PROMOSSI NELLE EMERGENZE, A RISCHIO NELLA PROGRAMMAZIONE di Alessandro Pollio Salimbeni del 18 ottobre 2020
18 ottobre 2020
L’Italia ha reagito bene da febbraio a maggio, sotto il primo assalto del Covid. Si sapeva e si diceva ciò che sarebbe stato necessario per la seconda fase: adesso ci siamo e le difficoltà sono aumentate, insieme al senso di affanno e di inadeguatezza, dal Governo alle Regioni ai Comuni. Siamo ancora in tempo, se si decide cosa fare e ciascuno si assume le proprie responsabilità politiche.
Tra febbraio e marzo abbiamo fronteggiato una emergenza senza precedenti: lo abbiamo fatto dimostrando di essere, pur nelle difficoltà e nell’affanno, all’altezza del compito, sotto il profilo sanitario, sotto quello economico, quello normativo, quello delle relazioni interne ed esterne al Paese. Non che siano mancati errori, ritardi seri e nemmeno aspetti problematici sotto il profilo istituzionale e perfino costituzionale. Ma il bilancio è nel suo insieme positivo, una prova di governo all’altezza delle necessità. Altri governi appare del tutto dubbio che sarebbero stati in grado di operare, per una strutturale incapacità di vedere la collettività nazionale come un insieme e non come il luogo della contrapposizione, per le oscillazioni tra punti di vista opposti e incompatibili a seconda delle settimane (e/o dei sondaggi), per la scarsa autorevolezza – a dir poco – sul piano internazionale.
Oggi siamo a quasi nove mesi dall’inizio dell’emergenza e il quadro è ben diverso. La maggior parte dei problemi, pur lucidamente indicati in primavera come le vere necessità dell’autunno, sono rimasti allo stadio della enunciazione, ritardi a questo punto inspiegabili che si sono accumulati (i vaccini, innanzitutto, il sistema di tracciamento dei contagi, la prevenzione sul territorio e la medicina diffusa), il dibattito tra i partiti e nel corpo sociale quasi sempre disperso, ma non per questo meno accanito e ruvido, su temi del tutto secondari e ben lontani dall’essenziale (settimane e settimane a discutere sui banchi con le rotelle e nessuna azione sul rinnovamento della didattica; bonus per i monopattini e biciclette e nessun intervento strutturale sui trasporti urbani e periurbani; eccetera), maggioranza che monta casi politici sul diritto di voto al Senato e opposizione che a giorni alterni vuole aprire o chiudere spiagge e negozi, mettere o togliere mascherine, facendone una questione di libertà personale. Un povero dibattito che fa diventare povero il Paese. Non ci facciamo mancare nemmeno l’uso strumentale, distorto e spesso del tutto non scientifico dei dati sull’epidemia, violando la aurea regoletta delle maestre delle elementari di un tempo che ammonivano sulla impossibilità di sommare mele e pere.
Tutto questo in uno scenario di contrasti istituzionali, tra Governo e Regioni, tra queste e i Comuni, tra il rimpallo di responsabilità e la affermazione di poteri di cui non se ne può più. Vale per i rappresentanti istituzionali, vale per i dirigenti dei partiti. Non meravigliano il propagandismo di Salvini o le parole sempre trafelate di Meloni. Colpisce invece che Zingaretti – che si autodefinisce segretario dell’unico partito di statura nazionale – quasi ogni giorno ripeta stanche parole sul fare in fretta, sul decidere, sull’unirsi e mai dica qualcosa di concreto da fare, magari avvalendosi di buone pratiche e buone esperienze della Regione Lazio che presiede: o non sa o non fa, evidentemente.
Altre saranno le occasioni di un approfondimento e di proposte su tutti questi piani e faranno parte del difficile ma indispensabile compito della ricostruzione. Proviamo a vedere se, almeno sul piano dei comuni, è possibile proporre azioni concrete che risolvano i problemi che i cittadini hanno: a questo dovrebbe servire la democrazia, tra l’altro. E l’attenzione è per il comune di Milano, ovviamente.
a. Aver lasciato fare alla Regione è stato un errore, non giustificato dall’argomento delle competenze: queste vanno rispettate finché le cose marciano ma quando sono bloccate? Il Sindaco presiede i comuni C40, ha un ruolo addirittura internazionale: cosa impedisce di utilizzare rapporti e prestigio per acquistare vaccini influenzali?
