PERCHE’ DOMENICA VOTIAMO NO di Roberto Biscardini
01 dicembre 2016
Quando abbiamo deciso di dar vita al Comitato Socialista per il No sapevamo bene perché farlo. Perché sentivamo un dovere politico di dire No ad una pericolosissima proposta di riforma costituzionale. Che nega la nostra storia, il nostro passato recente e le aspettative di un futuro diverso. Un ibrido concettuale e costituzionale, fuori da qualunque modello normale di democrazia parlamentare. Perché non condividevamo il metodo con il quale il governo e la sua maggioranza ha imposto al paese uno scontro tanto pretestuoso quanto insidioso. Le riforme costituzionali si scrivono guardando alle necessità delle future generazione e non per soddisfare le convenienze momentanee delle maggioranze in carica. Perché non volevamo che il Si della segreteria del Psi, e di alcuni altri ex socialisti, cancellasse il senso della nostra dignità, quella che obbliga soprattutto in materia costituzionale, la legge fondamentale, ad essere generosi verso gli altri e per chi verrà dopo, socialisti quindi, e non egoisti con la vista corta. Non potevamo consentire il tradimento della nostra cultura democratica e liberale. Né si poteva consentire che il Si dei socialisti fosse direttamente collegato a ragioni opportunistiche, di piccolo potere, o per vendicare personali frustrazioni. Peggio ancora, che il riformismo dei socialisti fosse confuso con la tesi disarmante che “una riforma qualsiasi è meglio di niente” o peggio ancora “che la riforma fa schifo, che è poco chiara, ma bisogna votare Sì per difendere il governo in carica” rischiando così di offrire sul piatto d’argento ai futuri governi lo strumento per avventure peggiori.
Non potevamo consentire come socialisti che fosse rinnegata la storia che lega il socialismo alla Repubblica e alla Costituente del ’46, e che venisse infangato il tentativo glorioso della “grande Riforma” della fine degli anni ’70, che con questa “cosa” non c’entra nulla. Non potevamo permetterci di schierarci dalla parte di coloro che sembrano godere, in nome di una famigerata democrazia “decidente”, dello stravolgimento degli equilibri di potere, per rafforzare quello del capo dell’esecutivo a scapito di quello legislativo del Parlamento e dei rappresentanti del popolo. Non abbiamo voluto confonderci con coloro che, anche a sinistra, in nome della cosiddetta stabilità rinnegano il senso di una democrazia basata sulla straordinaria forza del pluralismo politico ed istituzionale, parte essenziale della nostra cultura, a favore di ogni tipo di centralizzazione politica e delle istituzioni.
L’abbiamo fatto con coraggio, subendo anche il peggiore ostracismo, fino ad essere appellati come traditori (di chi?) e fascisti.
Non si poteva conciliare la necessità di rimarcare la nostra identità socialista, proprio nel momento in cui lo scontro andava ad allargarsi. Non potevamo rinunciare ad affermare i nostri valori, i nostri programmi e la nostra aspirazione socialista a fronte di un evidente sbandamento culturale e deviazione morale anche della cosiddetta sinistra democratica italiana. Non potevamo essere complici dell’assalto all’impostazione democratica della nostra Costituzione, peraltro gabellato in nome della modernità, della velocità e del rinnovamento. Tutte balle.
Questa riforma è ispirata a disvalori e a concezioni antidemocratiche per rispondere agli interessi di tutti coloro che voglio una democrazia debole e quindi cittadini senza potere.
Il risultato del Comitato Socialista per il No è stato straordinario. E’accaduto molto di più di ciò che pensavamo potesse accadere e i buoni successi sono andati oltre ogni nostra aspettativa. Il Comitato Socialista per il No ha mobilitato in queste settimane numerosi compagni socialisti, dirigenti nazionali e locali di ieri e di oggi, iscritti e non iscritti al Psi, cittadini anziani e giovani tutti convinti della bontà dell’operazione e in forte dissenso con la linea di “fermezza filo governativa” sostenuta dal segretario nazionale del Psi. Abbiamo intercettato nelle tantissime riunioni e iniziative tenute in moltissimi comuni italiani, vecchi compagni, nuovi e giovani simpatizzanti, cittadini di ogni tendenza. Tanti incontri, mille manifestazioni.
