PARTIRE DALLA VITTORIA DEL NO PER COSTRUIRE UNA NUOVA IDENTITA’ di Alfiero Grandi da Il Manifesto
16 febbraio 2017

I
risultati del referendum costituzionale continuano ad essere ignorati o
sottovalutati dal dibattito politico e partitico,oscurando progressivamente
l'alta percentuale di votanti e la vittoria del No.
Perfino tra chi si è dichiarato per il No sembra esserci se non la rimozione
come fanno altri una certa fretta di dimenticare il referendum del 4 dicembre.
E' una pratica pericolosa per la democrazia.
Pericolosa perchè se in questa fase di crescente astensione e di disaffezione
politica dilagante, terreni di coltura del populismo, dovesse prevalere la
rimozione del voto le elettrici e gli elettori si sentirebbero respinti, verso
una radicalizzazione, qualunque forma possa assumere.
Sarebbe uno schiaffo alla voglia di partecipazione democratica, con conseguenze
imprevedibili.
Piaccia o non piaccia il No si è raccolto attorno alla bandiera della difesa
della Costituzione. Non era l'unica motivazione, ma è significativo che sia
stata quella egemone, adottata da tutti, con maggiore o minore sincerità.
Costituzionalizzare le opposizioni è stato in passato un obiettivo comune ad un
ampio arco di forze, oggi sembra essersene persa la memoria.
Dopo tante chiacchiere sul cambiamento necessario, piaccia o meno, il 4
dicembre ha prevalso una forte volontà di cambiamento, a meno che non si
confonda il cambiamento con il consenso.
Sta iniziando una stagione di congressi con al centro la rideterminazione della
collocazione dei partiti, in vista della nuova legge elettorale, con la quale è
sperabile si riesca ad eleggere un parlamento effettivamente rappresentativo,
che possa contribuire a risalire la china della credibilità delle istituzioni,
oggi al minimo. La legge elettorale è un banco di prova coerente con il
referendum.
Per avere un parlamento credibile e rappresentativo occorre che gli elettori
possano scegliere i loro rappresentanti, in cui possano riconoscersi.
Le liste bloccate, tutte o in gran parte, sono la scelta più grave, perchè
prefigurano dei nominati dall'alto anziché degli eletti dai cittadini, quindi
condizionabili, debitori al capo della loro elezione, senza alcuna autonomia e
soprattutto distanti da quelli che dovrebbero rappresentare e sempre più
reclusi in un recinto autoreferenziale.
Le liste bloccate sono un colpo mortale alla partecipazione democratica.
Scegliere con le preferenze comporta problemi di cui si è persa in parte la
memoria, ma se si guarda ai collegi del Senato, composti da milioni di elettori,
è evidente che il costo di una campagna elettorale sarebbe proibitivo, quindi
selettivo per censo, inoltre le preferenze potrebbero portare a fenomeni di
inquinamento del voto. Meglio i collegi uninominali.
Il proporzionale oggi è un correttivo inevitabile dopo un maggioritario
pasticciato e impresentabile, prima con il porcellum poi con l'Italicum. Il
proporzionale può avere gradi diversi di correzione del maggioritario, ad
esempio con le soglie di accesso, pur diverse, previste dalle sentenze della Corte.
La combinazione del proporzionale con i collegi uninominali è del tutto
possibile, come è già avvenuto in passato. La via più semplice è che i
candidati collegati ad una lista entrino in proporzione ai voti oppure alla
percentuale ottenuta, nella misura dei voti ottenuti dalla lista.
E' possibile che dopo le elezioni non ci sia un unico vincitore e sia
necessario affrontare la costruzione di una coalizione di governo. Il che non è
affatto una bestemmia. Quante volte il governo Renzi ha giustificato le non
scelte con l'esigenza dell'accordo con gli alleati ? Vero o falso che fosse, è
la conferma che gli accordi sono necessari. La vocazione maggioritaria può poco
se i voti non ci sono, e se solo gli artifici elettorali fanno diventare
maggioranza una minoranza politica.
Il vero problema è che gli accordi, se non sono compromessi impresentabili,
debbono avvenire tra soggetti che hanno una loro identità ed essere
trasparenti, discussi ed accettati, cercando consenso nel paese. In sostanza
richiedono la presenza della politica, dei partiti. Oggi partito è un termine
desueto, eppure è proprio questo che è necessario.
I partiti come possono ricostituirsi ? Difficile ricostruirli senza fondamenti
importanti, idealità, perfino discrimini. Le diversità non sono un danno, se si
muovono entro regole comuni come la Costituzione, oggi per fortuna confermata,
e perfino destra e sinistra possono tornare ad essere termini con significato.
Per questo il risultato del 4 dicembre non è archiviabile, anzi è un
discrimine. Nessuno pensa che ci siano elettori di serie A e di serie B, ma il
problema di fondo è partire dalla vittoria del No per costruire i fondamenti
della propria identità. Non basta ma è un punto forte. Le alleanze, le
convergenze, le formazioni politiche non possono che essere costruite partendo
da questo punto che delinea diverse, se non opposte, concezioni della
democrazia e del governo, da cui derivano altre conseguenze come il rapporto
con l'Europa e la globalizzazione, il ruolo del lavoro, partendo dai referendum
cgil, la coesione sociale fondata sull'attuazione dei diritti fondamentali.
Ce n'è abbastanza per costruire partiti e motivare la partecipazione. Se invece
prevale la palude, l'assorbimento per stanchezza, peggio la restaurazione
incurante delle pulsioni di rinnovamento, il risultato sarà una crisi di
credibilità della democrazia che può assumere forme più o meno gravi, di cui
risultati elettorali come quello di Trump sono un segnale d'allarme di
proporzioni enormi, ma non è l'unico.
La sinistra ritiene che questo discorso non la riguarda ? Chi pensa così
sbaglia, è esattamente rivolto a lei e il primo banco di prova sarà proprio la
legge elettorale, a partire dalla raccolta delle firme già iniziata.