POLITICA MILANESE: INDECISI A TUTTO di Walter Marossi su Arcipelago Milano

09 febbraio 2017

POLITICA MILANESE: INDECISI A TUTTO di Walter Marossi su Arcipelago Milano

Una mappa delle idee e delle forze in campo

L’ analisi delle dinamiche congressuali nel Pd milanese non può prescindere da alcune sommarie considerazioni sul quadro nazionale. La bocciatura delle riforme costituzionali e la bocciatura della legge elettorale che hanno reintrodotto a tutti gli effetti il proporzionale lasciano pensare che il futuro governo del paese sarà di coalizione.

Come avviene in Spagna dove dopo elezioni crisi ed elezioni anticipate vi è un governo di unità nazionale spurio, cioè i conservatori governano grazie all’astensione dei socialisti ed entrambi devono vedersela con due forze antisistema: il movimento politico Podemos e i referendari catalani. Come avviene in Germania che va alle elezioni con un duro confronto che darà probabilmente vita a un altro governo di unità nazionale con gli stessi protagonisti. Mentre in Francia grazie al sistema presidenziale, non ci sarà l’unità nazionale che tuttavia si realizzerà de facto nelle urne quando la coalizione anti Le Pen si compatterà dietro a un candidato al secondo turno.

Il centrosinistra e la sinistra di questi paesi hanno vissuto questi processi con profonde lacerazioni  basti dire che sono stati “fatti fuori” nell’ordine il segretario del Psoe e candidato premier, il presidente della repubblica e il primo ministro francese, il vicepresidente del governo e segretario dell’SPD  e con loro centinaia di sodali; non è difficile immaginare che anche in Italia il percorso preelettorale prima e quello elettorale poi faranno molte vittime.

Le motivazioni della futura rottamazione sono evidenti:

1) poiché la legge elettorale informa la politica e il modello organizzativo dei partiti, questi, organizzati per leggi elettorali orientate verso il presidenzialismo non potranno sopravvivere senza radicali cambiamenti al ritorno del proporzionale. Siamo all’addio del partito autosufficiente. Le stesse primarie utili a indicare un leader monocratico e di coalizione non sono coerenti con l’elezione di un segretario di partito con compiti da negoziatore mediatore.

2) le contraddizioni aumentano quando si pensa che le elezioni comunali e quelle regionali rimangono presidenzialiste e hanno quindi come obbiettivo principale quello di coalizzare forze politiche diverse, sia preventivamente come nel caso del turno unico regionale sia successivamente come nel caso del doppio turno comunale. Se l’obbiettivo del candidato nel proporzionale è differenziarsi il più possibile, nel presidenziale è differenziarsi il meno possibile per ampliare la platea elettorale potenziale. Per questo a chiedere a gran voce il rispetto delle scadenze elettorali e i congressi sono gli eletti locali, il partito dei “coalizzatori” quello che Orfini chiama “errore esiziale”, che non hanno alcun interesse a vedere aprirsi crepe nelle coalizioni che li hanno eletti.

3) l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e l’introduzione sia pur parziale di un sistema di preferenze/collegi rende i costi delle campagne insostenibili e le attuali strutture partitiche obsolete; per questo il congresso/primarie del Pd si apre con la caccia al tesoretto  delle fondazioni e con la difesa da parte dell’attuale maggioranza, solo una parte della legge elettorale: quella relativa ai “nominati”, essendo la presentazione della lista bloccata l’unico reale potere rimasto in capo al segretario. Del resto fin dalle elezioni del primo novecento la presentazione dei candidati motivava scissioni e coalizioni tant’è che in più occasioni sia a destra che al centro che a sinistra molteplici e illustri furono le vittime del fuoco amico.

La violenza delle polemiche interne e l’incertezza del quadro generale obbligano tutti i politici Pd e i loro presunti/aspiranti alleati a scegliere con chi stare, tuttavia poiché a nessuno piace essere nella situazione dei tacchini in prossimità del Natale la più parte degli eletti e degli aspiranti tali si guarda attorno nel tentativo di evitare la rottamazione.

Strumento principe del salvataggio è la corrente, cioè una cordata solidaristica che si propone di sostenere un idea forte e un candidato e di ripartire equamente gli utili della vittoria.

