NON DATE AL SISTEMA PROPORZIONALE COLPE CHE NON HA di Nicola Cariglia da Pensalibero.it del 13 gennaio 2020
13 gennaio 2020
.Sulla legge elettorale si registra uno scontro di pregiudizi, non di opinioni serene e ponderate. Il più pesante, di questi pregiudizi, vorrebbe che il bene stesse tutto dalla parte del sistema maggioritario ed il male dalla parte del proporzionale.
Ora che il deputato 5 Stelle Brescia ha depositato un disegno di legge, si può parlare, in maniera più concreta della nuova legge elettorale. Il disegno, in sintesi estrema, prevede l’adozione del sistema proporzionale, corretto dallo sbarramento del 5% come avviene il Germania. Ma il condizionale è d’obbligo, perché siamo appena agli inizi e c’è da aspettarsi un percorso difficile e tortuoso.
Già lo dimostra il fatto che sul tema si registra uno scontro di pregiudizi, non di opinioni serene e ponderate. Il più pesante, di questi pregiudizi, vorrebbe che il bene stesse tutto dalla parte del sistema maggioritario ed il male dalla parte del proporzionale. Immensi sarebbero i vantaggi del maggioritario: in primo luogo la stabilità dei governi: la sera stessa del voto si saprebbe chi governa. Eppoi, pensate, la trasparenza, perché gli accordi si farebbero prima delle elezioni e non dopo! Dunque, il carico da 90 per una classe politica sputtanata: non più trasformismo, cambi di casacca, mercato delle vacche a Montecitorio e Palazzo Madama. Con queste premesse, la conclusione è obbligata: lunga vita al maggioritario e morte ingloriosa al proporzionale, sentina di tutti i mali della politica, corruzione in primis.
La storia della nostra Repubblica, però, è del tutto diversa. Ed è opportuno tenerla bene a mente. Dal 1948 al 1992, è vero che si succedettero una grande quantità di governi: ma tutti sostenuti dalla DC e da partiti alleati della DC. Una continuità che molti ritenevano troppo assillante. Tanto che parole come alternanza e alternativa di governo furono tra le più gettonate nel lessico politico dell’epoca. Al contrario, dal 1994 ad oggi, le leggi elettorali varate a ripetizione, tutte pretestuosamente motivate con l’intento di dare stabilità e moralità alla politica, hanno fallito miseramente. I 25 anni che abbiamo alle spalle saranno ricordati come quelli dei record sempre più alti di cambi di casacca e di nascita, breve vita e ingloriosa morte, di partiti. Talmente tanti, da rendere impossibile ricordarli. Erano i partiti taxi: buoni per farsi traghettare in Parlamento o al governo e poi abbandonati senza pagare il prezzo della corsa. Poi, passato il voto, “tana libera tutti”. Ed è così, di peggio in peggio, che siamo arrivati alla formazione di governi tra partiti che in campagna elettorale si erano ferocemente insultati e poi, incredibilmente, scoprivano di essere in grado di generare un programma comune. Nella cosiddetta “prima repubblica” non solo non avvenne mai, ma nemmeno ti saresti aspettato fenomeni di trasformismo paragonabili a quelli degli anni successivi. Le divergenze erano reali e avvertite in politica estera ed economica, nella visione della libertà e della democrazia, e non consentivano, se non eccezionalmente, i salti della quaglia. Non avvenne mai che i partiti “intermedi” si alleassero con il PCI per formare un governo. Sapevano che gli elettori li avrebbero puniti severamente.
Ricordare la storia aiuta a non illudersi che siano i sistemi elettorali a risolvere i problemi della politica. Coltivare tale illusione ha portato ad aggravarli, spingendo i partiti, in un delirio di onnipotenza, ad approvare leggi nel loro esclusivo interesse e, persino, ad espropriare gli elettori della loro sovranità.
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