PER AMORE DELL'ITALIA E DI MILANO - Introduzione di Roberto Biscardini all'Assemblea congressuale PSI del 19 novembre

12 gennaio 2012

PER AMORE DELL'ITALIA E DI MILANO - Introduzione di Roberto Biscardini all'Assemblea congressuale PSI del 19 novembre

Quando a giugno decidemmo in Segreteria nazionale di dar vita ad un’Assemblea congressuale programmatica, per rilanciare l’iniziativa del Partito, partivamo da una duplice esigenza: andare oltre il lavoro positivo che abbiamo svolto per rafforzare l’area riformista del centrosinistra creando contemporaneamente le condizioni per un rapporto migliore con il centro di Casini (assolutamente fondamentale nell’ipotesi di elezioni anticipate per la costruzione di uno schieramento credibile alternativo al centrodestra e a Berlusconi) e dall’altra rafforzare la nostra immagine e azione politica sul terreno dei contenuti.
Nasceva da qui l’idea di un’Assemblea congressuale programmatica che si rivolgesse al Paese e aprisse soprattutto dentro il centrosinistra un dibattito utile per affrontare la crisi fuori dallo schematismo berlusconismo-antiberlusconismo. La crisi economica, finanziaria, politica, istituzionale e morale doveva essere affrontata anche con il contributo dei socialisti, sul terreno delle proposte concrete e non solo degli schieramenti.
Abbiamo avanzato proposte di riforma che segnano una discontinuità con quello che è successo finora in questo Paese, convinti che il centrosinistra avrebbe dovuto caratterizzare la propria politica nel segno della discontinuità con il governo Berlusconi. In questo senso abbiamo impostato un’Assemblea programmatica rivolgendoci in primo luogo al centrosinistra, nella convinzione che si doveva candidare a governare il Paese non per fare in modo diverso o migliore le stesse cose che proponeva il Governo, ma per farne delle altre.
Nel merito delle proposte programmatiche rimando ai documenti congressuali, ma in estrema sintesi, intendo indicare quelle più significative.
Sul terreno della crescita, per affrontare seriamente il nodo strutturale del debito dentro un sistema di equità e di rafforzamento dello Stato, proponiamo la riforma del sistema bancario, un rafforzamento della lotta agli sprechi per realizzare riforme strutturali e favorire gli investimenti sia nel settore pubblico che nel settore privato, sostenere le imprese riducendo a loro favore la pressione fiscale, tagliare la spesa pubblica senza distruggere la democrazia.
Sulle politiche del lavoro, riprendere con forza il tema dell’introduzione del reddito di cittadinanza, che proponiamo da soli da almeno dieci anni, agganciato alla flex security, collegato ad una riforma efficace della formazione professionale.
Abbiamo riproposto, nell’ambito di una riforma organica del sistema politico-istituzionale, l’esigenza che prima o poi si arrivi all’elezione di un’Assemblea costituente che affronti il tema della riforma costituzionale fuori dagli equilibri parlamentari, ma da subito ci proponiamo l’obiettivo di costruire uno schieramento politico e istituzionale per l’introduzione di una nuova legge elettorale proporzionale e con preferenze. Per restituire ai cittadini quando vanno a votare, così come peraltro avviene per i Comuni e per le Regioni, la possibilità di scegliere un partito e un candidato.
Abbiamo aggiornato le nostre proposte sui temi della laicità e del rafforzamento dello Stato laico, che non vuol dire, come sempre abbiamo spiegato, chiusura del dialogo con il mondo religioso e cattolico, o peggio ancora confondere la battaglia affinché la Chiesa paghi allo Stato ciò che giustamente deve (vedi l’annosa questione dell’ICI) con un assurdo e anacronistico anticlericalismo.
Infine mi preme citare, soprattutto qui a Milano, il tema delle libertà e, dentro a questo sistema di diritti da rafforzare e rinnovare, la questione del diritto di cittadinanza da riconoscere da subito agli immigrati ed in particolare a quelli di seconda generazione.

