NON E' IL 2016 MA IL 22 FEBBRAIO 2005 - DISCORSO AL SENATO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE di Roberto Biscardini
24 novembre 2016
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
dobbiamo ammettere un po’ tutti che il bilancio di due decenni di
dibattito e di iniziativa politica intorno al tema della riforma
costituzionale non è per nulla esaltante: non dico che stiamo qui a
celebrare il funerale di questo iter, ma poco ci manca.
Oggi, qui in Senato, rischiamo di compiere un altro atto negativo,
con una modalità al limite di quelle regole democratiche a cui
dovrebbero ispirarsi i lavori di quest´Aula. Si è rifiutata ogni
discussione, ogni confronto, per accelerare l´esame di questo
provvedimento - come è stato già detto - a scopo propagandistico ed
elettorale, a scapito della ricerca di un processo condiviso su un tema
così delicato come la nuova Carta costituzionale.
Avevate a disposizione, colleghi della maggioranza, due percorsi
possibili: potevate definire una riforma importante come questa in modo
equilibrato, confrontandovi con il centro-sinistra che è stato pronto ed
è pronto a percorrere con correttezza questa strada, ma avete invece
scelto la via dello scontro, del chiudersi in se stessi, del blindare il
provvedimento, sottomettendo peraltro il Parlamento all´arroganza della
maggioranza e alle decisioni del Governo, un´arroganza anche
accompagnata da grande confusione.
Ora, se l´arroganza fosse portatrice di un´idea chiara, si potrebbe
superare la critica, ma se l´arroganza è accompagnata da una grande
confusione e - permettetemi di dirlo - da un livello molto basso della
politica la conseguenza più immediata è il continuo logoramento dei
rapporti politico-istituzionali e una riforma molto criticabile sia dal
punto di vista concettuale che da quello politico e culturale.
La riforma al nostro esame è l´espressione di una classe dirigente
che non dirige e che non sa cosa vuole, di una classe politica molto
debole. È la dimostrazione che, probabilmente siamo ancora nel pieno di
una transizione che non si è chiusa: se la prima Repubblica, che pure
aveva tentato di affrontare il problema finì per eccesso di politica,
questa Repubblica con il vostro contributo rischia di finire a causa
della sua debolezza.
Non è un giudizio personale, molti sono convinti che questa sia la
situazione, molti osservatori esterni, molti autorevoli esponenti della
cultura giuridico-isituzionale, molti politici, tra cui numerosi stanno
anche dalla vostra parte e cominciano a tirare questa somma: la classe
politica attuale esprime una politica così debole che non è in grado di
affrontare un tema così alto come la riforma della nostra Costituzione.
Si vuole portare a casa un risultato, costi quel che costi, al di là
dei contenuti e di ciò che è nel vero interesse dei cittadini: forti
solo di una maggioranza parlamentare - che, per fortuna, a mio avviso è
ormai lontana dai reali rapporti di forza esistenti nel Paese -
continuate a perseverare nell´errore.
La maggioranza non si è fermata di fronte a nulla, ha rigettato
tutti gli appelli e le preoccupazioni che venivano da autorevoli
costituzionalisti, non si è fermata davanti agli appelli delle massime
cariche istituzionali, a nulla sono valsi gli appelli del Presidente
della Repubblica e i suoi continui richiami alla salvaguardia dell´unità
nazionale, a nulla sono valsi gli appelli anche del Presidente della
Camera, che ha ripetutamente chiesto a tutte le forze politiche di
scrivere insieme questa riforma, con queste testuali parole: ”evitando
di inquinare i pozzi della vita pubblica italiana”.
C’era in quelle parole tutta la preoccupazione di recuperare un
dialogo istituzionale con l’opposizione sulle grandi questioni di fondo,
ma nella vostra coalizione è prevalsa una confusa, anche in questo
caso, linea dei falchi, che avete esercitato con il metodo tipico di chi
esercita la dittatura della maggioranza, non per realizzare una riforma
seria, ma per risolvere problemi che sono dentro gli equilibri della
vostra coalizione.
