NON REGGIAMO SENZA UNA FORTE POLITICA PER IL SUD di Roberto Biscardini da JobsNews del 27 giugno 2020
28 giugno 2020
Si può guardare allo sviluppo del paese senza un’idea politica sul tipo
di sviluppo che si vuole raggiungere? E’ una questione dell’oggi, che
già si ponevano negli anni ’70 i protagonisti di quella grande stagione
che andava sotto il nome di programmazione economica. Il “Progetto ‘80”
di Giorgio Ruffolo al Segretariato generale della programmazione. Certo
non si può volere tanto, i tempi sono cambiati. Ma le condizioni e le
ragioni per riprendere un filo interrotto ormai da decenni ci sono
tutte. Primo, perché il quadro delle risorse, anche quelle che
potrebbero arrivare dall’Unione Europea, non sono infinite e vanno
finalizzate, come per altro già la UE ci obbliga a fare. Secondo, perché
il tema della programmazione, allora come oggi, implica l’obiettivo
principale del riequilibrio economico e territoriale, tra aree forti e
aree deboli, anche del Nord, ma soprattutto tra Nord e Sud. Terzo,
implica, oggi come allora, che continuare ad affermare che è impensabile
riproporre un piano centralizzato significa mettersi nelle mani, senza
alcun margine di contrattazione, delle peggiori logiche del mercato, e i
risultati sono davanti agli occhi di tutti. Quarto, perché il programma
ha bisogno di riforme mirate per sostenere la difesa dell’occupazione e
persino l’obiettivo della piena occupazione, senza la quale non sono
eliminabili gli squilibri territoriali che sono andati via via
aggravandosi.
Ma per ultimo, c’è una ragione ancora più grande:
l’azione di governo non può esprimersi attraverso una shopping list di
cose da dare, da realizzare o da comprare alla giornata. Ha bisogno di
programmare gli interventi, guardando ben oltre quella che sarà la sua
durata in carica. Non può accettare che tutti pensino di poter attingere
alle risorse finanziarie come se la coperta non fosse corta. E
soprattutto se lo sviluppo è nelle mani della grande capacità di
realizzare investimenti, prima ancora che sostenere i consumi, un’azione
di questa natura ha bisogna di scelte sufficientemente chiare. Di idee
forti, pur dentro il quadro delle priorità europee. Dentro il quadro
delle risorse mobilitabili con il Recovery Fund. Per tutto il Paese e
ancora di più per il Sud. Salvaguardia della biocapacità, rigenerare
agricoltura, rigenerare città (anche il sistema policentrico dei centri
minori), investire in settori per l’economia circolare (nuova politica
industriale), investimenti nel settore dei trasporti (alta velocità e
potenziamento delle reti ferroviarie principali), ripartenza digitale.
Tutte cose che coincidono esattamente con ciò che può dare sviluppo
stabile al Mezzogiorno, partendo dalle sue intrinseche risorse non
utilizzate. Avendo chiaro che se l’obiettivo è più reddito e più
occupazione questo, contro una certa idea che punta ancora tutto sulle
risorse monetarie, può essere raggiunto in modo più efficace contando su
quelle azioni e investimenti che possono accrescere insieme benessere e
qualità della vita.
Una cosa che si poteva già fare cinquantenni
fa, (basta pensare quale ricchezza avremmo oggi se avessimo investito
anche a reddito differito in forestazione). Ma che può essere ripresa
oggi, anche con un governo relativamente debole, ma che gode ancora di
una certa fiducia, sotto la spinta di una fase particolare.
Dall’ultimo rapporto Svimez avevamo avuto la conferma, solo qualche mese
fa, che per il Sud le cose stavano andando sempre peggio e che le
condizioni di vita delle famiglie erano peggiorate, con una occupazione
ancora più a rischio.
Oggi è chiaro, e lo capisce anche Conte, che
se tutto fosse lasciato alla logica del sistema capitalistico e alla
voracità delle spinte corporative, la situazione non potrebbe che
aggravarsi, e con ciò si aggraverebbe ogni tipo di diseguaglianza. La
distanza tra ricchi e poveri. La distanza tra chi ha il lavoro e chi non
ce l’ha. Tra i garantiti e i non garantiti. La distanza culturale e di
accesso alle opportunità. La distanza tra popolazioni urbane e
popolazioni rurali. La distanza tra chi può contare su servizi sociali
(sanità, scuola e casa) e chi no. La distanza tra Nord e Sud appunto.
Una condizione che, con lo spettro di settembre e del Covid-19, non
possiamo permetterci. Perché anche il Nord non può permettersi un Sud
troppo disuguale.