PER LA RICERCA SERVE UNA DIMENSIONE EUROPEA di Maria Rosaria Cuocolo dall'Avanti della Domenica del 10 giugno 2012
18 luglio 2012
La crescita di una società è legata alla produzione dei saperi, alla ricerca: è questo quello che, nel mondo anglosassone, viene definito “knowledge based society”.
La sfida che ci impone la crescente globalizzazione passa per l’individuazione di nuovi modelli di produzione ed organizzazione della società stessa, che generano una nuova forma di capitale, il cosiddetto capitale immateriale: esso è rappresentato dalla conoscenza e dalla competenza, che sono la nuova ricchezza di questo nuovo millennio.
In Italia, però, la spesa in ricerca e sviluppo è ferma da quasi dieci anni attorno all’1,1% del PIL: eppure, l’obiettivo per il nostro Paese, che avremmo dovuto raggiungere entro l’ampiamente trascorso 2010, stabilito nell’ambito della “Strategia di Lisbona”, era stato fissato al 2,5% del PIL per sostenere tale spesa.
Il solenne insuccesso riportato ci fa, a giusta ragione, parlare di “chimera di Lisbona”, atteso che la “High-Tech-Strategy” della Germania, decollata nel 2006, forte di sei miliardi di euro, sta operando una serie di interventi addizionali tesi al raggiungimento del 3% di spesa pubblica in ricerca e lo “Science Innovation Investment Framework” della Gran Bretagna stabilisce un target del 2,5% del PIL entro il 2014 a fronte dell’attuale 1,8%.
Decisamente i Governi che si sono succeduti non sono stati in grado di affrontare convenientemente la tematica e, quel che è peggio, hanno operato una serie di “riforme” che si sono rivelate, spesso anche nell’immediato, inadeguate quando non un vero e proprio fallimento.
Oggi, nel mondo dell’università e della ricerca, si va espandendo un “profumo di antico”, viste le recentissime modifiche al testo della “Gelmini” operate dall’attuale Ministro.
Nonostante che l’OCSE (che il Ministro Profumo novella per quanto attiene il reclutamento della docenza universitaria nella “nuova” formula localistica!) consideri l’impatto della ricerca sul settore socioeconomico la pietra angolare della politica dell’innovazione, si continua a fare confusione sul ruolo e sulla funzione della ricerca medesima.
Da socialisti, abbiamo sempre sostenuto che si dovesse puntare sul recupero e sull’ammodernamento del sistema ricerca e dell’alta formazione in Italia: la articolazione in ricerca di base (prevalentemente realizzata dall’università), ricerca applicata (che si effettua negli enti di ricerca) e ricerca industriale (che si sviluppa all’interno dell’impresa privata) necessita di un raccordo strategico e di un investimento adeguato.
La risposta che il MIUR ha fornito, lo scorso 18 maggio, con un apposito bando, risiede nel finanziamento di “cluster tecnologici nazionali”, vale a dire nel finanziamento dello sviluppo di distretti tecnologici nelle sole aree del Centro-Nord, per riequilibrare gli interventi già definiti tramite risorse prevalentemente derivanti dal fondo FAR.
Come PSI, quindi come un partito socialista di salda e convinta collocazione e tradizione europea, consapevoli dell’assunto che la ricerca sia, per sua natura, una attività dinamica, consideriamo più che mai urgente l’esigenza di fare massa critica per individuare realtà in grado di competere ed aggregarsi a realtà di livello europeo, anche alla luce degli obiettivi e delle logiche contemplate nella strategia di “Horizon 2020”.