Ci siamo dati un logo, un sito e una pagina facebook e abbiamo distribuito nei mercati e nelle piazze italiane migliaia e migliaia di volantini.
Ci siamo dati un’identità e intorno al Comitato promotore di circa cento socialisti si è ricostruita una larga comunità. Intorno ad un appello e ad un documento di base si è delineato un percorso per il futuro. La comunità socialista che si è ritrovata attorno alle ragioni politiche del No ha fatto squadra, percependo il bisogno di un salto di qualità, per lasciarsi alle spalle le incertezze e gli errori dell’ultimo ventennio, per darsi un progetto e un piano di lavoro, tanto se vince il No quanto se vince il Sì.
Un progetto e un piano di lavoro per riorganizzare un’area socialista nuova e influente in grado di unire in un disegno unitario le energie oggi disperse nelle tante micro organizzazioni locali e nei sentimenti repressi dei singoli. Riportando in un unico alveo tutti coloro che avranno voglia di farlo, tutti coloro che in buona fede nel passato sono andati altrove o non hanno fatto nulla. Ma soprattutto mettendo in movimento quei giovani e quelle donne che potranno rappresentare in un futuro anche recente il punto di riferimento di un progetto nuovo, questo sì di cambiamento vero della politica e della società. Quel movimento che si è formato, anche inconsapevolmente, intorno alle ragioni del No. Che ha sentito il dovere di dirlo e di diffonderlo, per dire basta a tutto a ciò che, per via di continue e progressive degenerazioni, ha accompagnato il corso della cosiddetta seconda repubblica trascinandoci verso “un regime illiberale e democratico solo a parole” che Bettino Craxi aveva profetizzato già nel 1996. Quei giovani che domenica scorsa sono andati in piazza, decine di migliaia che nessuno ha convocato e che si sono ritrovati lì mossi da uno straordinario senso civico, mezzo di protesta, mezzo riformista.
Intorno a un obiettivo preciso il Comitato socialista per il No è riuscito a mettere in moto e mobilitare una comunità fino ad oggi ferma, indicando uno sbocco. Un’iniziativa che ha consentito ai socialisti di riscoprire il gusto di ritrovarsi e di conoscersi, ma soprattutto di farsi conoscere dagli altri in quanto tali.
Questo è il punto: ricostruire rapporti politici nuovi tra quelle aree e quelle energie riformiste che nel No si sono riconosciute su posizioni riformiste per un programma e un impegno politico rinnovato. A partire dalla necessità di ricostruire una nuova repubblica vera, la seconda appunto, espressione di una volontà popolare che potrà affermarsi solo attraverso un Assemblea Costituente eletta direttamente dal popolo con metodo proporzionale. Per ridare senso unitario alla Costituzione affrontando il tema del riequilibrio della democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa e per mettere sul tavolo il tema urgentissimo delle regole per la cessione di sovranità nazionali dentro un nuovo federalismo europeo dei popoli.
Da subito, dopo il 5 dicembre, la battaglia contro l’Italicum, per un sistema elettorale proporzionale corretto che consenta la ricostruzione di forze politiche ispirate a valori e programmi riconoscibili, non agli schieramenti, non alle persone e ai cosiddetti leader. E naturalmente il tema più grande della riforma dello Stato a garanzia di diritti sociali uguali per tutti e di libertà, per una politica economica attiva e costruttrice di ricchezza senza la quale diventerà pleonastico continuare a rimestare il tema della sua redistribuzione, contro quella propaganda che negli ultimi vent’anni ha intaccato anche i fondamentali della sinistra in nome di uno stato leggero e del libero mercato.
Per ora basta. Da qui a domenica si sappia, in sintesi, che il futuro della democrazia resta legato all’esigenza primaria di dare voce e rappresentanza sempre più larga ai cittadini e al popolo, non solo per partecipare all’esercizio del governo della cosa pubblica, ma come disse con una sintesi efficace Ralf Dahrendorf richiamando Popper, “affinché il popolo possa liberarsi dai governanti senza spargimenti di sangue.”
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