MILANO DECADENCE? ROBA PER I GIORNALI - MADUNINA, PARLA BASSETTI - di Jacopo Tondelli, il Riformista 27 novembre 2007
11 dicembre 2007
Milano. Dovevamo parlare della decadenza di Milano, della perdita di centralità di questa città, della sensazione che, ormai, a Milano non succeda più nulla d'importante. E del cicaleccio lamentoso e un po' provinciale di quel che resta della capitale morale. Piero Bassetti ha "cambiato gli occhiali" a questa conversazione fin dai primi passaggi. Settantanove anni, un passato politico di primo piano, una presidenza della Regione e la fondazione del primo centrosinistra italiano costruito da palazzo Marino, poi la guida della Camera di Commercio, resta uno degli osservatori più attenti e lucidi di questa città e dei suoi attori protagonisti. Nel nostro conversare di Milano, in cui mettiamo a tema il contrasto tra la vocazione internazionale naturale e storica della città, e la sua tendenza odierna a un'autonarrazione ripiegata e quasi localistica, Bassetti riorganizza l'ordine della causa e degli effetti. Riscrive l'importanza dei fattori in discussione.
«C'è un punto preliminare necessario, ed è l'esame critico di quale sia la voce di Milano. Un Corriere della Sera che perde centralità e lucidità narrativa - dice - non rivela che analogamente la vita di Milano stia seguendo la stessa china. Non è questione da poco, certo, visto che quando s'intesse un discorso pubblico su Milano, storicamente, si fa implicito riferimento alla rappresentazione che ne dà il Corriere stesso. Del resto, leggendo dieci giornali la questione non cambia molto, e qui si ricade, poi, sul drammatico problema dei nostri media, che sta diventando il problema centrale dell'Italia».
Se davvero il problema è nella narrazione e non nell'azione, però, resta il problema, enorme, di raccogliere altre immagini della verità cittadina. «Per coerenza col mio pensiero di sempre, io sento altre voci di Milano. Non sono necessariamente voci pubblicistiche o mediologiche, ma rappresentano uno score unico. A quasi ottant'anni, dopo una vita dedicata a tutte le istituzioni milanesi, mi restano una serie di raccordi che mi consentono di dire che il disco di Milano è un altro, anche se non lo ascolta nessuno».