Io mi auguro che non continui così: se l’atteggiamento che avete
tenuto finora non cambierà nei prossimi giorni, è chiaro che solo il
referendum costituzionale potrà rimediare all’errore e rimetterà le cose
al punto in cui erano, nuovamente al nastro di partenza.
Ma noi vi chiediamo un’altra volta, anche in questi giorni, di
cambiare atteggiamento, di non comportarvi come è successo in
Commissione anche nelle ultime settimane. Vi chiediamo di consentire al
Parlamento di affrontare in Aula ciò che non è stato possibile discutere
in Commissione e di affrontare con una discussione serena e seria le
questioni che sono sul tavolo.
Non diamo per fatta una riforma che non ha i minimi contorni per
essere tale: io sono convinto che molti di voi diano questo giudizio.
Teniamo aperto il confronto e dimostrate di avere una cultura di Governo
più che i soli muscoli; dimostrate che almeno le incongruenze più
macroscopiche presenti in questa riforma possano essere corrette da
quest’Aula del Senato.
Ma veniamo al merito. Noi socialisti, già dal disegno di legge che
presentammo nel 1997, ma ancor prima, per la verità, quando agli inizi
degli anni Ottanta ponemmo il tema della ”grande riforma” e quindi
dell’esigenza di un grande processo di modernizzazione del Paese,
indicammo proprio nella riforma costituzionale il momento decisivo per
dare all’Italia un nuovo futuro, una nuova realtà, una nuova
prospettiva.
Indicammo alcuni obiettivi che io credo rappresentino ancora un punto di riferimento importante.
Allora ponemmo, per esempio, il tema dell’elezione diretta del
Presidente della Repubblica, che coesistesse però con una forma di
governo parlamentare e con un Governo responsabile davanti al
Parlamento, nel rispetto e nella conferma della tradizione parlamentare
italiana.
Proponemmo la modifica del sistema bicamerale, trasformando uno dei
due rami del Parlamento nella Camera o Senato delle Regioni, sul modello
della Costituzione tedesca, con un ruolo del Senato delle Regioni che
non si doveva sovrapporre e confondere con quello dell’altra Camera.
Proponemmo la costituzione di uno Stato federale ripartito
paritariamente in Stato centrale, Regioni e Comuni, princìpi ai quali in
parte si è poi ispirata la riforma del 2001.
Proponemmo la modifica delle norme sul Consiglio superiore della
magistratura, per introdurre in Costituzione la separazione delle
carriere tra pubblici ministeri e giudici.
Era una proposta semplice, ben lontana dalla complessità e
farraginosità delle norme che nei prossimi giorni esamineremo una ad una
e con i relativi emendamenti. Era una proposta chiara, perché la
Costituzione regge se è ispirata da princìpi semplici e da norme e idee
chiare.
Io credo che, se non succede niente in quest’Aula, il giudizio, per
così dire, è già dato, rischiamo solo di ripeterlo, ed è il giudizio
intorno ad una Costituzione, una riforma che, come ho detto prima, da un
lato non chiude la transizione politica che si è aperta all’inizio
degli anni Novanta e, dall’altro, non chiude neppure la transizione
delle tante riforme costituzionali, alcune certamente affrettate, a cui
il Parlamento ha sottoposto la nostra Costituzione in questi ultimi
dieci anni, tutto il Parlamento, non solo una parte di esso. A partire
da quella che dovrebbe essere rivista per prima.
Mi riferisco alla riforma del 1999, che ha introdotto l’elezione
diretta dei presidenti delle Regioni, confermando già allora la tendenza
a mischiare forme di governo di tipo parlamentare con forme di governo
di tipo presidenziale, sicché oggi ci troviamo - credo unico Paese al
mondo - ad avere dei presidenti delle Regioni che pensano di vivere in
un sistema presidenziale e dei Consigli regionali che pensano di vivere
in un sistema parlamentare.
La vostra riforma non pone le basi per definire un moderno sistema
federale. Anche in questo caso mescola - come è stato detto - vaghe
ispirazioni secessioniste con logiche, tendenze e aspirazioni fortemente
centraliste. Altro che devolution! Spinte centraliste che soffocheranno
il principio fondamentale del potere delle autonomie e non faranno
altro che aumentare, come si è già visto negli ultimi anni, il
contenzioso amministrativo tra autonomie locali, Regioni e Stato
centrale e i ricorsi alla Corte. Da questa riforma non esce uno Stato
forte in tutte le sue diverse articolate istituzioni, ma uno Stato
malamente federale, sempre e troppo debole, al centro come nelle
istituzioni locali.
