NESSUN GOLPE NEL '93. MA AD AGIRE NON FU SOLO COSA NOSTRA di Claudio Martelli da il Riformista del 1 giugno 2010
16 giugno 2010
STRAGI. L’EX GUARDASIGILLI SULLA STAGIONE DELLE BOMBE: «SU BORSELLINO INCURIA COLPEVOLE» No alla commissione d’inchiesta parlamentare: «Alle volte servono, ma in questo caso meglio lasciare lavorare le Procure».
Il procuratore Antimafia Piero Grasso è convinto che dietro le stragi del ’92’93 non ci sia soltanto la mano della mafia. Martelli, nel 1992 lei era ministro di Grazia e Giustizia. È d’accordo con questa tesi?
È innegabile che dietro le vicende di Cosa Nostra non ci sia solamente la mafia. E i dubbi in merito non sono neppure recenti. Ricordo che già all’indomani dell’omicidio di Salvo Lima, l’allora ministro dell’Interno Vincenzo Scotti lanciò un allarme sul fatto che in Italia stava per nascere una nuova forma di terrorismo. All’epoca si supponeva di tipo politico o internazionale. Si parlava esplicitamente di un tentativo di destabilizzazione politica del Paese.
Di quali Stati esteri si ipotizzava la presenza?
Una circolare diramata dal ministero dell’Interno nel febbraio del 1992, alludeva ai rischi di interferenze dall’area dell’ex Jugoslavia. Un allarme che rientrò quasi subito, quando scoprimmo che la fonte era un certo Elio Ciolini, ex informatore dei nostri servizi segreti, all’epoca in carcere. Un noto pataccaro. Eppure la strada non era del tutto sbagliata. Perché gli approvvigionamenti di tritolo per le stragi di Capaci e via D’Amelio venivano proprio dalla regione balcanica.
È possibile che le stragi siano state solo appaltate a Cosa Nostra, quindi?
In seguito agli attentati del ’93 pensai subito che le esplosioni contro importanti opere d’arte, come la Villa Reale a Milano o gli Uffizi a Firenze, non avevano nulla a che vedere con la mafia. E non soltanto quelle. Penso agli attentati più gravi, quelli che furono sventati. Come l’autobomba di Piazza Colonna o quella che avrebbe dovuto esplodere vicino allo Stadio Olimpico.
Difficile non pensare anche al coinvolgimento di servizi deviati.
Settori deviati dello Stato compaiono in una lunga serie di vicende italiane: da Ustica alla Stazione di Bologna. Per non parlare del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, nel 1989. Già all’epoca Falcone mi raccontò i suoi tanti dubbi in merito alla vicenda. In particolare non capiva chi potesse essere il bersaglio. Volevano eliminare lui o il magistrato svizzero Carla Del Ponte, che quel giorno si trovava in sua compagnia?
E chi poteva volere la morte del magistrato svizzero?
Magari qualcuno timoroso che venissero svelati a Falcone segreti bancari o finanziari.
Torniamo ai servizi.
La storia degli apparati di sicurezza di questo Paese è costellata di zone d’ombra e comportamenti delittuosi. È fuori di ogni dubbio. Ma pensare a un unico regista, a un grumo di eversione negli apparati di sicurezza, mi sembra difficile.
Un’altra vicenda in cui ci sono molte ombre è quella del giudice Borsellino.
Dopo l’attentato parlai subito di responsabilità istituzionali. Il concetto di massima sicurezza può variare da persona a persona. Ma non proteggere l’abitazione della madre di Borsellino, che il giudice frequentava settimanalmente, fu un’incuria colpevole.
Se non qualcosa di più grave. Anche in questo caso, la verità sembra ancora lontana.
Deve essere fatta maggiore chiarezza su chi compì quell’attentato, ma anche su chi non lo impedì, pur avendone la responsabilità.
C’è chi ritiene necessaria l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta per fare luce su tutte queste vicende.
Non sono d’accordo. Questa è una fase in cui si stanno riaprendo numerose indagini. Quella su Borsellino, in particolare, mi sembra molto promettente. Le commissioni d’inchiesta a volte possono anche essere utili. Ma prima aspetterei di vedere cosa matura sul fronte giudiziario.
Carlo Azeglio Ciampi ha rivelato di aver temuto un colpo di Stato. Secondo lei nel ’93 l’Italia ha davvero corso il rischio di un golpe?
È difficile sostenere che il blackout che isolò Palazzo Chigi la notte del 28 luglio 1993 fu una cosa del tutto normale. Ma sono sempre stato molto prudente su questa ipotesi.
Qualcuno accusa l’ex presidente di aver aspettato troppo tempo prima di raccontare i suoi timori su quella stagione.
Ma questo non è vero. Ciampi parlò anche allora, e fu molto chiaro. Mi sembra singolare la sottovalutazione o la noncuranza di chi lancia queste accuse. Specie considerando che all’epoca Ciampi parlò da presidente del Consiglio.
L’Italia corre il rischio di una nuova stagione di violenze?
In un contesto di enormi difficoltà economiche e con la disoccupazione crescente, il rischio esiste, certo. La libertà, la democrazia, persino l’ordine repubblicano non sono garantiti per sempre. È necessario vigilare continuamente.
La verità su quegli attentati aiuterà la democrazia?
La necessità di chiarezza serve per difendere la nostra democrazia solamente se le indagini sono condotte con assoluto scrupolo e, soprattutto, nell’indifferenza di chi possono colpire. Quelle indagini che seguono teoremi percostituiti e hanno già un colpevole, al contrario, rischiano di essere controproducenti.