NAPOLITANO NON E’ UN REGISTRATORE, intervista a Giuliano Amato, da Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2010
17 dicembre 2010
«Vuole parlare di Garibaldi 0 di Mazzini?». Giuliano Amato è da alcuni mesi immerso nel suo nuovo incarico di "regista" del 150esimo anniversario dell’Unità d’1talia.
Guarda da lontano l’avvitarsi della crisi politica, ma il suo nome viene evocato da più parti almeno sotto la voce di
governo Amato, quello del ’92, un prototipo di esecutivo di emergenza istituzionale ed
economica.
Lasciamo da parte i padri risorgimentali, tra crisi politica e crisi economica siamo di nuovo a quel punto?
Per adesso in Italia abbiamo un governo in carica. Se dopo il 14 dicembre dovesse aprirsi la crisi, toccherà al capo dello Stato valutare a che punto siamo.
Tutti però già provano a tirare Napolitano di qua e di là. Per Denis Verdini, coordinatore del Pdl, i partiti farebbero bene a "fregarsene" delle sue valutazioni...
Si ha a volte, e non solo in questa occasione, l’impressione che prima di una crisi di governo rispettare le prerogative del capo dello Stato significhi soltanto non pronunciare certe parole, ritenendo nella
sostanza che a decidere siano sempre e solo i gruppi politici. Per cui quel rispetto, per i leader politici, è più un rito che un’esigenza di sostanza, una questione di parole. In realtà è necessario che il capo dello Stato eserciti un ruolo quando una crisi si è aperta.
Sono i gruppi politici, però, ad essere poi determinanti per la fiducia a un governo qualchesia.
ll capo dello Stato, infatti, non può decidere di testa sua.
Deve interpretare i voleri del parlamento cosi come emergono dai gruppi politici. Non esiste il governo del presidente nella nostra costituzione.
Quando ne parliamo ci riferiamo in realtà a un esecutivo che i gruppi parlamentari, nella loro larghissima maggioranza, ritengono che sia bene che esista, e al quale danno quindi la loro fiducia o astensione, ma nessuno lo considera politicamente il proprio governo.
E magari proprio perché è cosi, l’accordo sulla sua formazione passa attraverso la scelta di ministri tecnici che non pongono problemi agli equilibri politici. Non è però un vero e proprio governo del presidente: senza lavolontà dei gruppi il capo dello Stato non lo farebbe, né lo vorrebbe fare.
Berlusconi e Bossi sono profondamente contrari a un governo del genere. Lo
considerano una violazione della volontà espressa dagli elettori poco più di due anni fa.
Non c'è dubbio che da qualche anno il capo dello Stato debba anche tenere conto del- la maggioranza scelta dagli elettori, visto che, se è improprio dire che gli elettori scelgono il primo ministro, di sicuro scelgono la maggioranza. Questo è un elemento importante ai fini delle valutazioni che il capo dello Stato deve fare.
Quindi oggi è più difficile un esito tipo governo Dini del ’95?
Napolitano può anche non farlo, ma di sicuro terrà conto dei precedenti. In questa materia in cui la disciplina scritta della Costituzione è molto sottile, i precedenti contano, perché dicono come è stata interpretata. Rispetto al tema, allora, si citano i governi Ciampi e Dini. Il primo ebbe la stessa maggioranza del governo precedente più 1’astensione dell’allora Pds. Il governo Dini, invece, nacque come lo pseudo governo del presidente di cui parlavo prima: un presidente del Consiglio scelto dal capo dello Stato circondato da tecnici, per fare un esecutivo che nessuno riteneva proprio ma che tutti volevano. Se poi la maggioranza si sposto, questo non riguarda il momento della sua formazione.
Se due leader dei principali partiti della maggioranza continueranno a chiedere, in caso di crisi, di andare alle elezioni, che margini di manovra potrà avere Napolitano?
Con le consultazioni c’è una vicenda che si svolge davanti al capo dello Stato, una vicenda in cui le posizioni precedenti dei partiti possono modificarsi in parte adattarsi. Supponiamo che si apra la crisi, non lo sappiamo ora, e che questo accada in un clima di perdurante tensione dei mercati…
La tanto paventata crisi finanziaria. Lei ha governato quando le scelte dei mercati misero in ginocchio l’Italia, che idea si è fatto della possibilità di un ripetersi di quegli eventi?
Sono convinto che i mercati in questo momento non stanno puntando, sia pure con occhio lungo, contro l’Italia come hanno fatto contro la Grecia e l'Irlanda. Sono convinto che l’aumento generalizzato degli spread e la stessa stìzza del mercato verso i bund tedeschi che hanno coperto la domanda a stento, testimonia un’altra cosa: il disagio del mercato davanti al complicato congegno inventato da1l’Europa per sostenere i debiti sovrani in difficoltà, davanti al fatto che l’attivazione dipenda dalle decisioni di singoli stati. Eppoi può capitare che in una giornata si pretenda dal mercato che raccolga miliardi di euro, cosa che dovrebbero fare le banche centrali come negli Usa.
Può capitare, però, che se la crisi dovesse dilagare, e c’è da augurarsi che questo non accada, debbano essere attivate importanti decisioni finanziarie anche da parte dell’Italia.
Può capitare. E allora, mi domando, può un governo di ordinaria amministrazione, nel corso di una concitata campagna elettorale, gestire queste difficoltà? Pongo la domanda non pensando che sulla base della risposta più razionale il capo del- lo Stato possa quindi fare quello che gli pare, ma ritenendo che nel concreto di tutto questo è possibile che le posizioni delle forze politiche possano adattarsi, cambiare. E secondo il costituzionalismo ortodosso, al quale mi iscrivo, il capo dello Stato può avere in questa dinamica il ruolo di maieuta.
In concreto cosa potrà fare?
ll ruolo di maieuta è delicato e difficile. Il capo dello Stato, nella gestione della crisi, non può fare quello che vuole, ma non è nemmeno un registratore che si limita a raccogliere e riprodurre le parole di altri. Il maieuta fa venire fuori da altri quello che più serve al paese, o almeno ha il dovere di provarci. E se i leader politici sono responsabili, può accadere ciò che inizialmente sembrava escluso. Tuttavia se quel qualcosa non viene fuori, non può essere il capo dello Stato a imporlo.
Molti in questi giorni evocano, in caso di crisi, i nomi di Letta, Tremonti o Draghi per guidare un nuovo esecutivo.
In una situazione come questa, se davvero arrivassimo a una crisi, e se lo stesso premier uscente dovesse convincersi che serve fare un nuovo governo, davvero secondo me bisognerebbe accettare la persona da lui indicata o a lui più gradita. Ovviamente nel novero di coloro che possono fare il lavoro richiesto, perché se poi quella persona è Galligni…