MILANO, SENZA PROGETTO NON SI VINCE di Roberto Biscardini dall'Avanti della Domenica del 21 novembre 2010
06 dicembre 2010
Quale dato politico trarre dalle primarie di Milano? Il primo, un insuccesso delle primarie stesse.
Giuliano Pisapia ha vinto le primarie di Milano, con un risultato buono nelle percentuali, negativo nei valori assoluti. 30 mila voti contro circa i 400 mila necessari per battere la Moratti alle elezioni della prossima primavera. Alle primarie hanno partecipato in pochi, rispetto alle aspettative. Poco più dell’8% dell’elettorato complessivo. Il centrosinistra non è riuscito a portare al voto quei 100/120 mila elettori che gli stessi candidati davano già come un obbiettivo raggiunto. Il calo rispetto alle primarie del 2006 è enorme sia in valore assoluto che in percentuale. Una disaffezione al voto che si spiega in tanti modi.
Le primarie non scuotono i ceti più popolari: in periferia ci sono punte del 40% in meno della volta scorsa; nelle zone più centrali il 10% in più. Ha votato quindi un’élite, i militanti, la parte più politicizzata e aristocratica della coalizione e quelli che sapevano che c’erano le primarie perchè leggono i giornali. Molti non sono andati a votare per due ragioni uguali e contrarie: i candidati, certamente meglio delle passate edizioni, erano nella loro diversità troppo uguali. Si capiva il loro posizionamento politico non le diversità delle loro proposte. Pochi i sedicenni, pochissimi gli stranieri. Insomma i cittadini preferiscono andare a votare quando si vota sul serio e con tutto il rispetto per Giuliano Pisapia, sono state primarie dal risultato distorto. Le primarie o sono all’americana sul serio, o sono di partito, queste di coalizione, né di partito né di società civile, un ibrido che non regge.
Il secondo elemento è tutto nell’insuccesso del PD. Per aver voluto delle primarie che non è stato in grado di gestire. Per aver proposto un candidato di qualità che non è stato in grado di far votare. Quindi il suo candidato perde perchè i suoi elettori più vicini non vanno a votare come il partito avrebbe voluto. Nell’assenza di fiducia e in mancanza di chiarezza politica il popolo del PD non ha capito il prodotto e l’offerta politica in campo. Non ha colto le differenze politiche tra i candidati. Si è trovato davanti un partito senza un progetto. Le primarie non sono un progetto. A quel punto il voto PD ha risposto a logiche le più diverse: da chi per regolare conti interni ha votato per Pisapia, Onida e non per Boeri; a chi, per non votare il candidato di “Rifondazione” che al vecchio comunista comunque piaceva di più del moderato Boeri, ha deciso di rimanere a casa.
Il rapporto tradizionale tra elettorato e partito si è rotto, ma ancora non è dato capire se, mancando all’appello delle primarie almeno 15/20 mila voti PD, sia già questo il primo segnale di un prossimo smottamento elettorale o no. Una cosa è certa: un partito senza progetto non vince giocando la carta di essere solo un soggetto contenitore.
Terzo, da Milano arriva un altro segnale: la rottura del bipolarismo.
Il maggior partito della coalizione esce con le ossa rotte portando con se un altro mattone allo spappolamento del bipolarismo. Nelle difficoltà del PD c’è la materializzazione della crisi del sistema bipolare.
Ma lo sbocco non è immediato, perché un superamento normale del bipolarismo non si può fare organizzandosi intorno alla politica di Vendola e Rifondazione. In quello schema si ripropone un altro tipo di bipolarismo, ancora più manicheo e politicamente inservibile per una sinistra di governo, quello della sinistra pura e dura. Quella dell’unità a sinistra come alternativa alla destra. Anacronistica in un momento in cui, chiaro come il sole, per battere la destra, il problema all’ordine del giorno è la capacità della sinistra di costruire un processo nuovo e un progetto di allargamento al centro. In questo senso a Milano si è giocata certamente anche una altra partita tutta nazionale. Si sono confrontati due scenari. Pisapia contro Boeri come prova generale di uno scontro possibile tra Vendola e Bersani. Pisapia contro Boeri come espressione di due prospettive diverse per tutta la coalizione. Una partita giocata con tanti fan della destra scesi in campo o seduti in tribuna affinché potesse vincere il candidato politicamente più radicale.
Riuscirà adesso Pisapia a scrollarsi di dosso l’immagine del candidato di Vendola, di Rifondazione e dei Comunisti italiani? Questo è il suo problema.
Lo potrebbe fare, facendosi carico del contributo che la politica milanese potrebbe dare all’evoluzione della politica nazionale, aprendosi a tutti coloro che ancora non è riuscito ad intercettare. A Milano come a Roma il centrosinistra ha di fronte due alternative. Una, di isolarsi nel proprio campo ricercando l’autosufficienza di una sinistra-sinistra senza alcuna cultura di governo. L’altra di lavorare perché il centrosinistra possa costruire alleanze più larghe aperte al centro su un programma di grandi riforme di sistema, per garantire al paese lo sbocco verso la normalità, per andare oltre Berlusconi e battere la Moratti.
Purtroppo la percezione diffusa è che la partita sia ancora tutta da giocare.