PISAPIA HA VINTO MA IL RIFORMISMO ANCORA NO di Roberto Biscardini dall’Avanti della domenica del 5 febbraio 2012

01 marzo 2012

PISAPIA HA VINTO MA IL RIFORMISMO ANCORA NO di Roberto Biscardini dall’Avanti della domenica del 5 febbraio 2012

Pisapia governa Milano da oltre sei mesi, tenendo sufficientemente in equilibrio la sua squadra. Rispetto ad una giunta relativamente debole, composta da molti assessori senza esperienza politica e amministrativa, riesce ad imporsi e a farsi valere. Sa correggere il tiro degli assessori che sbagliano e di frequente è costretto ad intervenire.
Gode ancora di una consistente credibilità, nonostante i consensi siano in calo e molti settori della città si aspettassero da lui scelte diverse. La sua vera forza è che, dopo la Moratti, nessuno, nemmeno a destra, rimpiange quella esperienza. Ma Pisapia non governa da solo e deve fare i conti con una coalizione che porta con sé nuovi e vecchi limiti. I problemi che, per anni, sono stati alla base delle difficoltà della sinistra non hanno purtroppo abbandonato questa maggioranza.
Primo. L’indistinta realtà della sinistra arancione fa sentire il suo peso al di là della sua forza numerica, anche perché in qualche modo con Pisapia si identifica. E’ un po’ Sel e un po’ no. Si richiama al voto popolare e giovanile e all’immagine dei centomila in piazza Duomo il giorno della vittoria. Qualcuno di loro pensa in grande, vorrebbe trasferire l’esperienza milanese a livello regionale e nazionale. Vorrebbe fare una lista nazionale separata da Sel. Propone Pisapia leader nazionale. Ha bisogno del PD per governare, ma è con il PD in netta competizione, anzi lavora e opera a Milano come a Roma perché il Pd sia indebolito.
Secondo. A sua volta il PD, in difficoltà politica e senza capacità di produrre idee forza, sembra incapace di trasformare il suo peso in un valore politico.
Terzo. In giunta l’area riformista è debole e la spinta, tipica della sinistra radicale, di voler rappresentare comitati, singoli gruppi e la somma di tante minoranze, anziché la generalità dei cittadini, è fortissima. Sicché non mancano le occasioni perché l’azione amministrativa sembri più ideologica che pragmatica. Prevalgono gli “interessi” ambientalisti e radical chic, piuttosto che quelli popolari. Alcune politiche rischiano di apparire più di destra che di sinistra. E’ il caso dell’attenzione sproporzionata ad investire risorse ingenti per coloro che amano andare in bicicletta, che chiedono piste ciclabili anche improponibili, piuttosto che per i tanti che vorrebbero un sistema di trasporto più efficiente, nuove metropolitane e un sistema ferroviario organizzato per i collegamenti con l’hinterland e il resto della regione. I ciclisti del centro e dintorni vengono prima dei pendolari e dei “disgraziati” delle periferie. I privilegiati che vivono vicino ai luoghi di lavoro o non lavorano vengono prima degli altri. Ma questo è solo un esempio.
Quarto. Tutto ciò accade per un combinato disposto: ad una sinistra arcobaleno, rosso, verde e arancione, il PD non riesce a contrapporre una vera cultura di governo, forte e riformista. Ha accettato fin dall’inizio un ruolo troppo minoritario in giunta. Ha costretto Stefano Boeri, il suo punto di riferimento più autorevole fin dal momento delle primarie, a svolgere un ruolo troppo marginale. La sua compagine in giunta, tre assessori su dodici, non riesce a far squadra ed oggi non esprime più neppure il vicesindaco, passato silenziosamente dal PD all’area indistinta dei senza tessera di Pisapia. Un PD così debole, con poche idee, lo dico a malincuore, rischia ogni giorno di dividersi non sulle grandi scelte politiche, ma sul contingente. Tra coloro che sono in giunta e coloro che sono fuori. Tra coloro che sono al governo e coloro che in consiglio devono fare il lavoro sporco di difendere la maggioranza alla cieca e di contrastare un’opposizione quasi esclusivamente ostruzionistica. Così ogni occasioni, purtroppo, è buona per marcare divisioni anziché compattezza. Se Pisapia va in televisione a dire che riconosceremo le coppie di fatto entro il 2012, qualcuno maldestramente nel PD precisa. Sì, ma solo dopo l’arrivo del Papa che verrà a maggio a Milano per l’incontro mondiale della famiglia, con ciò offendendo l’intelligenza del Papa e smascherando un accordo con i cattolici. Se qualcuno sottolinea, magari esagerando, qualche debolezza di Pisapia nei confronti di Formigoni e di CL, viene accusato di lesa maestà. Se qualcuno solleva il problema della scarsa capacità di funzionamento della macchina comunale o di alcune aziende municipalizzate, viene accusato di disfattismo. O peggio, viene sospettato di muoversi contro i tanti dirigenti o amministratori scelti da Pisapia e dalla sua giunta con il solito metodo dello spool system. E così ad azione rischia di corrispondere subito una reazione uguale e contraria. Se il PD rivendica fin dalla nascita di questa maggioranza una Commissione consiliare antimafia, Pisapia anticipa il consiglio e nomina un comitato di esperti esterni presieduto da Nando Dalla Chiesa. Un’altra occasione per fare scintille.
Quinto. Anche a Milano, a sinistra come a destra, si guarda la luna nel secchiello, si confonde l’amministrazione con la politica e le gravidanze isteriche con le riforme.
Conclusione. Milano non è ancora in condizione di fare scuola, di dare il segno della svolta e i riformisti sono ancora in minoranza. Il vento riformista non spira ancora a gonfie vele. I pochi che ci sono, sono quotidianamente impegnati a riportare la politica ai fatti concreti, per evitare fughe in avanti e demagogia. E sono impegnati ad evitare i danni di tante “invenzioni” senza senso che arrivano da settori della maggioranza come delle vere e proprie calamità. Come quella di chi vorrebbe vendere le aziende municipalizzate in un momento in cui le azioni sono al massimo ribasso o di chi chiede a Monti una legge speciale con la quale sia istituita d’autorità la Città metropolitana milanese sulla testa dei comuni intorno. Cosa che non riuscì neppure, per effetto di una rivolta popolare di sindaci e loro amministrati, nel 1959 al governo monocolore di Fernando Tambroni con l’allora ministro dei Lavori Pubblici Giuseppe Togni.

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