolta è qui che la politica socialdemocratica finisce e finisce nobilmente anche, finisce per l’esaurirsi delle condizioni che l’hanno resa possibile. E’ qui che la grande ipotesi socialista nasce. Interveniamo nella produzione non con forme statizzate ma con forme anche in parte statizzate in parte autogestionali. Con un progetto nuovo, non perché sia un frutto della fantasia o dell’utopia ma perché è possibile perché è necessario perché le risorse ci sono soltanto sono mal regolate, è qui che si apre la prospettiva, ma chi ha detto che il socialismo è ormai scomparso dalle prospettive che si tratta di un’idea invecchiata che nessuno sa più definire in modo credibile altro che come vaga aspirazione sentimentale all’uguaglianza e alla giustizia? Oggi siamo all’apertura di una situazione in cui o si trova una soluzione socialista oppure siamo alle barbarie compagni questa è la realtà delle cose.
Ecco appunto, socialismo o barbarie. Di fronte a queste impressionanti parole di Riccardo Lombardi, pronunciate a Piacenza l’8 marzo 1981 (ripeto: 8 marzo 1981), non posso che essere d’accordo con le parole pronunciate da Susanna Camusso in una recente intervista al Corriere della Sera in cui diceva che la principale differenza tra lei e Sacconi stava nel differente giudizio sul craxismo. Se avessimo dato più retta a RL, forse saremmo riusciti a salvare non solo la dignità e l’onore dei socialisti, ma anche una prospettiva politica socialista in Italia. Lo dico anche perché, alla recente presentazione milanese di un libro di Bruno Pellegrino mi è toccato ascoltare (Pia e Roberto erano presenti) la bizzarra (ed anche ingenua) tesi secondo cui il gruppo dirigente del PSI degli anni ’80 era all’avanguardia perché aveva compreso la centralità non dell’individuo, non del lavoratore, non del cittadino, ma, badate bene, del consumatore. Il che equivale a dire Publitalia, Mediaset e Berlusconi accomodatevi, il che, in effetti, è puntualmente avvenuto. Scusate la breve parentesi polemica. Quel che mi preme davvero dire è, molto semplicemente, che come socialisti, abbiamo solo una strada da perseguire, antica e nuova allo stesso tempo: quella dell’internazionalismo e della programmazione democratica (non solo statalistica, ma anche auto gestionale e decentrata: solo chi non ha letto Carlo Rosselli, o l’ha letto male, come Panebianco o il mio amico Piero Ostellino, può credere che il socialismo sia esclusivamente statalista), nel campo industriale e del credito, per costruire una società diversamente ricca. Lo dobbiamo a noi, alla nostra storia e alle generazioni future, perché, come ha scritto Norberto Bobbio "L'egualitario chiede l'eguaglianza di tutti in tutto. Il liberale e il socialista si trovano insieme nel chiedere eguaglianza di tutti in qualche cosa. La differenza tra il liberale e il socialista è in quel "qualche cosa". Socialista è colui che tende a chiedere l'eguaglianza di tutti in qualche cosa di più, e non di meno, convinto che in certi casi chiedere più eguaglianza significa anche chiedere più libertà".
Non disperiamo e ricordiamoci quindi che continua ad esistere, anzi sempre di più, la libertà dal bisogno ed è quindi vero quello che scrisse il più grande sociologo vivente, Zygmunt Bauman, dopo la caduta del muro di Berlino: "Ora è indispensabile il socialismo: un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l'autoadorazione dei dominanti. Come la fenice, rinasce dal mucchio di ceneri lasciate dai sogni bruciati e dalle speranze carbonizzate degli uomini. E sempre risorgerà".

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