PACS SOCIALISTA - di Alberto Benzoni da La Gazzetta Politica del 29 ottobre 2005

10 novembre 2005

PACS SOCIALISTA - di Alberto Benzoni da La Gazzetta Politica del 29 ottobre 2005

A sinistra esiste da tempo un deficit di spirito laico. La subalternità verso ogni tipo di corporazione si è accentuata per l'assenza della componente socialista, liberale e radicale

Signori, siamo lieti di annunciarvi che sulla scena elettorale del 2006, comparirà, e sarà una prima assoluta nella storia del nostro dopoguerra, una nuova aggregazione politica, fondata sull’intesa tra socialisti e radicali. Che lo crediate o no, la cosa non era mai successa in passato. Al di là della iniziale e disastrosa esperienza del 1958 (lista in comune con il Pri) i radicali avevano, infatti, sempre corso da soli, negli anni della prima repubblica, come in quelli della seconda, magari con sigle diverse ma inalterata e inconfondibile identità.

La storia del partito
Non così i socialisti. Almeno negli anni successivi a Tangentopoli: quando avevano alternato tentativi di ricostruire possibili unità con radici della diaspora con accordi puramente elettoralistici con altre formazioni dell’area di centro-sinistra: sino a puntare sul loro inserimento nella più vasta area "riformista" in combinata sull’asse Ds e margherita e sulla figura di Prodi. In ogni caso, anche per i socialisti, la combinazione del rilancio identitario (lista comune dei socialisti) e dell’intesa politica/programmatica con i radicali (a partire dalla stessa lista)rappresenta un’assoluta novità. A questo punto, però, è lecito chiedersi: perché il lieto evento - se così vogliamo definirlo - non è maturato prima (magari in tempi, diciamo così, politicamente più propizi)? E perché, proprio nel contesto di oggi? Dovrebbe sortire buoni frutti?
Per capirci qualcosa, occorrerebbe che qualcuno scrivesse la storia del partito radicale, con i dovuti capitoli riservati ai rapporti con il "mondo esterno". Ma questa storia la potrebbero scrivere solo i protagonisti: perché chi non è radicale (e quindi non partecipe dell’essenza della cosa…) sarà sempre portato ad offrirne immagini "estreme e politiciste". Ma ora, in attesa che Marco Pannella (o Emma Bonino…) facciano ordine nelle loro memorie, possiamo procedere solo per intuizioni e approssimazioni. Quello che abbiamo di fronte è, infatti, un paesaggio vivo e contraddittorio. Lo guardi da una parte, e ti sembra di un certo tipo. Usi un’altra angolazione e ti apparirà totalmente diverso. Usi certi parametri politici e socialisti e radicali sembrano fatalmente avviati all’unità; ne usi altri e il loro destino sembra essere quello di una permanente separazione.
Così se guardiamo alle ideologie i socialisti degli anni sessanta e settanta sembrano distanti anni luce dalle posizioni radicali, statalisti e liberisti; antiamericani (e anti sovietici) in nome di un approccio neutralista e terzomondista e difensori intransigenti degli interessi e soprattutto dei valori dell’occidente; filo palestinesi e filo israeliani, fautori degli equilibri più avanzati e contestatori dei medesimi in nome di un giudizio pregiudizialmente negativo sul sistema politico italiano nel suo complesso.
Pure, in questo stesso periodo, e, ancor più, nel corso degli anni ottanta, socialisti e radicali si ritrovavano spessissimo insieme; qualche volta insieme ad altri, assai più spesso da soli. E non parliamo soltanto del divorzio e dell’aborto, dove accanto al ruolo di Pannella e dei socialisti nel difendere (nel difendere non nel promuovere) il ricorso al referendum abrogativo dovrebbe essere ricordato una buona volta anche quello del Psi sulla "scrittura" di queste due leggi di libertà. Ma parliamo anche dell’esercito e dell’obiezione di coscienza, dei mille appuntamenti comuni per la difesa dei diritti civili: dagli appuntamenti per la riforma e la liberalizzazione del sistema radiotelevisivo, dell’azione di revisionismo ideologico su tanti fronti; e, infine, e soprattutto dalla comune linea di analisi e di condotta tenuto nel caso Moro.
Dobbiamo stupircene? Potremmo farlo se considerassimo decisivi a definire la natura di un partito, la sua ideologia o, magari, la sua "collocazione politica". Mentre, nel nostro caso, ad affiancare radicali e socialisti è piuttosto il loro Dna: la vocazione laica; la costante tensione liberale e libertaria; la costante pulsione revisionista e, perciò, contestatrice, nei confronti di qualsiasi vulgata politico o culturale; la sensazione di doversi costantemente misurare con un nemico ostile o, quanto meno, ad un assetto politico non conforme alle proprie aspirazioni e/o alle necessità del Paese. E però, queste comuni ispirazioni hanno portato socialisti e radicali a colpire, e spesso anche a marciare uniti (pensiamo ancora negli anni ottanta ai referendum sul nucleare o sull’ordinamento giudiziario - modalità di votazione per il Csm o introduzione della responsabilità civile del giudice); ma senza andare oltre; anzi mantenendo fermo il massimo di reciproca autonomia.

