PD, CINQUE PALLE UN EURO IL ROMPICAPO DELLE ALLEANZE di Alberto Benzoni dall'Avanti del 16 settembre 2012

07 novembre 2012

PD, CINQUE PALLE UN EURO IL ROMPICAPO DELLE ALLEANZE di Alberto Benzoni dall'Avanti del 16 settembre 2012

Ricordate quei baracconi in cui, con il modico versamento di un soldo, potevi buttare giù una serie di “teste di turco”? Molto bene. Perché oggi quel giuoco un po’ è diventato un appuntamento solenne della democrazia italiana. E si chiama “primarie del Pd”. è un giuoco aperto a tutti, con il modico versamento di un euro. E già vediamo affollarsi ai gazebo milioni di italiani, simpatizzanti e antipatizzanti del Pd, di sinistra e di destra, con la colorita presenza di gruppi organizzati di ogni risma assoldati all’uopo. Con il risultato di portare alla vittoria il candidato contrapposto a quello ufficiale; e con la subordinata di far annullare il tutto sull’ondata di denunce di irregolarità e di contestazioni acrimoniose. Si sarebbe dovuto introdurre un minimo di garanzie. Che so quell’albo di “aventi diritto alla partecipazione” proposto, tra l’altro, anche dal nostro partito. Il semplice diritto-dovere per chi partecipa di accettare, che dico di rivendicare la propria appartenenza alla sinistra; e di far registrare la sua scelta a futura memoria. Ma, secondo il nostro soave avvelenatore di pozzi, leggi Romano Prodi, questo vincolo di decenza elementare sarebbe un “ostacolo alla partecipazione democratica dei cittadini”. Amen. Lo stesso Prodi sottolinea, per altro verso, che non si possono fare primarie di coalizione, senza coalizione. Osservazione più che giusta. Ma che, venendo da lui, non è affatto innocente. Perché non significa “niente primarie perché non c’è una coalizione” ma piuttosto “dovete fare le primarie ma, per prima cosa, dovete fare la coalizione”. Ora, “fare la coalizione” significa costituire preventivamente uno schieramento e un programma su cui chiedere il consenso degli elettori, per poi governare insieme. Insomma, l’Unione/Ulivo di cui evidentemente il Nostro sente una incoercibile nostalgia. Ma il fatto è che oggi il Pd non è in grado di costruire alcuna coalizione né con Vendola senza Casini, né con Casini senza Vendola; né con tutti e due. La terza ipotesi è impraticabile; le prime due porterebbero ad una spaccatura drammatica del Pd. Tutto questo Bersani lo sa e punta perciò (in questo d’accordo con Berlusconi, anche se per ragioni del tutto diverse) a cambiare l’attuale legge elettorale (stiamo parlando del porcellum, per chi non l’avesse capito), a partire dall’eliminazione del suo aspetto più significativo: il premio alla coalizione. Il suo disegno è chiaro e, ad avviso di chi scrive, corretto: presentare un programma fatto di alcune opzioni di carattere generale (diciamo l’agenda di Monti con alcune varianti di tipo socialdemocratico); garantire la legittimità della sua candidatura alla Presidenza con le primarie; infine costruire su questa base una maggioranza di governo che consenta di mettere insieme il centro e il grosso della sinistra. In un paese normale, un disegno più che ragionevole. Nell’Italia di oggi un disegno destinato ad abortire sul nascere. Ecco infatti, da destra ma ahimè anche e soprattutto da sinistra coloro che, sino a ieri, si stracciavano le vesti per l’infame legge porcata, sabotare scientemente ogni ragionevole tentativo di cambiarla e con argomenti tanto sguaiati (“accordo uguale inciucio”) quanto inconsistenti (si invoca il ritorno al mattarellum, ma dove sono i numeri in Parlamento?). Con il risultato, scontato o di mantenerla in piedi così com’è o di lasciare al centro-destra la bandiera della riforma. Beninteso delle proposte, giuste o sbagliate, di Bersani non se ne occupa nessuno. Forse perché nessuno, in particolare a sinistra, è in grado di esporsi in modo credibile su questo terreno. Resta, allora, la giostra delle primarie. Con l’assoluta certezza che queste si concluderanno con il crollo del baraccone. O perché verrà comunque buttato giù il giostraio (leggi Bersani) o, più probabilmente, perché il gioco verrà sospeso, ma per affrontare l’ira funesta dei milioni di possibili partecipanti. Insomma, o la sconfitta di Bersani o la dichiarazione di fallimento del Pd. In tutta questa vicenda non si riesce francamente a scorgere un disegno. Non ci sono vincitori all’orizzonte. C’è solo un grande campo di rovine. Pure, questo disastro si svolge alla luce del sole. E con la partecipazione convinta della pubblica opinione. Quella che si stringe sempre più intorno a Renzi non per quello che dice o si propone di essere, ma semplicemente per quello che contesta. Quella che vede con ostile e pregiudiziale sospetto la politica e i politici sino al punto da rifiutare pregiudizialmente la logica degli accordi e delle mediazioni. Tutto questo viene da lontano. È il frutto logico e. inevitabile di una Rivoluzione, quella di Tangentopoli, mai compiutamente realizzata, ma nemmeno coerentemente contestata e superata. Oggi questo movimento sta per travolgere il Pd. In un certo senso, è una nemesi storica. Sta crollando l’ultimo e più importante ramo di un albero che gli ex comunisti hanno potentemente contribuito a distruggere. Dobbiamo compiacercene? Non ne sono così sicuro.

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