PRIMO MAGGIO, NUOVA CIVILTÀ SOCIALISTA di Roberto Biscardini per Avanti! del 1 maggio 2020
01 maggio 2020
PRIMO MAGGIO, NUOVA CIVILTÀ SOCIALISTA per Avanti! del 1 maggio 2020
Questo 1° maggio invece che un giorno di festa potrà essere l’occasione per una riflessione seria sul dopo pandemia.
Vediamola in positivo. Non è impossibile che dopo un periodo di
transizione ci si possa trovare di fronte ad uno scenario nuovo, in cui
tutto cambia in meglio, con mutamenti radicali di tipo socialista.
Non è impossibile che la civiltà socialista possa prevalere sul passato
come condizione necessaria ad affrontare, con nuove regole, la crisi
economica e sociale a livello mondiale. Una situazione completamente
diversa da quella del 2008 nella quale allora nessuno, allora nemmeno la
sinistra, è stato in grado di reagire. Oggi al “minimalismo della
sinistra ufficiale” potrebbe contrapporsi un’idea nuova di cambiamento.
Un grande fronte, espressione di un rinnovato socialismo, radicale nelle
proposte, democratico e umanitario nella pratica. Un socialismo largo,
ben oltre la realtà degli attuali partiti (e non solo in Italia), che
potrà dare vita a nuove formazioni socialiste come riunione di culture e
sensibilità diverse. Un grande fronte tra socialismo democratico,
culture liberali e popolari, unito a livello internazionale dai valori
etici del socialismo originario, che nasce dentro i conflitti e dal
bisogno di solidarietà e uguaglianza.
Dobbiamo quindi contare che la
grande occasione persa dopo il 2008 non sia persa oggi, pur trovandoci
in condizione peggiori, con più povertà, disagio sociale e lo spettro
della paura. Con la preoccupazione che la fame e la miseria possano fare
più morti dello stesso coronavirus.
Tre questioni. La prima, di
fronte all’ipotesi di una pericolosa involuzione democratica, a livello
internazionale e nei singoli Stati, con il fiato sospeso per la nostra
democrazia, l’alternativa socialista è la riscoperta delle regole
fondamentali della democrazia liberale, rafforzata da un ruolo
partecipato e dal basso di istituzioni locali, comuni e cittadini,
pronti a rivendicare un diverso potere decisionale. Si aprirà la
questione dei poteri, di chi conta troppo e di chi conta troppo poco.
Sarà il momento di rimettere in discussione il potere dei governi, dei
parlamenti, il controllo democratico delle popolazioni sui governanti.
La questione del rapporto tra i poteri nazionali e quelli delle
istituzioni internazionali.
Secondo. Escono male i modelli di vita
del passato. Il consumismo, lo strapotere del mercato e la sua
ideologia. Quel mercato, che da almeno vent’anni ha sopraffatto lo
Stato, mentre la gente chiedeva più Stato, perché senza non ci può
essere sviluppo economico, né sicurezza sociale, né libertà, né
uguaglianza. Chi credeva di essere vincente esce perdente e sconfitto;
chi credeva di non contare nulla, ha la possibilità di contare di più.
Esce sconfitta l’ideologia del novecento del liberismo e mercatismo, che
tanto avevano prevalso sulla giustizia e sull’uguaglianza. E risulterà
insopportabile un sistema che consente a poche persone al mondo di avere
un potere economico superiore a quello delle stesse nazioni.
Di
fronte ad una povertà dilagante, nel mondo soltanto 26 individui
possiedano la ricchezza di 4 miliardi di persone, la metà più povera
della popolazione mondiale. In Italia, già nel 2018, il 20% più ricco
degli italiani deteneva il 72% della ricchezza nazionale, il successivo
20% controllava il 15,6%, cosicché il 60% più povero, ceto medio
compreso, si distribuiva il restante 12,4% della ricchezza totale.