Questioni di fondo
E qui giocano, in particolare per i radicali, fattori ancora più profondi, legati al modo di essere e di fare politica del partito. Un partito "setta", tenuto insieme da una visione globalmente negativa del "sistema italiano" ma al tempo stesso costantemente impegnato per migliorarlo. L’universo dei radicali è, in un certo senso, quello pirandelliano dell’"uno, nessuno, centomila": il partito è da una parte, immaginato e, almeno nelle intenzioni, "privato di parola" da parte del "sistema" (e, magari per colpa della sinistra più che della destra); ma riesce anche ad essere "centomila". E ci riesce perché si comporta da fiume carsico, scomparendo dalla scena durante i fasti ordinari della "politica politicante"; e riemergendo prepotentemente, con lo strumento del referendum o del "coinvolgimento diretto della pubblica opinione" su questa o quella questione di fondo.
Naturalmente non tutte le questioni sono di fondo (in questo senso, e solo in questo senso, può essere giustificata l’assenza ai radicali di "ricorso eccessivo ai referendum") e, ancora, non tutti gli appelli alla coscienza del Paese, sono privi di un più o meno evidente strumentalismo (così i costanti inviti a "salvare" con acconci impegni politico-finanziari, il partito. Pure, l’impianto della politica radicale è estremamente coerente e lineare: massima indipendenza da qualsiasi condizionamento esterno e perciò rifiuto di aderire pregiudizialmente a questo o a quello schieramento, di destra, di centro o di sinistra. Azioni mirate basate, in sostanza, sull’accordo "di chi ci sta". Rapporti preferenziali, certo, con personalità o partiti più sensibili alle tematiche radicali. Ma alleanza organica, nessuna, nemmeno sulla forma di una lista elettorale comune.
Su tutto questo intervenne poi la bufera di Tangentopoli. In quella occasione Craxi e i socialisti ebbero ogni possibile manifestazione di simpatia e solidarietà umana da parte di Pannella; ma nella loro veste di capi espiatori delle colpe del sistema; e proprio di quella prima repubblica di cui Craxi era stato, sino all’ultimo, protagonista; e che Pannella, invece, aveva da sempre sottoposto ad una contestazione radicale e senza sfumature. Possiamo, ora, arrivare alla seconda repubblica.
La sorte che ha riservato, e per lunghi anni, ai socialisti è nota a tutti; e oggetto di infinte polemiche e discussioni. Assai meno esplorata, invece, le vicende radicali: quelle di una formazione politica che più di ogni altra, doveva trovare il suo "habitat" naturale nel nuovo sistema bipolare e maggioritario, il cui avvento aveva, del resto, fervidamente auspicato.
Viceversa, le cose sono andate in altro modo. E non solo perché il "bipolarismo all’italiana" non ha affatto avuto quella "evoluzione virtuosa" da molti teorizzata, accentuando al contrario, il disordine istituzionale e un clima sempre più illiberale Ma anche perché i radicali si sono trovati privati, nel corso degli anni, dei due strumenti essenziali della loro politica. Per un verso, infatti, le loro iniziative "bipartisan" - dal caso Sofri alle carceri - si sono misurate con chiusure sempre più nette; per altro verso, poi, la via del referendum è stata resa, per varie ragioni e con diversi strumenti, del tutto inagibile. E così i radicali - privi, tra l’altro, della metà degli anni novanta in poi, di una presenza autonoma nelle istituzioni - si trovano ridotti al silenzio; e proprio quando sarebbe più necessario far sentire la loro voce.
Uscire allo scoperto, optare per uno dei due schieramenti politici, quello dove la loro iniziativa politica può trovare più spazio e maggiore capacità di ascolto, è dunque per i radicali una necessità esistenziale. Sino al punto di essere disposti a pagare il necessario pedaggio: appunto l’intesa politico-programmatica ed elettorale con i socialisti. Eccolo, il lieto evento, di cui si parlava all’inizio. Maturato in "extremis" alla vigilia della morte per inedia dei due nubendi. Ma, proprio per questo, esistenzialmente necessario. Che poi se mancano oppure no frutti copiosi dipende dalla qualità del messaggio. Lo hanno sottolineato, insieme Boselli e Pannella. "Occorre mettere in campo una proposta che interessi gli italiani" - hanno detto - "altrimenti falliremo".

