PERCHE' HOLLANDE NON PIACE AL PD di Alberto Benzoni dall'Avanti della Domenica del 18 marzo 2012
16 maggio 2012
La sinistra italiana ha da sempre guardato alla Francia come sua fonte di ispirazione. E da due secoli a questa parte; partendo dalla Grande rivoluzione, per finire con Mitterrand con la sua strategia di unità della sinistra sotto il segno socialista. E ha tifato, cinque anni fa, per la stessa Royal, pur assai discutibile e come personalità e nel progetto che rappresentava.
Sarebbe stato, dunque, lecito attendersi una eguale partecipazione, razionale come emotiva, rispetto alla sfida rappresentata da Hollande. Dopo tutto il leader socialista francese pone - a prescindere dalla qualità delle sue proposte - due temi di fondo che, soprattutto per una sinistra di governo, dovrebbero costituire un passaggio ineludibile: la ripartizione dei costi della crisi nell’ambito nazionale; e la rinegoziazione degli accordi franco-tedeschi nel segno di una nuova strategia europea che attribuisca valore prioritario ai temi della crescita e dell’occupazione. Si aggiunga poi, a completare il quadro, che lo stesso Hollande ha, secondo tutti i sondaggi, ottime possibilità di successo. Attualmente siamo al 56% al secondo turno; margine talmente ampio da reggere, salvo catastrofi del tutto improbabili, ai tentativi di recupero di Sarkozy.
E, invece, nulla di tutto questo con un’attenzione alla persona e all’appuntamento che sta, almeno per ora, al minimo sindacale. Perché?
Nel caso dei veltroniani-nuovisti-moderati del Pd, la freddezza è più che comprensibile. Per loro il partito francese in generale e il suo leader in particolare sono l’incarnazione del “Vecchio”; insomma di una dottrina e di una retorica politica, quella del socialismo e del ruolo dello stato nazionale nel cambiamento della società, insieme superata, inutile e dannosa. E questo rifiuto colpisce anche l’idea tradizionale di sinistra in quanto sinistra alternativa in una società conflittuale. Perché la sinistra che hanno in mente l’ex sindaco di Roma e i suoi amici è quella dell’“interesse generale”e delle soluzioni condivise. Il passo ulteriore sarà allora quello di considerare la condivisione come punto pregiudiziale del processo di scelta sino al punto di considerare questa scelta come oggettivamente obbligata. Di qui l’atteggiamento verso Monti, il suo governo e le ricette proposte dall’Europa. Il primo non è da sostenere (e giustamente N.d.R.) soltanto perché traghettatore attivo e positivo verso equilibri più avanzati, ma piuttosto perché rappresenta e rappresenterà nel futuro prevedibile un orizzonte in cui identificarsi ‘senza se e senza ma’ come pure è necessario identificarsi, ancora in modo pregiudiziale, con l’ortodossia economico-finanziaria incarnata dal duo Merkel-Sarkozy, una strategia, insieme, obbligata e corretta.
In quest’ottica, Hollande rappresenta un fattore quanto meno di disordine e di disturbo. E allora i nostri amici nuovisti sarebbero tentati dall’esprimere il loro sostegno a Bayrou, se non allo stesso Sarkozy, ma non possono esporsi sino a questo punto e si limitano quindi ad esprimere, a mezza bocca, il loro disprezzo per il candidato socialista.
Diverso il caso di Bersani e dei suoi amici. Questi sono dei cripto socialdemocratici, sostenitori critici del governo Monti, per nulla soddisfatti dell’“Europa così com’è”, ma anche fiduciosi di poterne mutare orientamenti ed equilibri.
Tutto dovrebbe portarli allora ad investire sino in fondo su Hollande e il suo progetto. E, invece, almeno sino ad ora, di questo investimento non c’è traccia. Perché?
A pesare negativamente, nel nostro caso, ci sono i vizi di fondo della pigrizia intellettuale e della debolezza politica. La prima è quella di un gruppo dirigente che si definisce internazionalista, ma che rinuncia ad esserlo in modo attivo e in una fase in cui la riduzione degli spazi di manovra e di partecipazione democratica a livello nazionale non sono affatto compensati - al contrario - dalla crescita della politica a livello sovranazionale. Non a caso, il movimento socialista europeo è, e rimane, il grande assente nel confronto oggi in atto e a chi, se non ai partiti nazionali e alle loro intese, politiche e progettuali, spetta il compito di rianimarlo?
La seconda è quella di un gruppo dirigente del tutto incapace di avviare un vero dibattito al proprio interno. Eravamo, e siamo, alle punture di spillo, alle polemiche per interposta primaria, alle reazioni stizzose di fronte alle prese di posizione di questo o di quello, che hanno come complessivo risultato di bloccare sul nascere qualsiasi discussione sui temi di fondo. Tutti aspettano, come i socialisti di una volta, di vincere, nel tempo, grazie a questo o a quel soccorso esterno, che sia papa straniero o circostanze rese miracolosamente favorevoli.
Il rischio è che si perda tutti. O, più esattamente, che nell’impreparazione complessiva di fronte agli avvenimenti, questi siano gestiti da altri.