ONIDA: TESTO PERICOLOSO CHE MINA LE ISTITUZIONI. VOTERO' NO - Intervista di Enzo d'Errico da il Corriere della Sera del 12 giugno 2006
21 giugno 2006
«Magari fosse soltanto una questione politica... Purtroppo il gioco è molto più serio e pericoloso».
Pericoloso?
«Sl, mi creda: la riforma costituzionale rischia di minare il funzionamento delle istituzioni».
Valerio Onida, ex presidente della UI Corte costituzionale. è uno che per indole e mestiere dosa le parole meticolosamente. Ecco perché sorprende in vista del referendum del 25 e 26 giugno, sentirlo pronunciare giudizi così tanto arroventati..
Non le sembra di esagerare?
«Tutt'altro. I cittadini devono sapere su cosa decidono. Una riforma. costituzionale di tale portata può apparire una faccenda per addetti ai lavori. In realtà, è una scelta che inciderà notevolmente nella nostra vita quotidiana».
. Proviamo a rendere commestibile d una materia così indigesta?
«Diciamo che la trama si snoda intorno a quattro capitoli: bicameralismo, premierato, organi di garanzia e la cosiddetta devolution
Cominciamo dall'ultimo.
«A onor del vero, su questo fronte è possibile scorgere le uniche note positive. E riguardano alcune modifiche apportate alle rispettive competenze di Stato e Regioni. Sull’energia. ad esempio, si afferma chiaramente che la produzione strategica e la distribuzione nazionale sono di pertinenza statale».
Dunque ha ragione la Casa delle Libertà quando sostiene che finalmente si pone rimedio alla confusione sollevata dalla modifica del titolo IV, che il centrosinistra approvò da solo nel 2001?
«No, questa è mera propaganda. La verità è che. al di là di piccoli particolari, la devolution non altera l’impianto sostanziale di quella riforma. Anzi. accende nuovi focolai di conflittualità istituzionale, indicando tre materie che apparentemente diventano di esclusiva competenza regionale: scuola, sanità e polizia amministrativa. Dico "apparentemente" perché, nei fatti, non è così...
Mica vorrà sostenere che la devolution, tanto cara alla Lega, è solo un’un'operazione di facciata?
..Lo sostengo eccome, visto che se lo Stato mantiene le sue competenze, a loro volta esclusive, sulle stesse materie. A meno che non ci sia un'intenzione nascosta dietro il fumo delle rassicurazioni”.
E quale potrebbe essere?
Ad esempio, creare sistemi sanitari differenti da regione a regione, col risultato che un calabrese non potrebbe più andare a farsi curare gratuitamente in Lombardia. E lo stesso discorso vale per l'istruzione. Celebreremmo, insomma, il trionfo della diseguaglianza».
Salva almeno il federalismo fiscale?
«Di quest'argomento non esiste traccia nella riforma. Per metterlo in moto, bastava attuare il testo in vigore. Invece s'è scelta una strada che rischia di azzerare la capacità impositiva delle regioni.”
Come?
«C'è una piccola clausola, al termine delle disposizioni transitorie, in cui si sottolinea che l'autonomia tributaria locale non può mai far lievitare la pressione fiscale complessiva. Dunque, le Regioni sarebbero in grado d'imporre tasse soltanto se lo Stato diminuisse le proprie. Risultato: faremmo un passo indietro sul cammino del federalismo fiscale…
Capitolo “bicameralismo”: problemi anche qui?
«Direi di sì. Il senato federale, formulato in quel modo, altro non è che un'assemblea elettiva di carattere nazionale. Il legame con le Regioni, che non nominano direttamente i propri rappresentanti, è praticamente inesistente. Inoltre la riforma del Polo cancella l'attuale bicameralismo perfetto, che per inciso negli Stati Uniti funziona senza problemi, in nome d'un groviglio di procedimenti legislativi: su alcune questioni de1ibera la Camera, su altre il Senato, su altre le Regioni. Andremmo dritti verso il caos istituzionale".
Addirittura?
«Con questo sistema, qualunque disegno normativo che abbraccia materie diverse verrebbe spezzettato secondo le competenze delle Camere. La legge Biagi, per esempio, sarebbe stata spacchettata in almeno tre tronconi, ciascuno sottoposto a un diverso procedimento d'approvazione.».
Ultima fermata, il “premierato”: non crede che garantirebbe una maggiore efficacia dell'esecutivo?
«Al contrario, ritengo che sia l'aspetto più pericoloso dell'intero progetto. La tentazione plebiscitaria è evidente. Ci troveremmo. ad avere un dominus del governo,. che sarebbe sostanzialmente eletto dal popolo e avrebbe tra le mani un fortissima leva di ricatto sul parlamento essendo attribuita a lui, e non più al Capo dello Stato, la facoltà di sciogliere le Camere. Nei fatti, il potere esecutivo e quello legislativo verrebbero a sovrapporsi. Tanto più con la nuova legge elettorale che, cancellando le preferenze e i collegi uninominali, ha spersonalizzato la rappresentanza».
Però sarebbero scongiurati i “ribaltoni”.
«Questa del "ribaltone" è un'ossessione. La politica deve conservare il suo spazio: la rigidità di un sistema è l'anticamera dell'autoritarismo».
Professore, Lei voterà no. E poi?
«La nostra costituzione non va stravolta, ma eventualmente aggiornata in singoli punti. Se tutti avessero mostrato senso di responsabilità, un accordo sarebbe già stato raggiunto»