Fare chiarezza
Intendiamoci: la domanda potenzialmente esiste. Perché esiste, a sinistra, un deficit di spirito laico e liberale ma anche di cultura socialista e una subalternità verso ogni tipo corporazione che si sono accentuati nel corso del tempo proprio nell’assenza della componente socialista, liberale e radicale; per tacere poi, di una linea internazionale che nella contrapposizione tra pacifisti e "interventisti militari" non sembra lasciare alcuno spazio all’ interventismo democratico. E si potrebbe continuare. Ma sarebbe inutile. Perché una domanda potenziale, per quanto ampia essa sia, ha bisogno, per manifestarsi concretamente, di un’offerta politica credibile.
E allora, per chiudere, alcune brevissime istruzioni per l’uso. Primo: tenere alto e unificato il livello delle trattative o, più esattamente, di costruzione dell’intesa ("gli obbiettivi inadeguati danno luogo alle risse", dice Pannella: e ha ragione; vedi i risultati del congresso del Nuovo Psi). Così niente separazione nel tempo e nello spazio del dialogo tra socialisti e con i radicali; e, al tempo stesso, niente separazione netta tra questioni (e garanzie) organigrammatica e questioni (e garanzie) di linea politica: è puntando con forza su queste ultime che si possono rendere più credibili le prime; e non viceversa.
Secondo: mantenere ferma, all’esterno, in ogni momento, la visibilità del progetto complessivo, e, quindi, anche la sua novità. Gli italiani possono essere più o meno interessati dal numero e dalle qualità degli aderenti all’operazione; devono comunque sapere con chiarezza quali sono i suoi principali obbiettivi.
Terzo, e ultimo: un programma comune che sia il frutto di un confronto onesto tra diversi; e non un manifesto elettorale, sommatoria delle più diverse ed estreme esigenze, da mettere da parte all’indomani delle elezioni.
In questo senso, sia detto per inciso, il richiamo a Zapatero o a Blair (o a chiunque altro) non ha molto senso anzi è controproducente: la linea del Piave della difesa e della ricostruzione di uno stato laico non coincide con l’eutanasia o con il matrimonio fra gay; così come il Blair internazionalista cui fare riferimento è quello delle iniziative sul debito o sull’Africa e non l’ideologo dell’intervento in Iraq. Fare chiarezza su questi e altri punti non dovrebbe essere difficile, a condizione di farlo ora.

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