PERCHÉ CHI HA DIVORZIATO O CONVIVE DEVE DIFENDERE LA SACRALITÀ DELLA FAMIGLIA? – Di Roberto Villetti da il Riformista del 2 febbraio 2007

15 febbraio 2007

PERCHÉ CHI HA DIVORZIATO O CONVIVE DEVE DIFENDERE LA SACRALITÀ DELLA FAMIGLIA? – Di Roberto Villetti da il Riformista del 2 febbraio 2007

Unioni civili. E’ ipocrisia parlamentare

La separazione tra vita privata e pubblica è completamente saltata con lo sviluppo in diretta del litigio tra Veronica e Silvio Berlusconi. Ci si deve chiedere se questo caso, che ha occupato le pagine dei giornali e gli spazi televisivi, non sia il segnale di una sorta di americanizzazione della società italiana, per cui la vita privata dei leader politici non ha, e non deve avere, segreti. Il caso ha voluto che nello stesso giorno si sia affrontata alla Camera la discussione sulle unioni di fatto, nella quale si è riproposto - e io stesso l'ho sollecitato - il problema del rapporto tra le proprie scelte private e quelle politiche.
Squarciando un velo di ipocrisia, ho sostenuto che è paradossale e contraddittorio difendere la sacralità della famiglia e contrastare il riconoscimento delle unioni di fatto se si è divorziati o si vive una convivenza al di fuori del matrimonio. Non c'era in questa mia osservazione alcun intento moralistico alla Savonarola per imporre ai leader politici, o ad altri colleghi deputati, di seguire nella vita privata un comportamento che fosse strettamente aderente alla fede cattolica da loro professata. Anzi, si tratta proprio del contrario. Chi ha vissuto la rottura di un rapporto matrimoniale, si è risposato o vive in un'unione di fatto, e in questo modo ha ritrovato una condizione migliore di prima, dovrebbe comprendere meglio di altri che non è possibile imporre a tutti un unico modello di famiglia.
La questione dei rapporti di coppia non può essere affrontata con una rigida applicazione di valori, ma deve fare i conti con la trasformazione in atto delle relazioni interpersonali. Come ha ben spiegato Massimo Cacciari, il modello della famiglia non è rimasto immutato nel tempo, ma ha subito notevoli cambiamenti. Da parte della classe politica non si può portare avanti una crociata a difesa della sacralità della famiglia quando neppure chi alza questo vessillo riesce a seguirne il valore nella sua vita personale. Questo richiamo alla coerenza non è una censura né tanto meno l'avvio di una caccia alle streghe. Non è neppure una critica alle vicende personali di chicchessia, tanto meno a quelle di Berlusconi e di Casini.
Estendere i diritti, come ha sostenuto il premier Zapatero alle Cortes nel sostenere il matrimonio tra omosessuali approvato con legge del giugno 2005, non significa affatto limitarli per altri. La stessa cosa vale per le unioni di fatto. Non c'è alcuna volontà di disincentivare i matrimoni, ma di prendere atto che vi sono situazioni nelle quali singole persone, o per scelta o per necessità, preferiscono non sposarsi. Le unioni di fatto non sono, infatti, uno strumento che obbligatoriamente deve essere adottato da una coppia, ma solo di una diversa opportunità. Più complessa - e non lo nego - appare l'estensione delle unioni di fatto a coppie omosessuali.
In questo campo è necessario fare un ragionamento del tutto pratico. Tutti sono d'accordo nel considerare la famiglia, intesa in senso ampio, non solo come un centro fondamentale di affetti, ma anche una istituzione che contribuisce alla tenuta di una comunità e che funziona storicamente, e soprattutto in Italia, anche da ammortizzatore sociale. Non si vede perché lo stesso metro non debba essere adottato per le coppie omosessuali. C'è un evidente interesse sociale che l'omosessualità non sia vissuta come un dramma e, comunque, sottoposta a discriminazioni. Ci si può trovare ad avere un figlio o una figlia omosessuale e questo può non essere vissuto come un dramma solo se la società, nel suo complesso, non lo considera come un comportamento “deviante”. Comunque, anche chi arriva ad accettare le unioni di fatto, solleva interrogativi sulla possibilità che una coppia omosessuale possa adottare un bambino o una bambina. Capisco queste perplessità perché in questo caso non vi sono solo di diritti di chi vuole adottare, ma anche quelli di chi deve essere adottato. Tuttavia, mi chiedo se la vita di un bambino sia davvero migliore in un brefotrofio senza famiglia o, invece con una famiglia composta da persone dello stesso sesso.
Dobbiamo chiederci se vi sia un ritardo delle nostre istituzioni nel dare un ritratto della vita dei cittadini che non risponde più neppure a quella concreta vissuta dagli stessi legislatori. Honoré di Balzac, che pure era un conservatore, nella prefazione alla Commedia umana, accenna alla diversità che esiste tra il comportamento delle persone e la propria rappresentazione sociale come chiave di lettura della società. È la morfologia della nostra società ad essere profondamente cambiata. Non c'è una società sana, aderente ai valori della Chiesa cattolica che si basa sul matrimonio tradizionale e una dove si vive disordinatamente, si divorzia, si praticano le unioni di fatto, comprese quelle tra omosessuali, ci si risposa e si hanno figli con partner diversi. Esiste, invece, una società nella quale si intrecciano condizioni e comportamenti differenti, che non possono essere compresi, e repressi, in un solo modello: quello che piace al Vaticano.

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