Con la nascita del nuovo Governo, il Congresso di Fiuggi non perde le sue ragioni programmatiche, ma assumerà inevitabilmente una dimensione ancora più politica, non solo rivolta, come poteva essere prima, all’ambito prioritario del centrosinistra, ma a tutti, nel quadro più generale di un sistema che potrebbe aprirsi e di una fase che sembra fortunatamente chiusa. Fiuggi avrà quindi, di fronte a sé, un nuovo ed importante interlocutore, il Governo Monti appunto, non solo per quello che potrà fare, ma anche per ciò che potrà rappresentare.
Chi come noi ha sempre avuto chiaro che la nascita di una forza socialista e socialdemocratica non avrebbe mai potuto crescere in Italia dentro il sistema politico della seconda Repubblica, nata contro il PSI e contro i partiti di lunga tradizione politica, chi ha resistito in questi ultimi vent’anni nella convinzione che il rafforzamento di una forza socialista sarebbe stato possibile solo con il superamento della seconda e la nascita di un movimento per la terza Repubblica, non può non cogliere nel Governo Monti un momento di rottura col recente passato.
Oggi, pur in un momento delicato della democrazia del Paese, dal quale emergono forti contraddizioni, può cambiare tutto e non necessariamente in peggio, una fase nuova si può aprire anche per noi.
Certo, così come il 1993 aveva trovato i partiti impotenti e annientati dalle vicende giudiziarie, così oggi nasce un Governo cosiddetto tecnico senza i partiti. Colpa di Monti e Napolitano? No. Colpa dei partiti della seconda Repubblica, e dei più grandi in particolare, che hanno consumato nel tempo ogni energia dentro un bipolarismo, di cui si erano alimentati, che li ha portati allo sfinimento, e ad essere fuori dal gioco nel momento più delicato della crisi. Così PDL e PD, i figli legittimi di quella seconda Repubblica, sono costretti a stare insieme in Parlamento (costretti a dar vita ad una grande coalizione parlamentare) perché la loro debolezza e il loro passato non gli consente di essere insieme in una grande coalizione di governo. Il peggio che gli poteva capitare.
In una situazione delicata nella quale il centrodestra pensa di giocarsi Monti come un elemento di transizione per uscire dalla fase della sua maggiore difficoltà, magari mandandolo a casa nel momento a loro più opportuno, e con un centrosinistra che se non corre presto ai ripari, alzando non il tono dello scontro ma della politica, rischia di pagare il prezzo più caro.
Il nostro elemento di forza è paradossalmente che siamo in una fase in cui anche senza i partiti non è sparita la politica e possiamo contare che avvengano tre cose.
Primo: il Governo Monti dovrà fare le riforme e quindi sarà anche per noi un punto di riferimento su cui confrontarsi, affinché ci siano politiche di crescita e non solo di rigore, per discutere di riforme dentro ad una rinnovata cultura riformista. Naturalmente su alcune proposte come un ritorno all’ICI tout court potremmo non essere d’accordo.
Secondo: il Governo Monti, proprio perché obbliga la politica a confrontarsi su provvedimenti concreti fuori dallo schema bipolare, può dare forza ad una sinistra riformista, distinta e diversa dalla sinistra parolaia, quella isterica, che va in piazza a buttare le monetine contro Berlusconi obbligandolo ad uscire dal Quirinale dalla porta di servizio, ma che è stata pronta fin dal giorno dopo ad andare in piazza contro Monti, contro il Governo del Presidente Napolitano, accusati di essere espressione dei poteri forti, tecnocratici. Due cose, una prima ed una dopo, che se non saranno governate soprattutto da un PD che sceglie la linea di governo e non quella di lotta, offriranno alla destra la possibilità di tornare in pista su un piatto d’argento.
Terzo: Monti può indirettamente restituire forza ad un’idea di una democrazia basata sui partiti, proprio perché dopo Monti non ci potrà essere più un Governo Monti. Dopo questa transizione si dovrà tornare ad un governo dei partiti, ma è attendibile, anzi auspicabile, che non siano più quelli che escono sconfitti da questa vicenda ventennale. L’ha capito bene il mondo cattolico, che si sta organizzando per ricostruire un partito di centro, una sorta di nuova Democrazia Cristiana. Se l’hanno capito loro, dovremmo capirlo anche noi socialisti, tutti indistintamente, perché la possibilità di dar vita ad una forza socialista e socialdemocratica c’è oggi, questo è il momento più opportuno che ci capita da quasi vent’anni.

