PRESIDENZIALISMO ALLA VODKA, di Antonio Landolfi da Agenzia Fuoritutto, 26 marzo 2009
21 aprile 2009
Ha fatto bene Gianfranco Fini, nel corso del suo discorso conclusivo al Congresso di scioglimento di Alleanza Nazionale, a mettere precisi, e visibili, paletti a quel presidenzialismo di cui si parla sempre di più come scelta che dovrebbe coronare la nascita del Popolo della Libertà nell'ultima fase della fusione tra AN e Forza Italia. Fini conosce bene il problema perché esso ha fatto parte del DNA della destra italiana, ed in particolare del MSI e di AN, di cui fu per lungo tempo una bandiera programmatica. Perché il presidenzialismo di cui si parla oggi non ha niente a che vedere con il presidenzialismo di Randolfo Pacciardi, di Giano Accame e dello stesso Almirante. Oggigiorno sotto la stessa etichetta presidenzialistica si spaccia in Italia ben altro contenuto. Avviene come per certi liquori nostrani, che vengono chiamati "amari" e sono all'opposto, quanto di più dolce sia possibile (con l'eccezione del Fernet, che appunto non viene chiamato amaro, ma con il suo nome). Fini ha mostrato di saper bene la differenza che corre tra il presidenzialismo americano insieme a quello gollista, ed il presidenzialismo plebiscitario di cui si sta discorrendo (e si sta decidendo).E questa differenza essenziale l'ha colta nel suo discorso, quando ha detto senza mezzi termini che ogni rafforzamento della leadership di governo non può andare a discapito delle altre istituzioni rappresentative: a cominciare dal Parlamento che non può essere considerato come un ingombro fastidioso, da mettere da parte, svuotandolo di ogni potere e di ogni funzione. Egli lo sa bene, e l'ha saputo dire a chiare note: il presidenzialismo, innanzitutto quello statunitense si basa su di una netta separazione tra Esecutivo e Parlamento, che si realizza in una forte dotazione di poteri da parte di entrambe queste istituzioni. Poteri che vengono tra l'altro circoscritti dalla struttura federativa dello Stato, entro confini ben precisi che non permette travalicamenti tra di essi. In Francia, d'altra parte, non essendoci una struttura federativa si è dovuto ripiegare in un semipresidenzialismo che ha creato qualche problema tra Presidenza e Parlamento, che Sarkozy sta correggendo, non senza qualche fatica. In Italia ci sarebbe poi da fare i conti, qualora si volesse accedere ad un regime di stampo presidenzialistico, con l'impianto Costituzionale che prevede e fissa le regole di una Repubblica di tipo parlamentare. Per un passaggio al regime presidenziale bisognerebbe cambiare gran parte della Costituzione. Cosa che si può fare in uno Stato democratico soltanto con una consultazione "ad hoc" che creasse una nuova Assemblea Costituente. Va notato inoltre che l'ultimo passaggio, nel mondo democratico, da un regime parlamentare ad uno presidenziale è avvenuto in Francia all'epoca di De Gaulle, circa cinquanta anni or sono. Poi regimi presidenzialistici si sono realizzati soltanto in paesi di un'area del mondo tuttaltro che definibile come democratica, almeno che non si voglia definire come tale il regime di Chavez. L'unico modello presidenzialistico che è vicino, ma nello stesso tempo lontano dalle democrazie occidentali è, come si sa, quello di Putin. Il confronto con il quale fa però pensare che oltre agli "amari" nostrani, esso richiami il sapore della vodka. Importare dalla Russia odierna, oltre agli idrocarburi, alla vodka ed al caviale anche il presidenzialismo alla Putin ci sembra francamente un po’ troppo.
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