MILANO CAPITALE DEL PROPORZIONALE di Walter Marossi da ArcipelagoMilano del 22 febbraio 2022

22 febbraio 2022

MILANO CAPITALE DEL PROPORZIONALE di  Walter Marossi da ArcipelagoMilano del 22 febbraio 2022

Il 6 e 7 maggio 1913 nell’aula magna del Liceo Beccaria “alla presenza di un pubblico affollato tra cui molti consiglieri comunali, presiedeva l’avv. Caldara”, futuro sindaco si tenne “una discussione sulla legge elettorale proporzionale con un esperimento dimostrativo”. 

In pratica 190 persone (e fatto non secondario 28 donne) simularono un voto. Fu distribuita “una scheda con sei liste di 10 candidati ciascuna, sormontata dalle indicazioni del partito e da un quadratini da segnare. Per rendere più prossimo alla realtà, si diede ad ogni scheda un valore di 1000 e, per l’assegnazione dei mandati si adottò il sistema d’Hondt” (non si tratta di una sigla misteriosa ma del nome di un professore di diritto civile a Gand fautore del proporzionalismo ndr) metodo tutt’ora in voga. 

I risultati furono: socialisti 83000 voti, cattolici 24000, liberali 22000, opposizione costituzionale 22000, repubblicani 21000, radicali 17000, nulli 12000. 
Il voto “portava a questi eletti applicando il sistema maggioritario: da 6 a 7 mandati su 10 ai socialisti che se si fossero presentati assieme a radicali o repubblicani avrebbero preso la totalità dei seggi rendendo inutili il 40% dei voti espressi mentre se si applicava il proporzionale tutti i partiti sarebbero stati rappresentati”. 

Ho riassunto la cronaca dell’evento da un articolo del tempo

Vale la pena tornare su queste vecchie storie perché il dibattito che per i prossimi mesi caratterizzerà la politica italiana e cioè con quale sistema elettorale andare al voto, proporzionale o maggioritario è iniziato più di un secolo fa e Milano fu la capitale dei proporzionalisti.

Proporzionalista fu in particolare, il consiglio comunale milanese che il 19 marzo 1912 aveva dibattuto sulla necessità di introdurre il proporzionale alle elezioni amministrative, tema che fu portato da Caldara anche al congresso “dell’Associazione dei comuni” il 7 aprile e al congresso sempre a Milano, della “Unione delle provincie”; anni dopo il proporzionalismo corretto per le amministrative fu oggetto di una proposta di legge di Giacomo Matteotti.

La prima associazione proporzionalista risale addirittura al 1872 fondata da liberalconservatori tra cui Terenzio Mamiani, Attilio Brunialti, Francesco Genala, Guido Padelletti, Giuseppe Saredo, Alessandro Spada, Ruggero Bonghi, Emilio Broglio, Luigi Luzzatti, Angelo Messedaglia, Pasquale Stanislao Mancini, Marco Minghetti, Ubaldino Peruzzi ebbe tuttavia poca fortuna e si estinse.

Invece quella che raggiungerà il suo obiettivo, facendo adottare il sistema proporzionale all’Italia nel 1919 fu  l’Associazione Proporzionalista milanese fondata  nel 1911 dal socialista Alessandro Schiavi (poi assessore a Palazzo marino e teorico del cosiddetto socialismo municipale) con Filippo Turati e Emilio Caldara, dai cattolici Filippo Meda, Leone Scolari, e dai radicali Arnaldo Agnelli, Gino Baldini. Sarà proprio questa associazione a preparare il progetto di legge elettorale che sarà la base di quello fatto proprio dal governo Nitti e approvato nell’agosto del 1919.

Convergevano sul proporzionalismo il Partito Socialista, il Partito Radicale (con voto congressuale nel 1909), il Partito Popolare, il Fascio Parlamentare, tutti coalizzati contro quella fazione di liberali che temeva di venire cancellata dalla vita politica, se non avesse più potuto beneficiare dei brogli possibili col sistema del collegio uninominale con piccole circoscrizioni.

“Il proporzionale è considerato lo strumento per sconfiggere il clientelismo e il personalismo e per rafforzare se non creare un sistema politico fondato sui partiti. Le forze politiche che lottarono per la proporzionale speravano nella possibilità di sconfiggere i vecchi affaristi del passato, e di portare al Parlamento uomini che veramente potessero rappresentare tutte le forze che si erano formate nel paese durante gli ultimi quattro anni, un sistema che non avrebbe più dato il voto all’individuo come nel collegio uninominale, ma al principio ed al programma politico rappresentato dalla lista”. (in Emmanuela Zuffo, L’introduzione del sistema proporzionale).

