PER RUFFOLO IL PD HA DA ESSERE DI SINISTRA O NON ESSERE – di Giorgio Ruffolo da il Riformista del 1° dicembre 2006
03 gennaio 2007
«C’è chi lo intende come un progetto moderato per liquidare il socialismo e imboccare una scialba terza via che non fa i conti col capitalismo»
È stato “saggio” per un giorno. Anzi, nemmeno quello, perché alla fine Giorgio Ruffolo, esponente storico del Psi, ministro dell'Ambiente nei secondi Ottanta, fondatore e presidente del Centro Europa Ricerche, eurodeputato dei Ds per due legislature (nel 1994 e 1999) dopo aver partecipato all'operazione Cosa 2 - in due parole: socialista doc - non ha presenziato a una sola delle riunioni del comitato di politici e intellettuali, i cosiddetti “saggi”, incaricato di redigere il manifesto del Partito democratico. Con garbo e fermezza ha ringraziato Piero Fassino, che ne aveva indicato il nome, e rinunciato alla missione. Nelle ragioni del suo abbandono, così come le spiega al Riformista, si agitano molte delle contraddizioni dietro la nascita del Pd, anche quelle meno battute da politici e polemisti.
Spiega Ruffolo: «All'invito molto cortese che mi è stato rivolto, dopo matura riflessione, ho pensato di rispondere, non con spocchia ma con serena determinazione, che non vedevo possibilità di partecipare al gruppo senza che fossero prima chiarite alcune questioni che non possono essere demandate a un gruppo di intellettuali, per quanto brillanti essi siano. Di manifesti ne ho fatti tanti, ma sempre sulla base di una identità condivisa. E la definizione dell'identità di un partito si compone di due aspetti: uno è la sua collocazione geopolitica, l'altra è il progetto. Non si può affrontare il secondo aspetto, senza avere posto con chiarezza il primo. E occorre definirlo rispetto all'unico orizzonte possibile, quello europeo. Dove, è inutile dirlo, esistono due forze: la sinistra che riconosce nel Pse e la destra che sta col Ppe. In Europa le forze politiche si distinguono secondo la divisione tra riformisti e conservatori. In Italia purtroppo no, ed è la nostra tragedia». Ma chi o cosa ha fatto pensare a Ruffolo, prima ancora di accomodarsi sulla poltrona di “saggio”, che una soluzione condivisa e soddisfacente sulla «collocazione» del Pd non potesse trovarsi? «Perbacco! Continuo a sentire di illustri esponenti di quello che dovrà essere il partito futuro che rifiutano l'esperienza socialista come fosse qualcosa di lievemente osceno. Gente che afferma di non voler “morire socialista”. Per carità, io preferisco che vivano tutti quanti. Del resto, non si tratta di capire come morire, ma come vivere. E su questo vale una massima semplice: “Dimmi con chi stai e chi ti dirò chi sei”».
E perché il Pd non potrebbe fare da esempio per altri, invitandoli a seguire su una strada nuova? Risponde Ruffolo: «Io sono favorevole alla nascita del Pd, ma solo in quanto grande partito di sinistra. Non esistono partiti di centrosinistra. Il centro è un richiamo equivoco e anche pericoloso. Non perché il socialismo debba vivere come ideologia fissa e ormai catalogata, e d'altra parte gli stessi socialisti dichiarano nel loro statuto l'apertura a contributi di culture politiche differenti. Ma mi pare evidente che c'è chi intende la fondazione del Pd come soggetto moderato che dissolva il nucleo fondamentale della sinistra anticapitalista in una sorta di terza via scipita e scialba». Sinistra anticapitalista? Dura farne un partito con Rutelli e Marini. «Io sono dell'idea che sia non solo profondamente riformista ma compito fondamentale della sinistra, e dunque del Partito democratico, costruire un nuovo compromesso storico col capitalismo, in alternativa a chi ripropone stancamente un compromesso di tipo keynesiano fondato sulla spesa pubblica ma anche a chi propone una logica di subalternità al mercato». Così qualcuno potrebbe dire che a essere liquidato dal Pd è il centro liberale. Ruffolo, in effetti, non si sente liberale. «Il mio amico Michele Salvati dice cose che non posso sottoscrivere quando afferma che i socialisti sono diventati liberali e non lo sanno. Mi ricorda di quando nel dopoguerra si diceva “l'Italia è socialista e non lo sa”. Ovviamente non era vero, come non è vero oggi che i socialisti siano diventati liberali. Intendiamoci, io non avrei nulla in contrario a stare in un partito che nella sua carta di identità si richiami al socialismo liberale. Se però il riferimento è a Carlo Rosselli, non a Tony Blair». Questo dunque avrebbe proposto Ruffolo se fosse rimasto nel comitato dei saggi? «Certo, i capisaldi di un progetto socialista: l'opzione della qualità sociale rispetto alle teorie della crescita indiscriminata; sì all'economia di mercato ma non alla società di mercato; primato dei beni collettivi e del benessere collettivo sul consumismo privato».
Il dubbio, per usare un eufemismo, è che il progetto democrat in versione Ruffolo non solo non coincida, per usarne un secondo, con quello di Prodi e Rutelli, ma forse neanche con gli intenti di Piero Fassino e Massimo D'Alema. Insomma, Ruffolo è proprio convinto di volerlo, il Partito democratico?
«Confermo, sarebbe importante in un momento in cui i partiti sono in calo di consensi dar vita a una grande forza capace di aprirsi a una trasfusione di società civile, incontrando una domanda politica come quella delle primarie. Perché un altro rischio è costruire un partito che sia la mera somma di quelli esistenti o ripetere la sfortunata esperienza della Cosa, che fu l'aggregazione di pezzetti di nomenclatura politica. L'insidia c'è, mettere insieme un pezzo di tradizione ex comunista ed ex democristiana, lasciando intatta la storica tentazione antisocialista». E lasciando dall'altra parte molti dei voti dell'ex Psi. «Questa è una disgrazia e una vergogna, frutto di una certa deriva arrogante che il vecchio Psi imboccò suicidandosi politicamente». In conclusione, è sicuro il socialista Ruffolo che la sua battaglia non sia a fianco di Mussi e Salvi? Ruffolo non s'affianca: «Non posso non esser critico con quanti considerano oggi fondamentale quello che ieri consideravano osceno, gli stessi da cui ero tacciato di traditore del proletariato, connivente col complotto capitalistico, e che oggi accusano me di essere troppo liberale e non abbastanza socialista».