Su Milano e sulla giunta Pisapia.
Siamo convinti che questa giunta può fare molte cose e molte possiamo farle noi socialisti in maggioranza.
Avendo idee chiare e puntando su ciò che oggi ci sembra più essenziale, sia per caratterizzare l’iniziativa dei socialisti, sia per dare senso al ritorno di una giunta di sinistra a Milano, ma le cose vanno fatte in grande, con coraggio, con coerenza, fuori da pressioni demagogiche che pur attraversano questa maggioranza. Non può essere che l’ecopass, oggi area C, sia l’elemento caratterizzante del ritorno del centrosinistra a Milano dopo vent’anni di centrodestra. Né il pur doveroso impegno per sanare il buco di bilancio può essere perseguito con vendite e privatizzazioni.
Noi siamo in Comune per realizzare cinque politiche nuove e forti, che cito solo per titoli e per sommi capi.
Uno: Milano deve riscoprire le sue eccellenze e la sua dimensione internazionale. Pertanto il consiglio, la giunta e il Sindaco devono essere alla testa di una grande impresa, quella del rilancio della nostra economia, delle nostre imprese, dei nostri centri di ricerca, delle nostre università, dell’innovazione e della produzione della nostra cultura nel mondo. Il Made in Milan in senso lato, fuori da ogni provincialismo e da ogni chiusura in se stessi.
Se Pisapia vuole interpretare, storicizzando il socialismo migliore dell’altro secolo, vada nel mondo, in Cina, in India, ovunque, a vendere il prodotto Milano, così come i sindaci socialisti dei primi anni del ‘900 andavano in Valtellina ad impiantare centrali idroelettriche.
Due: per i socialisti al centro dell’iniziativa dell’amministrazione comunale ci deve essere la lotta all’evasione fiscale, e non ci riferiamo tanto all’evasione dei bottegai e degli artigiani, ma a quella prodotta da grandi imprese e da grandi potentati finanziari. Quindi lotta all’evasione fiscale strettamente legata alla lotta alla criminalità. Nel concreto, non a parole, in modo molto più efficace di quanto abbiano saputo fare tanti esperti di lotta alla mafia in questi anni. Molte pagine scritte contro la collusione tra mafia e politica con risultati pressoché zero. Gli inutili professionisti dell’antimafia. La lotta alla criminalità vera e all’evasione fiscale vera si fa con strutture sofisticate, con personale esperto, con l’intelligence che un comune nuovo e grande come Milano può assolutamente impiantare. I socialisti propongono che in tutti i comuni, a partire da quello di Milano, si dia vita a strutture amministrative efficaci per raggiungere questo obiettivo.
Se il comune di Milano recuperasse solo il 10% di evasione fiscale, porterebbe nelle casse comunali più di 450 milioni di euro all’anno, più di quanto otterremo con la vendita di Serravalle e della SEA.
Tre: sburocratizzare la macchina comunale, per realizzare nuovi fattori di crescita, per organizzare un comune diverso, per rispondere a un sistema di imprese e attirare investimenti italiani e stranieri che hanno bisogno di risposte rapide in un sistema amministrativo assolutamente trasparente. La macchina burocratica del comune appare invece ancora una macchina vessatoria e su questo il centrosinistra si gioca una parte fondamentale della sua credibilità, così come se la gioca sul termine trasparenza, intorno al quale ha costruito la sua immagine, ma su cui c’è al momento ancora più di un’ombra.
Quattro: nuove politiche del lavoro e impegno dell’amministrazione comunale nella formazione professionale, per aiutare i giovani a riscoprire il lavoro come un valore e per fare della padronanza di un mestiere un fattore di crescita e di opportunità. Fare oggi ciò che fecero i socialisti più di cent’anni fa con la nascita dell’Umanitaria, valorizzare e riformare la formazione professionale, a partire dalle opportunità offerte dalle leggi sull’apprendistato.
Cinque: costruire una città migliore per tutti, in cui al centro ci sia il tema di una casa meno costosa nell’acquisto e nell’affitto. E ci sia qualità urbana su tutto il territorio, con il rilancio di un grande progetto per la qualità delle periferie. La sinistra che governa Milano non può essere la sinistra del centro storico: aria pulita nel centro, meno traffico nel centro, più qualità urbana nel centro che si tradurrebbe alla fine nella valorizzazione delle rendite immobiliari nel centro. L’esatto contrario di ciò che dovrebbe fare la sinistra.
Quindi anche da Milano spetta ai socialisti fare una politica alta e riorganizzare le proprie fila, per essere più presenti e più efficaci nella città.
Dobbiamo sfidare il disprezzo che alcuni hanno ancora nei confronti dei socialisti. Nonostante ciò che molti ritengono, movimento arancione compreso, non può più essere considerata un delitto la volontà di riorganizzare una forza moderna del socialismo e della socialdemocrazia europea in Italia anche a partire da Milano.
Non può essere considerato un delitto se, a partire dal dato di fatto che l’unica organizzazione politica socialista che ha resistito nella seconda Repubblica è il PSI, si cerchi di partire dal PSI per organizzare questo movimento socialdemocratico di tipo europeo.
Lo faremo in forme nuove, attrezzando luoghi d’incontro e di elaborazione, chiamando tutti senza distinzione a partecipare e a dare il proprio contributo. Chiamando tutti, i giovani in primo luogo, quelli che credono nel socialismo per i valori che esso esprime, giustizia sociale, libertà, internazionalismo. E lo dobbiamo fare richiamando i meno giovani, recuperando l’elettorato socialista che dopo il ’93 è finito in Forza Italia e chiedendo ai post-comunisti del PD di diventare socialisti. A tutti loro non dobbiamo offrire l’obiettivo limitato, pur assolutamente necessario, di passare dall’1 al 2% per ritornare in parlamento, ma dobbiamo prospettare un successo e un risultato molto più forte. In politica si può fare in poco tempo ciò che non siamo stati in condizioni di fare per molti anni.
Non dobbiamo perdere una grande occasione. Lo hanno capito i molti giovani che partecipano a questa assemblea, che hanno preparato dei loro contributi per il dibattito sulle questioni programmatiche, lo hanno capito alcuni esponenti ancora iscritti ad altri partiti, che sono venuti qui oggi a portare il loro contributo. Il passaggio dal PSI di oggi a un grande partito socialista avviene però a condizione di essere un partito aperto, con un gruppo di dirigenti nazionali e locali che hanno come unico obiettivo quello di lavorare in funzione delle future generazioni.
Un partito socialista insieme di tradizioni, aspirazioni e aspettative anche tra loro diverse.

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