L’associazionismo proporzionalista era parte di un movimento internazionale; analoghe associazioni erano nate un po’ ovunque: nel 1867 a New York, nel 1868 a Zurigo e a Chicago, nel 1869 a Londra Proportional Representation Society, nel 1865 L’Association Réformiste a Ginevra, nel 1881 a Bruxelles  L’Association Réformiste Belge (il Belgio fu il primo paese ad adottare una legge elettorale proporzionale),e ancora nel 1875 a Praga, nel 1877 a Berna, etc., numerosi furono i congressi internazionali.

Proporzionalista fu Filippo Turati che Congresso socialista del 1908,  sostenne: “Alla riforma del suffragio universale deve connettersi sempre quella dello scrutinio per provincie, della rappresentanza proporzionale e della indennità dei deputati, che sole potranno dar libera scelta al corpo elettorale, e far entrare una forte rappresentanza di organizzatori operai, e con essa il pensiero e la psicologia dell’operaio, nel Parlamento.”

Altrettanto decisamente proporzionalista Luigi Sturzo e il movimento della Democrazia cristiana italiana; nel suo programma di riforme economico-sociali del 1899, si legge: “Noi vogliamo la rappresentanza proporzionale dei partiti nei consigli dei comuni e della Nazione, come forma superiore di lealtà politica, e avviamento alla rappresentanza proporzionale degli interessi sociali”.


Gli scopi dei proporzionalisti esposti dal “Comitato parlamentare per la riforma elettorale con l’applicazione del sistema proporzionale”, guidato dal cattolico milanese Filippo Meda (figura di primo piano della politica cittadina, il primo dirigente cattolico a divenire nel 1916 ministro nel regno, presidente della Banca Popolare e padre del futuro vicesindaco di Milano) erano semplici:

1. di rendere la Camera dei Deputati lo specchio fedele delle opinioni politiche del Paese, dando ad ogni partito la sua giusta rappresentanza in proporzione del numero dei suoi elettori;

2. di garantire che alla maggioranza reale nel Paese spetti il governo della cosa pubblica, ma che tutte le minoranze importanti abbiano modo di far sentire le loro ragioni in Parlamento;

3.  di dare all’elettore maggiore libertà nella scelta dei suoi rappresentanti;

4. di conferire ai rappresentanti una maggiore indipendenza dai piccoli interessi locali, e di permettere ai candidati di presentarsi agli elettori con un sincero programma di partito e senza doversi poggiare su ibride coalizioni;
5.  di agevolare l’ingresso in Parlamento dei migliori e più fidi rappresentanti di ogni partito;

6.  di rendere più difficile la corruzione e le intimidazioni in periodo elettorale;
7. di ostacolare il più che sia possibile l’ingerenza governativa nella lotta elettorale.”

Nel maggio del 1917 Psi CGL e gruppi parlamentari riuniti a Milano collegarono la riforma elettorale proporzionalista ad un programma generale di riforme economiche e sociali, alla richiesta di una forma di governo repubblicana, all’abolizione del senato (di nomina regia), al diritto popolare di iniziativa legislativa e ai referendum senza peraltro convincere né l’ala massimalista che proponeva tout court la dittatura del proletariato e la repubblica socialista né i riformisti più radicali che volevano un assemblea costituente.

La battaglia proporzionalista fu coronata da successo quando nel 1919 la Camera votò la legge elettorale che fu peraltro un compromesso in quanto andando incontro alle richieste dei fautori giolittiani del maggioritario inserì meccanismi che “salvavano” molti eletti “clientelari”, tant’è che Turati alla Camera intervenne sostenendo (sembra di essere in un dibattito del 2022 non degli inizi del 900): “quando si tratta di una grande e generale riforma elettorale essa deve essere affidata a un corpo diverso della Camera che scade; oppure e sarebbe il medesimo che i deputati uscenti per non fare bisticci, non saranno rieleggibili almeno per una legislatura. Vedreste come le sosteneva cose a un tratto muterebbero! Non è facile essere giudici e parti. Non è facile rimanere sereni quando si è interessati personalmente”.

