MILANO ANNI 50: IL SINDACO RIMOSSO. Memorie degli anni della ricostruzione. di Walter Marossi del 23 giugno 2020

23 giugno 2020

MILANO ANNI 50: IL SINDACO RIMOSSO. Memorie degli anni della ricostruzione. di Walter Marossi del 23 giugno 2020

Virgilio Ferrari, sindaco "rimosso", bravo amministratore, sincero democratico ma politico miope. Un percorso nella storia del sindaco che, col suo operato negli anni del dopoguerra, ci ha lasciato i supermercati, l'aeroporto di Milano, il Museo della Scienza e della Tecnica e chi più ne ha più ne metta.

Se qualcuno dovesse chiedervi: perché a Milano ci sono tanti supermercati? Perché a Milano c’è l’aeroporto di Linate? Perché a Milano c’è la Pietà Rondanini e il Museo della Scienza e della Tecnica? La metropolitana? La biblioteca Sormani? Lo stadio di San Siro? Probabilmente rispondereste: Boh! Perché è così. Invece dovreste dire: perché è stato sindaco Virgilio Ferrari. Che non è stato sindaco per poco tempo ma per quasi 10 anni, cioè il secondo per durata dal 1860, il più duraturo essendo Tognoli. Ferrari sindaco dimenticato dunque? No, rimosso.

Nato nel 1888, medico tisiologo,  per decenni presso l’ospedale Sanatorio di Garbagnate Milanese dove sarà primario, docente all’Università, autore di studi e direttore di riviste mediche, Cosmacini conia per lui un titolo efficace: “la via milanese alla lotta tubercolare”. Di famiglia socialista, era cugino del sindaco Caldara (il padre era fratello della madre di Caldara) durante la guerra anche se neutralista si arruolò come ufficiale medico.

Nel 1919 fu tra i fondatori della Lega dei medici socialisti; va ricordato che tra il 1910 e il 1920 furono ben 12 i medici eletti in consiglio comunale nelle liste socialiste1. Nel 1931 venne arrestato per aver agevolato la fuga di Filippo Turati (ricordiamo che nella vicenda furono coinvolti altri medici Paolo Pini, Gilardoni) e fu condannato ad un anno di confino. Nel 1944 viene nuovamente arrestato dalle brigate nere ed internato a San Vittore, per essere poi   trasferito nel campo di concentramento di Bolzano.

Nel 1946 entrò in consiglio comunale, nel 1947 seguì Saragat in quello che diverrà il Partito Socialdemocratico e  divenne assessore all’igiene della giunta Greppi, che è  sindaco dal 1946; dal 28 marzo 1949 la maggioranza è un tripartito DC-repubblicani-socialdemocratici. Alle elezioni del 1951 (il sistema elettorale prevedeva l’apparentamento delle liste e il premio di maggioranza), vince la coalizione DC (DC 30%, socialdemocratici14,6%, liberali 6,1%, repubblicani 1,6%). All’opposizione comunisti (22,6%), socialisti (14,1%), fascisti (6,4%), monarchici (3,1%).

Il sindaco uscente Greppi, oggetto di una dura campagna del Corriere della Sera e  rifiutato dalla DC, che lo ritiene troppo di sinistra, viene sostituito per l’appunto da Ferrari che era arrivato quinto nelle preferenze della lista “socialdemocratica” dopo Greppi, Vigorelli, Bucalossi, Ugo Guido Mondolfo. La sostituzione non fu indolore: Greppi sostenuto da Caleffi e Mondolfo cercò di resistere al diktat democristiano e nella riunione del direttivo socialdemocratico ottenne 16 voti a favore, 23 contro; grandi tessitori dell’operazione furono Ezio Vigorelli e Renato Massari.

Nel suo discorso d’insediamento (l’articolo del Corriere d’informazione titolava  “Milano ha di nuovo un sindaco socialista”), Ferrari ricordava Caldara e Filippetti, definito suo maestro; nel voto in consiglio si astengono sia i socialisti che i missini.

Figura molto diversa da Greppi che era un avvocato dal fine eloquio e un prolisso scrittore di testi teatrali, Ferrari silenzioso e austero si meritò questo giudizio popolare: “Quel la, el Greppi el parlava tropp, quest chi el se sent mai. Alle elezioni del  maggio 1956 venne eletto per primo in una lista socialdemocratica che annovera ben tre altri futuri sindaci: Cassinis, Bucalossi, Aniasi. Greppi nel frattempo era tornato capolista del PSI in una lista meno socialfusionista (questo era il nome con cui il Corriere definiva la lista PSI)  e molto aperta ad esterni come  Mario dal Prà, Cesare Musatti, Marco Zanuso. A quelle elezioni lo scontro con la chiesa fu durissimo,  Montini chiese ai suoi preti di invitare i fedeli a “votare con illuminata coscienza per salvaguardare la città dalla persistente minaccia contro i beni supremi della libertà civile e della religione cattolica”.

In questo clima il moderato Ferrari avrebbe dovuto essere il candidato naturale alla riconferma, ma i democristiani volevano un sindaco dei loro, così con un perfetto colpo di scena Ferrari viene rieletto sindaco ma con i voti del suo partito, dei socialisti nenniani (questa la nuova definizione data dal corriere al PSI), dei comunisti, dei repubblicani, battendo il candidato democristiano.