Le correnti sono consustanziali ai partiti della sinistra e hanno una nobile tradizione, senza ricordare la disfida Marx, Bakunin, Mazzini basti ricordare che ancora oggi, in verità un po’ grossolanamente, si usa il termine identitario riformista che altro non era che un aggettivo utilizzato per distinguere i socialisti di una corrente quella del programma minimo da quelli del programma massimo (non casualmente chiamati massimalisti). Che nel Pd, nato oltretutto dalla fusioni di ex correnti PDS con ex correnti democristiane si riorganizzino e si riscoprano le correnti non può quindi stupire.

Vi è però una novità parziale ma significativa.

Se fino alla debacle del referendum si potevano identificare tre correnti: 1) renziani 2) renziani di complemento o all’orecchio 3) antirenziani; dopo la debacle si è aggiunta una corrente, ampiamente maggioritaria quella degli attendisti (detta anche malapartianamente del correre in aiuto del vincitore).

Milano e la Lombardia ne sono la capitale. Priva di un qualsivoglia leader non dico carismatico ma almeno dotato di ampia visibilità, affidata a un sindaco tecnico che ha ottenuto l’indispensabile sostegno di una parte significativa e importante della sinistra radicale, Milano è anche la città di diversi eletti nelle liste montiane (13,5%), di aderenti al movimento alfaniano, di verdiani vari, indispensabili sostegni del governo già Renzi ora Gentiloni e contemporaneamente sostenitori della candidatura Parisi e della giunta Maroni.

Nella logica della vigente legge elettorale con premio di maggioranza alla lista sarebbe dunque naturale andare verso un listone a maggioranza Pd con Pisapia, Formigoni, Albertini, Borletti, Della Vedova, Casero, Lupi. L’ex sindaco lo ha definito un incubo, a mio avviso è anche una proposta suicida in qualsiasi congresso ma domani il doppio compromesso: listone e unità nazionale potrebbe essere la “linea” del partito.

Così un partito milanese lombardo in buona salute, uno schieramento che governa quasi tutti i capoluoghi di provincia e che potrebbe ragionevolmente vincere anche alle regionali è sull’orlo di una crisi di nervi e visto che nessuno ama suicidarsi e nessuno sa se ci sarà una nuova legge elettorale ma tutti sanno che le liste le farà il futuro segretario chiunque esso sia, ecco che si è aperta una gigantesca pausa di riflessione, foriera di ravvedimenti e tradimenti. Poche domande sono offensive oggi come quella di chiedere a un eletto Pd “con chi stai”?

Sotto il cartello “qui non si parla di politica” che campeggiava un tempo nelle osterie, uniti dal refrain del benaltrismo, troviamo accomunati: assessori comunali un tempo ciarlieri, candidati civici vari, garantisti e giustizialisti, sostenitori del si, del no e quelli che non vogliono dire cos’hanno votato. L’importante per tutti è prendere tempo Non a caso il leader più popolare in città è Franceschini che riesce intervista dopo intervista a non dire assolutamente nulla.

La confusione è tale che il buon Pisapia il lunedì è indicato come un neo renziano il martedì come un neo dalemiano, il mercoledì come un neo e basta; che Sala Giuseppe riunisce la lista civica parlando di elezioni regionali anticipate quasi volendola trasformare da taxi a soggetto politico come non gli è mai riuscito durante la sua campagna elettorale; che la segreteria metropolitana del partito riconosca un nuovo circolo Pd di simpatici attempati goliardi denominato a mo’ di sberleffo “dei meriti e dei bisogni” e che più trasparentemente avrebbe dovuto chiamarsi “non possiamo non dirci craxiani”.

É il trionfo della palude (nel nobile senso datogli dall’Ami du peuple) dalla quale si differenziano solo quelli che hanno deciso di andarsene e quelli che cercano di espellere gli avversari.

Tuttavia questa fase non particolarmente affascinante durerà poco, man mano che le elezioni si avvicineranno le correnti porteranno anche a Milano a quello a cui hanno sempre portato nella storia dei partiti della sinistra: uno scontro duro nel quale non si fanno prigionieri. Preparatevi.

 

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