Terzo, la questione del lavoro e la minaccia di una disoccupazione di
massa. Si stima che dopo il coronavirus ci siano nel mondo 30 milioni di
nuovi disoccupati. E di questi, circa 3 potrebbero essere in Italia, in
un paese nel quale abbiamo già la percentuale di poveri più alta
d’Europa, con 5 milioni di cittadini in condizioni di povertà assoluta,
con 10,5 milioni di cittadini che hanno difficoltà a fare un pasto
proteico ogni due giorni e riscaldare la propria abitazione. E con il
10% della popolazione del sud ormai povera.
Ma da dove partire per
cambiare? Non c’è alternativa. Dall’esperienza e dalla storia del
movimento socialista, con un “pensiero nuovo” e ripartendo da zero. Non
c’è infatti un solo momento importante delle politiche di emancipazione e
di riscatto dei lavoratori, dagli inizi dell’800, che non abbia avuto i
socialisti come protagonisti.
Con il mondo del lavoro che si
identificava con i socialisti e i socialisti con i lavoratori. Con i
socialisti che sapevano interpretare il senso di quelle battaglie,
trovando le risposte adeguate per poterle vincere. Le battaglie degli
occupati a fianco di quelle dei disoccupati. Dei garantiti a fianco dei
non garantiti.
E siccome la storia dei socialisti italiani non è
molto diversa dalla storia socialista negli altri paesi, così oggi un
movimento socialista per una società diversa non potrà che essere
internazionale. Un movimento socialista internazionale che affonda le
sue radici nelle prime associazioni operaie di metà Ottocento e prima
ancora nel mondo del lavoro agricolo. Quindi lavoro, lavoro, lavoro.
Superando gli errori e le timidezze degli ultimi anni, quando non si è
reagito a sufficienza di fronte alla precarizzazione dei ceti medi e
professionali, quando si è toccato il fondo in un mondo senza tutele e
quando abbiamo visto crescere il lavoro subordinato, parasubordinato, la
moltiplicazione di lavori definiti atipici, flessibili, precari,
discontinui. Varie forme di schiavitù equiparate al lavoro di finti
lavoratori autonomi o professionisti.
In pochi mesi con il Covid-19
sono crollate tante certezze, e la dimensione umana del socialismo
appare come l’unica forza capace di assumere la guida di un nuovo
processo politico. E non è attendibile che, proprio nel momento in cui
il socialismo potrebbe entrare nelle vene del mondo, attraversando
culture laiche e sentimenti religiosi, non succeda nulla e che siano
proprio i socialisti a non rendersene conto.
Non è pensabile che
moltitudini di cittadini accettino il ritorno al passato senza
rivendicare una diversa politica economica e fiscale, senza muoversi per
la ricostruzione di uno Stato imprenditore, in grado di decidere del
proprio Pil, su cosa e come produrre ricchezza, su come distribuirla,
con una nuova capacità di programmazione degli investimenti, che finanzi
la ricerca e lo sviluppo anche in settori nuovi, nel ambiente per
esempio. Non è pensabile che i cittadini possano accettare maggiori
diseguaglianze, tra ricchi e ceti impoveriti, tra nord e sud, tra chi
riuscirà a mantenere il proprio lavoro e chi no.
Quindi si aprirà il
tempo dell’uguaglianza. Il tempo di un impegno per una nuova vita, per
ridare lavoro a chi l’ha perso e a chi non l’ha mai avuto. Per ridare un
reddito dignitoso a tutti.
Il tempo di una nuova idea di
socialismo. Il socialismo come prospettiva di nuova umanità, per
liberarsi dalla disoccupazione, dalla schiavitù del lavoro e dalla
sofferenza dello sfruttamento. Il socialismo come grande concezione
etica e morale della società.
In fondo questo è ciò che ha pesato
di più nella nostra storia. L’idea di un socialismo che, andando oltre
la dimensione economica, sappia far valere la sua dimensione umanitaria e
popolare. L’importanza della fratellanza, persino troppo sottovalutata
rispetto all’anelito di uguaglianza e di libertà. Perché se è anche vero
che usciamo da un periodo nel quale i socialisti sono apparsi perdenti,
la “causa socialista” ha retto. E ha retto nella cultura giovanile il
valore dell’internazionalismo, dell’uguaglianza e il rifiuto della
barbarie.