NIENTE PASTICCI, MA UN FORTE PARTITO SOCIALISTA
31 agosto 2004
Riportiamo il contributo di Antonio Landolfi pubblicato su "Le Nuove ragioni del Socialismo" dell'ottobre 2003 circa il dibattito in corso su socialismo e riformismo italiano ed europeo. "Con lo svilupparsi e l’estendersi della unificazione europea, con l’armonizzarsi ten-denzialmente dei sistemi politici della democrazia partitica, non è soltanto l’Italia ad entrare in Europa, ma è l’Europa ad entrare in Italia. Ciò comporta la fine dell’anomalia italiana: con il ritorno anche da noi del sistema dei partiti storici dell’Italia democratica. I partiti coalizzati con l’uninominale maggioritario, si trasformano esclusivamente in fabbriche di deputati paracadutati perlopiù dal centro, dai singoli gruppi dirigenti, senza alcun riscontro di una effettiva rappresentatività. Per queste ragioni la rinascita del sistema dei partiti deve accompagnarsi ad una scelta istituzionale fondata su un regime elettorale che coniughi il principio proporzionale con quello maggioritario, assicurando rappresentatività reale e stabilità come base della governabilità. Un sistema analogo a quello che già vige per le elezioni comunali, provinciali e regionali e che potrebbe estendersi facilmente, ove soccorresse la volontà politica, anche a livello nazionale. Tutte queste considerazioni portano a respingere le proposte dell’Ulivo unico, come quella della lista unica per le europee avanzata nel corso dell'estate da Romano Prodi, e singolarmente accolta dai Ds, dalla Margherita, ed anche dallo Sdi, che pure in precedenza aveva fatto propria l’idea di un appello per l’unità socialista e per una lista socialista alle elezioni europee. Anche il succedaneo a questa proposta, quella della lista a tre (Ds, Margherita e Sdi) non ha ragione d’essere né possibilità di attuazione. Sia perché essa non può garantire che le rappresentanze (concordate tra le segreterie, più che elette) non confluirebbero in nessuno degli schieramenti esistenti in campo europeo; sia perché in uno schieramento di tal genere potrebbero essere presenti il riformismo cattolico-sociale (Marini, De Mita, Castagnetti) quello democratico liberale (Rutelli, Parisi) e quello postcomunista (Ds), verrebbero invece a mancare all’appello il riformismo socialista, che è poi quello più coerente con la natura del socialismo europeo. Scelte di questo tipo, dunque, non possono che costituire un ostacolo alla rinascita del sistema dei partiti come alla rinascita di una componente essenziale di essa: quella del riformismo socialista. E’ grave che si continuino anche nel centrosinistra a porre sbarramenti e diversivi a quel processo di. europeizzazione politica, che ha indotto i partiti postcomunisti dell’Est europeo a rinascere secondo una tendenza che li conduce ad amalgamarsi con le famiglie politiche dell’Europa occidentale in vista di quel processo di allargamento e di integrazione che non può essere esclusivamente di carattere economico e finanziario, oggi che si procede alla formazione di una piattaforma costituzionale e politica elaborata dalla Convenzione. Se anche in Italia non si procede in tal senso l’anomalia del sistema politico nazionale rischia di presentarsi come l’unica eccezione a livello continentale, isolandoci da entrambi i contesti che attualmente tendono a convergere in Europa, dall’Est come dall’Ovest. La rinascita dei partiti, e innanzitutto del partito socialista, non può che avvenire nel quadro dei principi cui si ispira la democrazia del XXI secolo, ed alla luce dei formidabili cambiamenti della società e dello stato intervenuti tra la fine del secolo scorso e di quello in cui ci siamo inoltrati. Per quanto riguarda il partito socialista, esso deve tener conto delle sue tradizioni democratiche e popolari, ed anche delle esperienze innovative dei partiti socialisti dell’Europa occidentale ed orientale, che hanno saputo, chi più chi meno, adeguarsi alle grandi trasformazioni in corso nel continente e nei singoli paesi. Cambiamenti a volte anche drammatici, adeguandosi ai quali essi sono potuti sopravvivere e rafforzarsi, sia come partiti di governo che di opposizione. I più solleciti ed i più coraggiosi sono stati il partito dei socialisti svedesi, il New Labour di Blair, quello greco di Simitis, quello tedesco di Schroeder: i partiti cioè che ancora oggi, dopo aver conquistato la guida del governo nel loro paese hanno saputo mantenerla. Essi hanno sviluppato i caratteri liberali del socialismo, che derivano dalla congiunzione storica della socialdemocrazia tradizionale, con il liberismo progressista, che ha permesso al socialismo europeo di fondare il proprio modello culturale sui due pilastri dello stato sociale e dello stato di diritto. La