La vostra riforma non sceglie una forma di governo chiara. La vostra
riforma non definisce un Senato federale; per la verità, quel Senato è
un paradosso.
La vostra riforma non rafforza le regole democratiche di una moderna
democrazia, non parte dal presupposto fondamentale che quello che
dovrebbe interessare di più - e a noi socialisti interessa di più -
dovrebbe essere, scrivendo la Costituzione, il tema del rafforzamento
della democrazia e di quella rappresentativa in particolare; questione,
mi sembra, lasciata completamente in disparte.
Mi viene la voglia di citare anch’io - ma da un altro punto di vista
- Robert Dahl, quando dice che così facendo, esercitando il principio
della volontà della maggioranza, ”il cosiddetto Governo democratico” -
lo state attuando alla perfezione - ”arriva a creare una società con una
rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, cui nessuno
potrà sfuggire. E i cittadini saranno ridotti a null’altro che ad un
gregge di animali timidi e industriosi il cui pastore è il Governo”.
Guardando questa riforma sono rimasto impressionato dalla
complessità degli articoli (non esiste, credo, riforma costituzionale al
mondo che abbia tale caratteristica), dalla minuziosità quasi
regolamentare con cui alcune scelte vengono indicate, ma soprattutto dal
fatto che non si respira quell’aria di libertà che forse una riforma
doveva affrontare. Tutto ciò conferma che stiamo un’altra volta
rischiando di sprecare un’occasione, che dopo il referendum dovremo
ricominciare da capo.
Un’ultima considerazione: alla prova dei fatti, a me pare sempre più
evidente che un Parlamento eletto con un sistema maggioritario come
l’attuale non sia lo strumento più idoneo per riformare la Costituzione.
Un Parlamento eletto con un sistema maggioritario ed un Governo che ne è
l’espressione non sono in grado di riformare una Costituzione che era
stata scritta e pensata perché perdurasse nel tempo un sistema
parlamentare sorretto da elezioni di tipo proporzionale.
Rimango sempre più convinto che un sistema parlamentare che vive
solo sulla contrapposizione, che non sa e non vuole ricercare mai alcuna
mediazione, non è in grado di affrontare grandi questioni come la
riforma costituzionale ed è già - per la verità - la manifestazione
forse più evidente di una crisi di sistema latente e prossima.
Allora, dopo tanti tentativi e, permettetemi, di fronte alla
pochezza del disegno di legge che abbiamo per le mani, non resterà
probabilmente che cambiare strada, scegliendo un nuovo percorso.
Sarebbe già un passo in avanti ammettere tutti insieme che a metà
degli anni ’90, dopo i fallimenti delle prime Commissioni bicamerali, si
sbagliò a non affrontare di petto la situazione affidando la riforma
costituzionale ad una assemblea costituente da eleggere direttamente,
con sistema proporzionale, sottraendo la Costituzione a un Parlamento
eletto con sistema maggioritario, alle logiche interne agli equilibri di
Governo e al conflitto politico fra due schieramenti. Credo che questo
sia il punto che prima o poi dovremo discutere ed affrontare.
La questione si riproporrà e dopo questi fallimenti la riforma
costituzionale, nelle mani di un’assemblea costituente, può ritornare ad
essere un grande fatto politico e, alla luce del sole, l’espressione
democratica del popolo elettore. Credo che dopo sessant’anni ciò
rappresenterebbe una svolta storica e sarebbe il segno vero dell’inizio
condiviso di una nuova Repubblica, la seconda. Quella in essere,
infatti, non è la seconda Repubblica, ma solo il lento proseguimento
della prima. La seconda Repubblica (e più in generale le Repubbliche),
in tutti gli stati democratici, nasce con le nuove Costituzioni: nuove
Costituzioni che abbiano il coraggio di affrontare complessivamente i
problemi che sono di fronte al Paese.