b. La medicina sul territorio non funziona: mancano medici, mancano sedi, mancano elementi essenziali di organizzazione. Perché non attrezzare ambulatori temporanei nelle migliaia di metri quadrati di uffici sfitti e vuoti da tempo, per dare sedi a medici e volontari per fare tamponi e vaccinazioni? Si possono affittare e perfino requisire, non producono reddito da anni, in molti casi. Si è fatto con un albergo durante i mesi cruciali della prima ondata: perché non si riproduce quella esperienza, anche per risolvere il problema delle quarantene obbligatorie in attesa degli esiti diagnostici?
c. Manca il personale medico e paramedico: cosa impedisce di richiamare, precettare, attivare volontariamente medici e infermieri in pensione, ex militari della sanità, volontari delle varie Croci anche se anziani? E gli studenti di medicina, triennali e magistrali, quelli di farmacia?
d. ATS dice di non avere personale per il tracciamento: a parte i supporti informatici che la grande Milano internazionale potrebbe trovare nelle aziende del settore, cosa impedisce di mobilitare cassaintegrati e percettori del reddito di cittadinanza e di inserimento, a casa a non lavorare e certo – almeno molti di loro – in grado di svolgere mansioni di ufficio piuttosto ordinarie?
e. E da marzo-aprile, quando già si sapeva e si diceva quali sarebbero stati i problemi e i nuovi fronti dell’autunno, non si sarebbe potuto organizzare corsi di alcune settimane che dessero gli elementi – che sono anche di riqualificazione professionale – necessari per svolgere tali compiti (comprese le iniezioni)? Si sono letteralmente buttati via mesi, si può e si deve fare adesso, in ritardo, non così bene, in affanno, ma almeno si faccia!
f. Bene aumentare le piste ciclabili. Meno bene aver detto che sarebbe servito ad alleggerire i carico del trasporto pubblico, per ovvie valutazioni quantitative. E ora siamo al dunque: cosa impedisce l’utilizzo di pullman privati che sarebbero fermi, dei mezzi dell’Esercito, con i quali irrobustire alcune linee di forza; cosa impedisce di impegnare i già citati cassaintegrati e percettori di reddito per fare ciò che un tempo facevano i secondi agenti sui mezzi di trasporto, cioè il controllo dei passeggeri?
g. Differenziare gli orari: oltre un terzo degli studenti delle scuole superiori sono maggiorenni e certamente lo sono tutti gli universitari. Possono frequentare le lezioni con doppi turni, al sabato, alla domenica, lasciando orari “tradizionali” ai più piccoli per i quali vi è anche il problema del tempo pieno che va mantenuto. E poi: mancano forse a Milano docenti, sperimentatori, pedagoghi, docimologi in grado di definire le innovazioni educative necessarie non solo per questa emergenza ma anche perché la sola evoluzione tecnico-scientifica porta ai percorsi di docenza mista tra presenza e distanza? Qualcuno ha chiesto loro un preciso impegni in questo senso nei mesi scorsi? Come si può non vedere che la rivoluzione digitale non è solo il frigorifero che parla con lo scaldabagno ma anche un nuovo modo di studiare, di insegnare e di apprendere?
Conosco bene le obiezioni: le competenze, le leggi, le risorse. Rispondo: c’è stato tutto il tempo per fare le norme necessarie, per chiederle con grande forza al Governo (se no, qual è il peso di Milano, il suo ruolo di guida e traino se e quando occorre, di che si parla quando si evoca la parola “modello”?), per sperimentare anche su quel piano le innovazioni necessarie. Per le competenze vale lo stesso approccio: c’è una emergenza, ci sono strumenti incisivi, nessuna competenza può essere accampata quando chi le ha non le esercita o le esercita male. E poi, vivaddio, si faccia: se qualcuno andrà alla Corte dei Conti ci si difenderà a partire dall’obbligo non aggirabile di operare per il bene della collettività che si rappresenta, e poi vediamo chi condanna chi. Se negli anni 50 e 60 ci si fosse fermati alle competenze, non ci sarebbero asili nido, in Italia: i sindaci di un tempo avevano chiaro cosa significasse la politica. E poi ci sono cento modi di aprire e gestire un conflitto, se proprio ci si deve arrivare.
Risorse: invece di stucchevoli appelli all’uso del MES, che non riescono nemmeno a svolgere pressione morale, costruire un piano-programma fatto – ad esempio – delle azioni fin qui elencate avrebbe permesso e permetterebbe ancora in queste settimane di giustificare la richiesta delle risorse necessarie a valere su quel Fondo europeo, dando a quella discussione non la dimensione ideologica che ha avuti fino ad ora ma la caratura concreta e materiale, quella che sposta le opinioni e modifica le posizioni.
Una volta si sarebbe detto che questa è la politica: oggi non so più come si chiama, so solo che o si fanno cose del genere o non ce la faremo.
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