OGGI A PARIGI, DOMANI A ROMA di Alberto Benzoni dall'Avanti della Domenica del 6 maggio 2012
14 giugno 2012
Per quasi due secoli la Francia, in particolare per la sinistra, è stata fonte di ispirazione ideologica. Dopo, è subentrato il disincanto, con la relativa ricerca di nuovi modelli e di nuovi personaggi. Era il nuovo che avanzava, mentre il vecchio era rappresentato dalla stessa Francia con i suoi partiti, il suo culto dello Stato e le sue ideologie stantie. Di qui il sentimento di ironia, se non di fastidio con cui molti, anche a sinistra, hanno seguito il recente dibattito francese.
E questo per tacere del candidato socialista: un uomo di partito, pensate, e poi così privo di carisma e così mediocre nei suoi proponimenti... Ma poi, questo stesso Hollande ha vinto e di lusso. E, allora (magari in omaggio al precetto italico, in base al quale chi vince ha sempre ragione) anche da noi emergono i suoi sostenitori: c’è, giustamente, Bersani, ma ci sono anche autorevoli esponenti del centro destra. Opportunismo italico? Sì e no, perché, ad allinearsi alla nuova realtà c’è anche Draghi che, con altre importanti personalità europee, dice che, insomma, le richieste francesi in materia di politica economica europea sono più che fondate.
Dobbiamo, allora, tornare ad entusiasmarci per la Francia, per il suo leader e, magari, per la grande rivincita del socialismo?
Di entusiasmarsi non è il caso, giustificata, invece, una moderata, ma profonda soddisfazione.
Nessun entusiasmo. Perché è vero che, se le cose andranno come dovrebbero, con le prossime elezioni legislative, i socialisti completeranno un ciclo di vittorie senza precedenti nella storia, ma è anche vero che queste tornate elettorali, più che un trionfo per la “gauche” (al primo turno il 45% dei consensi, un livello pari a quello della destra e “in media”con i dati delle due presidenziali precedenti), sono state una disfatta per la destra “repubblicana”, scesa ai livelli più bassi dall’avvento di De Gaulle in poi, meno del 30% e, quello che è peggio, in una situazione di totale isolamento politico-elettorale.
Qui siamo in presenza di un declino in atto da decenni, e per una serie di ragioni strutturali che non è il caso di analizzare qui, ma anche un declino accentuato, sino al possibile crollo, dalla presidenza Sarkozy.
E’ bene ricordare, allora, che la vittoria del Nostro nel 2007 fu salutata da molti, anche a sinistra, con un forte interesse. E, ben s’intende, in nome del Nuovo che avanza. Perché Sarkozy era quello che, da una parte rompeva con tutto ciò che era vecchio, dai partiti, alle culture politiche sino alle stesse istituzioni mentre, dall’altra, ambiva di superare ogni possibile schema: destra e sinistra (distinzione superata…), liberismo e statalismo (i francesi vanno protetti, ma gli si chiede di assumere il rischio come loro mestiere), più Europa e più Francia, marginalizzazione del Fronte Nazionale e nel contempo, presa in carico delle sue esigenze, e potremmo continuare.
Alla verifica dei fatti, una scommessa fallimentare, molta agitazione e pochissimi risultati. Quanto basta a spiegare il calo di popolarità, ma non il vero e proprio rigetto nei confronti del presidente uscente. Rigetto che non rappresenta la rivincita del Vecchio sul Nuovo. Ma, piuttosto, il ritorno della normalità, diciamo la rivincita della società, dei partiti; delle istituzioni, della cultura del possibile, della logica del confronto e del conflitto contro chi aveva preteso (un po’ come un Berlusconi, meno rozzo, ma anche meno furbo…) di ignorarne le regole e le strutture. In questo senso Hollande ha vinto come “il candidato contro Sarkozy”, rappresentando, insieme, il ritorno della sinistra e il ritorno alla normalità, intesa come il riemergere della “verità delle cose” (una verità di cui il nostro paese, afflitto da troppo tempo da isterismi e mistificazioni, avrebbe gran bisogno di ritrovare.
Ciò vale, in conclusione, anche per un altro tema che è stato al centro della campagna elettorale, il rapporto tra Francia ed Europa. Nel 2005, la maggioranza dei francesi votò “no” al progetto di costituzione europea. Oggi, i candidati alla Presidenza si collocano in un arco che va dalla richiesta di uscita dall’euro alla richiesta di rinegoziazione degli accordi (Sarkozy, nella sua ultima versione destrorsa, per uscire da Schengen, Hollande per trasformare le intese sul rigore dei bilanci in un accordo più ampio sulla crescita). Esercizi elettorali destinati a lasciare il tempo che trovano? Pretesa, tutta francese, di ignorare vincoli esterni, regole, pressione dei mercati?
E qui ci sarebbero molte cose da dire, sul rapporto tra sovranità nazionale e democrazia, e sul fatto che ad alcuni paesi sia concesso di sollevare la questione ed a altri no. Ciò che ci interessa qui è che i famosi “mercati”, invocati negli ultimi giorni dal clan Sarkozy, non abbiano mostrato nessuna particolare agitazione, e soprattutto che, in vista della vittoria di Hollande, stia già maturando un nuovo “consenso europeo” sui temi della crescita e delle misure necessarie a determinarla.
Anche qui, il ritorno alla normalità, e un messaggio per noi.