seconda repubblica ha visto acuirsi la crisi del sistema dei partiti che è uno degli aspetti della crisi democratica. E’ scomparso il partito di massa nella vita italiana, sostituito da nuove formazioni politiche. S’è avviata la tendenza alla degenerazione oligarchica, alla partitocrazia rafforzata dalla tendenza alla politica spettacolo. Si è accentuato il divario tra partiti e società, di cui è conferma il crescente astensionismo; è decaduta la partecipazione e la militanza politica. Se la Prima repubblica è ormai lontana nel tempo e non può essere resuscitata, dobbiamo esse-re consapevoli che la Seconda repubblica è avviata sulla strada del fallimento. Essa è fallita perché è mancata una autentica cultura riformista, è mancata la proposta, il progetto insieme con un programma di riforme incisivo: in una parola sono mancati i riformisti a destra come a sinistra. A destra oggi si tenta di contrabbandare un preteso rilancio di riforme con il cosiddetto progetto dei quattro saggi. Si tratta di un autentico sarchiapone, di un pasticcio che vuole dare un abito istituzionale confuso ed irrealizzabile alla devolution imposta da Bossi, e tende a legittimare il duopolio bipolare: un mix tra sistema tedesco e sistema anglosassone. A sinistra si punta nemmeno ad un sistema di riforma istituzionale, bensì ad accorpare in una formazione partitica unica anticipata da una lista unica alle europee le componenti dell’Ulivo, nella loro versione postcomunista, postdemocristiana, e di un fievole residuo liberaldemocratico insieme con una piccola espressione della tradizione socialista. Si vorrebbe convogliare sotto le insegne dell’Ulivo coeso e sotto lo scudo della candidatura di Prodi il riformismo postdemocristiano e quello postcomunista che non hanno battuto altro che flebili colpi in questi dieci anni, senza alcun progetto ed alcun programma. Manca all’appello il riformismo socialista, democratico e liberale, con le sue possibilità innovative e con la forza della sua tradizione, che sono indispensabili per proiettare verso il futuro di una Terza repubblica la crisi della democrazia italiana, dando ad essa un esito non di restaurazione ma di costruzione di un autentico sistema democratico fondato sui partiti e rinnovato nelle sue forme istituzionali. Il duopolio bipolare ha portato alla formazione di un sistema oligarchico che verrebbe esasperato dalla overdose di bipolarismo contenuto nelle attuali proposte della destra e della sinistra. Dobbiamo essere consapevoli che nessun progetto riformista può nascere, nessuna formazione riformista può costituirsi senza una dichiarazione sincera di fallimento della seconda repubblica e senza che venga ricostituita una significativa presenza del riformismo socialista: cioè senza la fine della diaspora socialista, senza la ritrovata unità dei socialisti sulla base dei principi del socialismo dell’Internazionale. Solo in Italia si perpetua il sistema distruttivo dei partiti sorto da tangentopoli. Solo in Italia si pretende che i socialisti vengano assorbiti da Forza Italia o che si chiamino ulivisti e non più, come li aveva denominati Turati. Per tornare alla proposta della lista riformista va detto con chiarezza che essa propone oltretutto un riformismo dimezzato. Cioè un riformismo circoscritto al piano sociale ma che ignora clamorosamente gli altri due presupposti basilari del riformismo europeo, sia nella versione socialista che in quella liberale. Questi due presupposti sono: il laicismo, cioè la difesa dell’autonomia dello stato da ogni pressione confessionale, ed il garantismo che il Parlamento europeo ha individuato, con il voto di tutti i partiti democratici, nella concreta costruzione del giusto processo, e della sepa-razione delle carriere dei magistrati. Senza questi due presupposti non c’è che un riformismo sedicente, dimezzato, amputato. I socialisti sentono di non potersi permettere di abdicare alla loro identità perdendo l’occasione di essere presenti in piena autonomia ed unitariamente alla competizione elettorale europea. Soprattutto lo Sdi deve avvertire questa esigenza non ammainando la bandiera che ha tenuto alta nel corso di un tormentato decennio. Se si inserisse nella logica della coalizione, lascerebbe questa bandiera al Nuovo Psi, cioè lascerebbe che essa sventolasse nel campo del centrodestra, una conferma di una ulteriore anomalia della politica italiana. L’elezione proporzionale offre, all’opposto, l’occasione anche al Nuovo Psi di uscire da tale anoma-lia, dimostrandone la transitorietà, e cogliendo l’opportunità di affiancarsi a tutto il mondo del socialismo europeo. E’ un obiettivo non facile, certo, da realizzare, ma che vale la pena di tentare."
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