PREPARIAMO IL DOPO, INCOMICANDO A GOVERNARE IL “DURANTE” di Roberto Biscardini da Jobs News del 9 maggio 2020
09 maggio 2020
Non siamo in pochi ad aver cercato, in queste settimane, di vedere in positivo il dopo coronavirus. Persino cogliendone una certa opportunità, un’occasione per fare chiarezza. E la sintesi partiva da questa banale considerazione: se è vero che “nulla sarà più come prima” cerchiamo di fare in modo che il futuro sia meglio del passato. Affinché, nell’attendibile scontro che si aprirà tra interessi contrapposti, tra capitale e lavoro, tra chi sarà ancora più ricco e chi sarà ancora più povero, tra liberismo e socialismo, cerchiamo di capire come, con il sostegno delle persone, possa vincere l’eguaglianza sulla diseguaglianza, la solidarietà sull’egoismo, l’interesse di tutti rispetto al potere di pochi.
In altre parole cerchiamo di evitare che si ripeta quanto successe nel 2008, quando pur in una situazione molto diversa, ma altrettanto grave, nessuno mosse un dito, e nemmeno la sinistra è stata in grado di reagire alla violenza scatenata dal capitalismo finanziario. Non si perda oggi, in un momento in cui ci potremmo trovare in condizione ancora peggiori, con più povertà, più disagio sociale, con la minaccia della fame e della miseria, l’occasione di muoversi nella direzione contraria al liberismo e al mercatismo che ha ormai caratterizzato un’epoca.
Ci sono tutte le condizioni per un cambiamento profondo ispirato ai valori del socialismo democratico e umanitario. Ma bisogna muoversi. Una prospettiva che può nascere con l’aiuto di una diversa classe dirigente, di forze politiche rinnovate, se sapremo stare con realismo dalla parte dei bisogni delle persone.
Dopo due mesi in cui ha prevalso la paura di morire di coronavirus, inizia adesso la fase della paura di morire di fame. Dall’attenzione tutta concentrata sulla salute, entriamo nella fase della preoccupazione per la sopravvivenza. Alla ricerca di risorse per poter vivere, alla ricerca del lavoro e di un reddito dignitoso. Saremo presto tutti preoccupati per la disoccupazione e lo sfruttamento di milioni di cittadini.
Con una percezione netta: dal coronavirus si può uscire in meglio, ma anche in peggio, se non ci sarà subito reazione e nuova coscienza collettiva, a livello nazionale e internazionale. Se faremo la parte degli spettatori dello scontro tra poteri, senza muovere un dito. Se non ci sarà una rivolta civile e culturale in grado di spostare il baricentro a favore di politiche di redistribuzione. Se continueranno a crescere le diseguaglianze (di ogni tipo, economiche sociali e culturali), tra ricchi e ceti impoveriti, tra nord e sud, tra chi riuscirà a mantenere il proprio lavoro e chi lo perderà. Se non ci sarà la risposta di uno Stato autorevole e non subordinato alla logica del grande capitale. Uno Stato imprenditore, capace di una diversa politica economica e fiscale. Non solo garante dei servizi essenziali, istruzione di qualità a tutti e sanità pubblica gratuita e universale, ma anche uno Stato capace di intervenire, là dove serve, nella politica industriale. Che significa decidere cosa e come produrre. Come formare la propria ricchezza, come programmare investimenti e come orientare lo sviluppo verso settori nuovi. Con un salto di qualità e in poco tempo, pressato dalla gravità del momento.
Dopo la Spagnola, una risposta efficace venne dagli Stati con un importante impegno di risorse pubbliche (come potrebbe avvenire oggi, mettendo i soldi nelle tasche dei cittadini e non solo in quelle delle imprese), ma anche dalla capacità di riconoscere e sostenere allora l’impiego di nuove tecnologie. A dimostrazione che anche da una pandemia si può uscire in meglio, con un’accelerazione allo sviluppo in direzioni nuove. Oggi ciò potrebbe avvenire incrociando il bisogno di lavoro con nuovi settori innovativi, come quelli connessi alla salvaguardia delle ambiente e del territorio, soprattutto al sud. Attività che potrebbero impegnare piccole imprese, con bassi investimenti per addetto.
Insomma una prospettiva socialista, sostenuta dai principi fondamentali dello Stato democratico (la questione potrebbe precipitare presto), lasciandoci allo spalle la stupidaggine, sostenuta persino da certa sinistra, del “meno Stato e più mercato”. La teoria delle “Stato leggero”. Che tanto piace ancora oggi a molti esponenti del Pd, che si sono subito affrettati a mettere le mani avanti di fronte ai pericoli “sovietizzanti” di un intervento dello Stato in economia. Che hanno confuso l’azione dello Stato con lo statalismo. Che è esattamente la posizione di Confindustria. Quel mondo imprenditoriale che nelle settimane scorse ha influito tanto sulla politica locale (della bergamasca per esempio) da riuscire a tenere aperte le imprese nonostante fossimo in piena emergenza covid-19.
Due considerazioni finali. Uno. Non si esce nella direzione giusta senza una forte iniziativa politica i cui contorni dovrebbero essere pensati e delineati già oggi. La politica non si ferma e il dopo è già iniziato. Per almeno due ragioni. Perché il coronavirus non ci lascerà da un giorno con l’altro e nemmeno tanto presto. E perché c’è “un durante” lungo, che va governato e nel quale siamo già pienamente immersi.
Se la sinistra volesse uscire dalla sua lunga afasia ha un grande lavoro da fare subito. Iniziare a cambiare il motore della macchina con la macchina in corsa. Cambiare se stessa e prepararsi a governa oggi nella prospettiva di governare il futuro. Rinascere, mettendosi dalla parte delle persone, delle loro esigenze anche materiali, subito, e delle loro aspettative di vita. Favorirle in ogni modo. Capire le persone e non interpretare i loro bisogni sulla base di vecchie categorie ormai superate. Capire il senso delle loro aspettative concrete, compreso il bisogno di ripristinare relazioni anche sociali già interrotte per troppo tempo.
Due. Bisogna aver chiaro che non si affrontano i problemi enormi che abbiamo di fronte con il chiacchiericcio politicista del momento. Discutere se regge o no questo governo, se Conte è bene mandarlo a casa o no, se è preferibile un governo di unità nazionale con dentro tutti, se Berlusconi potrà presto dare una mano per allargare questa maggioranza isolando la destra destra, e cosa farà Renzi o cosa non farà il M5s, sono tutte cose abbastanza miserevoli, che non interessano nessuno. Una montagna di parole inutili. Anche perché Conte piace e per un po’ di tempo starà lì. Ma soprattutto perché, se ci pensiamo bene, un conto sono i cambiamenti significativi di passo politico (e di questo avremmo bisogno), un conto sono semplici operazioni di restyling, senza cambiare nulla. Peraltro la storia ci insegna che i presidenti del consiglio, salvo rari casi, non contano pressoché niente, se non come mediatori delle loro maggioranze.
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