La discussione riguardo il futuro delle città e della loro vivibilità è stata iniziata negli Stati Uniti. Tra i problemi legati all’epidemia e i proclami dei
Big della Silicon Valley sul futuro smart-working ad oltranza per i
loro dipendenti, studiosi e giornalisti hanno immaginato un possibile
scenario in cui gli americani si muoveranno dalle grandi metropoli verso
centri più piccoli. Il New York Times è stato il capofila in questo
contesto. Prima con un articolo riguardo le destinazioni più gettonate dai Newyorkesi in cui spendere il periodo di quarantena, poi con un lungo editoriale
di analisi della situazione delle grandi metropoli statunitensi. Ma il
Vecchio Continente, e soprattutto la città della Madonnina, fatica a
equipararsi alle dinamiche di oltre-oceano. “Io credo che questa
tematica della fuga in campagna sia un’illusione”, racconta Agostino
Petrillo, docente di Sociologia Urbana al Politecnico di Milano. “Il
tema è stato agitato spesso anche da archistar e grandi nomi,
in realtà poi il funzionamento delle grandi città metropolitane è tale
che non si può pensare di abitare in remoto”. Il punto di Petrillo è
chiaro, “la città offre servizi mentre la dimensione del piccolo centro
urbano ha dei limiti, soprattutto dal punto di vista relazionale”.
L’illusione, sempre statunitense, nata a cavallo degli anni ’90 di
andare a vivere in campagna grazie alle possibilità offerte da Internet
si è scontrata con la complessità delle metropoli, lasciando solamente
una pulce nell’orecchio che si è risvegliata con l’esplosione
globale di una nuova pandemia. Ma la connessione tra epidemia e luoghi
bucolici non è un argomento nuovo. “Nella storia si possono trovare
diversi esempi famosi – continua Petrillo – all’inizio del secolo scorso
ad Amburgo vi erano epidemie cicliche di colera per la mancanza di
fognature e succedeva che ogni volta i ricchi scappavano in campagna e i
poveri rimanevano a morire in città”. La connessione tra status
economico e fughe bucoliche anche nel caso di Covid-19 è stato
emblematico. “Prima di tutto il discorso dell’abbandono delle città è un
discorso molto alla Boccaccio Decamerone, molto elitista”, racconta
durante una conversazione telefonica Michele Acuto, direttore del
laboratorio Connected Cities Lab dell’Università di Melbourne.
“L’esterno della città vuol dire tante cose, la gente oggi non scappa in
paesini idilliaci in campagna, stiamo parlando di realtà più simili ad
Abbiategrasso che alle garden cities con quindici casette nel verde”.
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