Pochi mesi dopo, il 16 novembre 1919, si votò con la nuova legge per eleggere i 508 deputati e i risultati furono chiarissimi: 156 deputati socialisti (nelle precedenti elezioni del 1913 erano stati 52) e 100 i deputati popolari scesi in campo per la prima volta in tutti e 51 i collegi (nelle precedenti elezioni i cattolici erano stati 29), i restanti appartenenti ai vari gruppi liberali, repubblicani, democratici, combattenti etc. Una curiosità, 215 parlamentari erano avvocati. Il Fascio di Mussolini a Milano ottenne meno di 5.000 voti su un totale di circa 270.000 suffragi e nessun eletto.

Venne così confermata la teoria che il proporzionale premiava i partiti di massa.

Roccaforte socialista l’Emilia con il 60% seguita dal Piemonte 50% e Lombardia 46%. Roccaforte popolare il Veneto con il 35%, mentre i liberali trionfarono in Basilicata 94%, Puglia e Sicilia 81%. 

L’affluenza alle urne fu alta al nord, 77% a Bergamo, 70% a Milano, bassa al sud 38% a Palermo 42% a Napoli. 

Gli italiani tornarono al voto dopo meno di due anni nel maggio del 1921 con risultati non molto diversi: 123 seggi ai socialisti, 108 ai popolari,15 comunisti ma con uno spostamento a destra del variegato mondo liberale confermato dall’elezione di 35 fascisti.

Contrari al proporzionalismo furono i comunisti: il 9 marzo 1919, Il Soviet giornale della frazione titolava così un articolo “Lo specchietto proporzionale per le allodole…L’on. Turati prosegue imperterrito nel suo sforzo di distrarre l’attenzione da quello ch’è il vero e urgente problema del proletariato mondiale, l’espropriazione della borghesia e l’instaurazione della dittatura proletaria, con una serie di espedienti dilatori, destinati ad avere scarso successo …. Il sistema rappresentativo elettorale, comunque congegnato, assicura la prevalenza della borghesia. Ed è perciò che i suddetti signori non si spaventano della rappresentanza proporzionale, anzi! In fondo, questa non porterà altro che uno spostamento interno di persone e di gruppi dirigenti in seno alla borghesia, lasciando immutate le posizioni complessive di questa di fronte al proletariato. Andranno in minor numero al Parlamento i rappresentanti degli interessi e delle cricche borghesi locali, e in maggior numero i delegati di più vaste organizzazioni politiche o economiche, ma sempre della borghesia; e il risultato sarà quindi piuttosto un rafforzamento del potere politico della classe dominante.”

Contrario anche Benito Mussolini che appena al governo promosse la Legge Acerbo così chiamata dal nome del suo estensore: uno scrutinio di lista con premio di maggioranza (chi aveva il 25%dei voti aveva 2/3 dei parlamentari). La legge fu appoggiata dai nazionalisti da molti liberali e da parte cattolici che si divisero tant’è che lo stesso giorno che la legge Acerbo cominciava ad essere discussa a Montecitorio, don Luigi Sturzo si dimette su richiesta del Vaticano dal Partito Popolare per non intralciare il dialogo con il duce e viene sostituito da de Gasperi.

Mussolini poté contare anche sul voto di un gran numero di deputati definiti al tempo il ventre molle del parlamento cui aveva fatto balenare la rieleggibilità. La legge Acerbo fu approvata con voto di fiducia il 21 luglio 1923 con 223 voti favorevoli e 123 contrari, 77 gli astenuti, molti gli assenti; rammento che i deputati fascisti erano solo 35. 

Scrive Alessandro Visani: “nella storia della crisi dello stato liberale italiano il varo della legge Acerbo rappresenta un momento chiave, forse più della marcia su Roma, il cui esito lasciava ancora ampi margini per un ritorno alla normalità statutaria. L’approvazione di quella legge fu – questa la tesi sostenuta da Giovanni Sabbatucci che noi condividiamo in pieno – un classico caso di “suicidio di un’assemblea rappresentativa” e Simone Serneri “L’approvazione della legge Acerbo fu un episodio determinante nella crisi del regime parlamentare in Italia. Con essa il governo Mussolini si procurò un sostegno istituzionale ben più saldo della fiducia della coalizione o della forza delle “squadre”.

