PER UN’IDEA UNITARIA DI SOCIALISMO di Roberto Biscardini, messaggio al seminario organizzato da Critica Sociale del 9 giugno 2012
13 giugno 2012
Cari amici e compagni,
mi dispiace di non poter essere oggi con voi in un’occasione di riflessione politica e in un momento importante per tutti coloro che vogliono essere socialisti.
E mi dispiace soprattutto di non essere presente perché questo seminario si tiene a Milano, come dice Rino Formica nella sua lettera “centro politico del socialismo delle origini”, ma purtroppo è anche la città nella quale abbiamo sofferto maggiormente, dopo il 1992, il distacco con l’opinione pubblica, quella con la quale i socialisti riuscivano ad identificarsi e lei si identificava con loro.
Ho letto i documenti che sono alla base di questo seminario, mi ci ritrovo in larga parte, ne condivido lo spirito e le riflessioni politiche, le idee e le considerazioni di fondo. Condivido lo spirito della proposizione generale del “Socialismo largo” come “categoria politica”, ma non posso non registrare come questa affermazione, interpretata da Rino Formica come “un’uscita di sicurezza dalla crisi” marci in parallelo con altre definizioni tutte altrettanto giuste, come quella di socialismo liberale o di socialismo riformista, tutte utili per collocare la questione socialista nella prospettiva della rinascita nazionale. Purtroppo nell’essere tra loro tutte diverse e insieme tutte giuste rischiano di indebolire l’idea generale di Socialismo “senza aggettivi” alla quale forse dovremmo dedicarci di più, ricostruendo una “narrazione semplice” che attraverso l’esplicitazione dei valori, dei principi, delle azioni e dei metodi, possa spiegare, soprattutto alle giovani generazioni, come da Turati in poi, il Socialismo italiano sia stato essenzialmente e contemporaneamente largo, liberale e riformista.
Il Socialismo come idea forte, appunto, ma rispetto al quale dobbiamo porci tutti insieme una domanda. Perché, pur avendo idee comuni ed elaborando sostanzialmente considerazioni simili, uniti dalla giustezza del nostro passato e dalla prospettiva per il futuro, non riusciamo a stare insieme in un unico partito? Tanto più che sempre per citare Rino “le grandi idee devono avere le gambe di un grande partito”?
Un partito che si alimenti di una partecipazione più larga rispetto ai suoi iscritti o militanti.
Una sorta di movimento che sappia affrontare la questione socialista, che non è solo una questione di partito, come questione nazionale, proprio nel momento in cui è sempre più evidente il nesso tra identità socialista e necessità di politiche socialiste per affrontare la crisi istituzionale, la crisi e la credibilità dello Stato insieme alla crisi politica ed economica.
Quindi il Socialismo non come esigenza formale ma come esigenza concreta, facendo leva sul fatto che il paese ha pagato prezzi enormi dall’assenza di Socialismo e della sua cultura.
In altre parole se da un lato occorre non perdere di vista il ruolo di sintesi di indirizzo politico e progettuale che il partito deve comunque esercitare, dall’altro essere socialisti oggi significa indicare nel concreto politiche socialiste per l’oggi. Concretamente. Quindi dovremmo promuovendo tutti insieme idee per unire non per dividere, cogliendo l’eccezionalità del momento che ci consente dopo anni di difficoltà, in cui non c’è stato spazio per politiche socialiste di far valere le nostre ragioni. A questo proposito non ci siamo dati ancora collettivamente una risposta del perché se il paese, e non solo noi, pur pagando un prezzo elevato all’assenza di cultura socialista non abbia ancora sentito la necessità di riempire il vuoto. Come ho accennato, certamente avranno influito le nostre debolezze e insufficienze, ma la questione strutturale sta nel fatto che le politiche liberiste che hanno dominato la scena politica dell’ultimo ventennio, e che da noi sono sostanzialmente coincise con l’inizio della Seconda Repubblica avevano bisogno non solo di derubricare i socialisti ma anche le loro politiche. Lo Stato doveva essere debole, i partiti dovevano essere sostituiti da singole personalità, la lotta alla casta aveva ed ha come obiettivo la distruzione dei partiti non il ricambio della classe dirigente e il rinnovamento della classe politica è diventato un problema anagrafico. E così sono stati liquidati gli obiettivi dello Stato sociale, il paese è stato attraversato da giustizialismo, discriminazioni, razzismo, diseguaglianze e l’esclusione è diventata un modello alternativo alle politiche inclusive della Prima Repubblica.
Naturalmente se avvertiamo il Socialismo del futuro come una necessità dobbiamo contare sul concorso di forze nuove e di storie diverse. Bisogna raggiungere questo obiettivo portando ad un unico fiume più affluenti . L'affluente dei socialisti con o senza tessera che non hanno rinunciato ad essere tali. Gli affluenti di coloro che nella sinistra non hanno ancora avuto il coraggio di dichiararsi socialisti, quelli che se prevarranno le tradizioni culturali europee dovranno decidere se diventare popolari o socialdemocratici. Infine l’affluente dei giovani, ai quali dobbiamo assolutamente rivolgerci persino con linguaggi adeguati, quelli che vent'anni fa non erano nulla né socialisti né comunisti, non erano neppure nati, e possono aderire al Socialismo e al PSI perché hanno una propensione internazionalista e sanno cogliere nel Socialismo internazionale lo strumento della giustizia, dell'uguaglianza e della libertà.