Il 9 giugno 1923 Mussolini riassunse tutte le ragioni dei favorevoli al premio di maggioranza: “Tra le molte concezioni della rappresentanza, oscillanti tra il diritto e la funzione, tra il diritto personale e il diritto collettivo, una sola cosa va rigidamente affermata: che la massa dei cittadini, ai quali una legge elettorale viene confidata, intende che l’Assemblea eletta sia la più capace a costituire un Governo, un Governo nella sua più alta, ma anche più concreta significazione di Istituto atto a risolvere nel modo più rapido, fermo e univoco tutte le molteplici questioni che nell’azione quotidiana si presentano, non impacciato da preventive compromissioni, non impedito da divieti insormontabili, non soffocato da dissidi, non viziato nella origine da differenze ingenite di tendenze e di indirizzi.” (in Vittorio Valenza, In difesa del proporzionale, M&B publishing)

L’Associazione proporzionalista milanese lanciò una “petizione al Parlamento italiano in difesa della proporzionale e della Costituzione” chiedendo alla Camera di respingere ogni riforma diretta ad abolire o mutilare “il principio della sovranità parlamentare” e collegando la legge proporzionale alla più generale difesa della democrazia. Firmarono tra gli altri Filippo Turati, Luigi Degli Occhi (vicepresidente dell’Associazione proporzionalista), Mario Abbiate, Alfredo Bertesi, Mario Borsa, Lodovico Calda, Giuseppe Canepa, Italico Cappellotto, Mario Cavallari, Cesare Degli Occhi, Francesco Luigi Ferrari, Guglielmo Ferrerò, Mario Missiroli (direttore del Secolo), Rodolfo Mondolfo, Camillo Prampolini, Vito Reale, Rinaldo Rigola, Raffaele Rossetti, Luigi Salvatorelli, Silvio Trentin, Ernesto Vercesi, Giuseppe Cornaggia, Luigi Meda, Ugo Guido Mondolfo, Roberto Veratti, Emilio Chiocchetti, Tullio Levi Civita, Eugenio Rignano, Francesco Severi.

Mentre non firmarono sia i favorevoli al maggioritario che i proporzionalisti “puri”, tra loro Carlo Sforza, Francesco Ruffini, Francesco Saverio Nitti, Gobetti, Ivanoe Bonomi, Giovanni Amendola, Luzzati e financo Schiavi che riteneva la petizione poco socialista.

Nel gennaio 1924 si andò alle elezioni con la nuova legge, ovviamente stravinte dai fascisti e dai loro alleati con il 60% dei voti.

Fu l’unica elezione in cui fu utilizzata la legge Acerbo, nel 1929 si passò alla legge elettorale plebiscitaria ed infine all’abolizione di ogni simulacro elettorale con la nomina nel 1939 della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Nell’esilio la convinzione proporzionalista si rafforzò, Piero Gobetti ad esempio dedicò un intero numero del suo giornale, La Rivoluzione Liberale, alla causa proporzionalista, con articoli di Gaetano Salvemini, di Luigi Sturzo e di Guglielmo Ferrero, in particolare Ferrero titolò il suo editoriale La proporzionale risorgerà, e così avvenne. 

Nel secondo dopoguerra il confronto tra proporzionalisti e maggioritari riprese quasi negli stessi termini degli anni 20, vinsero i proporzionalisti, vittoria ribadita nel 1953 quando alle elezioni per soli 54000 voti, lo 0,15% fu bloccata la legge “truffa” che avrebbe assegnato un premio di maggioranza (il 65% dei seggi) a chi avesse ottenuto la maggioranza, 50,1%, dei voti. 

In quell’occasione lo scontro tra proporzionalisti e maggioritari fu durissimo vi furono diversi scontri nelle piazze e anche in parlamento: Pertini diede del porco a Ruini presidente della Camera, Lussu prese a ceffoni La Malfa. Per anni la bocciatura della legge truffa venne considerata la più importante vittoria politica dei democratici versus i conservatori nel primo ventennio repubblicano (per un premio di maggioranza che oggi paradossalmente è norma in pressoché tutti i livelli elettorali comunali, regionali, nazionali).

Anche allora la convinzione proporzionalista degli inquilini di Palazzo Marino fu netta, Antonio Greppi il sindaco della liberazione scrisse un articolo dal titolo inequivocabile: “Non c’è democrazia senza proporzionale”.

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