Si apre così una fase confusa con intervento dei partiti nazionali, dimissioni del sindaco, appelli per il ritiro delle stesse, proposte di commissariamento, spaccature nei partiti, che si conclude a settembre con la conferma di Ferrari, questa volta con i voti dei democristiani e senza quelli dei comunisti, mentre i socialisti danno l’appoggio esterno e i liberali passano all’opposizione. La maggioranza subirà altre modifiche, perché dopo l’incontro Nenni e Saragat a Pralognan per discutere di una eventuale riunificazione, ma soprattutto dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria il quadro politico è definitivamente cambiato e Milano diventa il laboratorio di nuove alleanze nazionali.

Si arriva alle elezioni comunali nell’autunno del 1960. Ferrari capeggia la corrente socialdemocratica scettica sull’unificazione socialista, che a Milano aveva tra i suoi anche Ivan Matteo Lombardo, presidente della Triennale – suo un discorso al Teatro Nuovo l’8 ottobre 1960 nel quale sparò a zero contro il centrosinistra  e contro la maggioranza del PSI, considerata ancora al servizio del PCI, in pratica condannando il sindaco uscente -, è sostenuto dalla DC, anche da quella parte meno favorevole all’apertura ai socialisti, ma ha contro la maggioranza del suo  partito che è passato sotto il controllo  di un altro medico, Bucalossi, che avrebbe voluto fare il sindaco, e i socialisti, capeggiati da Mazzali ma tra i quali vi sono anche Vigorelli ed Aniasi (terzo e quarto degli eletti), che ben conoscono Ferrari e non gli fanno sconti.

Fu una campagna durissima con la chiesa, scatenata non solo a favore della DC, il che al tempo era ovvio, ma contro quei democristiani favorevoli all’apertura a sinistra; in particolare Montini ce l’aveva con Granelli (ne fa un racconto dettagliato Maria Chiara Mattesini). L’apertura a sinistra era però ormai inevitabile e a Palazzo Marino, nonostante l’opposizione e le dimissioni di alcuni dei democristiani contrari all’apertura ai socialisti, nasce il primo centro sinistra italiano.

Ferrari è il grande sconfitto, subito dopo Montini, e subisce la legge del contrappasso: aveva sostituito Greppi del suo partito perché ritenuto troppo di sinistra; fu sostituito da un compagno del suo partito,  Cassinis, tra l’altro un suo assessore, perché considerato troppo di destra. Greppi invece sarà votato dai comunisti, guidati da Cossutta, perché simbolo (a volte la politica è veramente incomprensibile), di un possibile nuovo frontismo. L’esito del voto a Palazzo Marino fu: Cassinis 42 voti, Greppi 17, Ferrari 8, schede bianche 6.

Cassinis è politicamente scolorito, viene eletto perchè i socialisti non possono chiedere troppo e perché Bucalossi non ha l’appoggio di Saragat, ma in quel momento chiunque era meglio di Ferrari per i vertici nazionali dei partiti, tant’è che per commiato Ferrari ebbe l’editoriale di Nenni sull’Avanti: “Battuta la destra a Milano. Una breccia nel muro del conservatorismo” (22 gennaio).

Vi fu nei confronti del sindaco uscente un piccolo moto di solidarietà pelosa tra cui Falck che scrisse una lettera, sostenendo che i socialdemocratici scegliendo Cassinis tradivano Saragat e l’elettorato, ma il tutto finì in breve tempo: troppo importante il significato di svolta di una giunta  di centrosinistra a Milano.

Proprio qui, in questo passaggio sta forse la ragione della “cancellazione” di Ferrari: ebbe ferocemente contro i comunisti, come ribadì anche il giorno della sua morte il capogruppo PCI in comune Mario Venanzi, la sinistra democristiana, che lo vide come un intralcio, i repubblicani e i radicali ma soprattutto i socialisti, che gli rimproveravano non solo la scissione saragattiana ma l’opposizione alla riunificazione socialista e al centro sinistra; in fondo era un bravo amministratore, un sincero democratico ma un politico miope.

Ferrari a commento della vicenda ebbe parole durissime: “Mi spieghi un po’ lei“, chiese ad un giornalista, “che è dalla parte del centro sinistra perché io antifascista che sono stato in campo di concentramento cedo il posto ad un collega che è diventato rettore del Politecnico con la Repubblica di Salò”. Negli anni successivi sarà  eletto al parlamento nella lista PSDI per una legislatura e farà una blanda opposizione, soprattutto sulla MM, al suo successore in consiglio comunale.

L’ultima sua iniziativa politica significativa fu la costituzione dell’Udai (Unione democratica Amici d’Israele) nel marzo1968 con lo scopo “di promuovere e sviluppare iniziative politiche, culturali e sociali, intese a favorire sempre migliori rapporti tra Italia e Israele, due dei pochi paesi decisamente democratici dell’intero bacino mediterraneo”; tra i promotori Piero Caleffi, Elio Canevascini, Alberto Cavallari, Salvatore Donno, Sergio Donelli, Virgilio Dagnino, Giotti Da Fano, Virgilio Ferrari, Pietro Fornara, Cesare Grampa, Filippo Jacini, Pier Carlo Masini,  Vitaliano Peduzzi, Paolo Pillitteri, Giuseppe Tramarollo. Segretario ne diventerà Giulio Seniga. Ferrari, primo di una lunga serie di sindaci milanesi filoisraeliani, ne sarà presidente.

Morì, durante la campagna elettorale comunale, il 12 giugno 1975, alla Casa di Riposo Comunale di Via Panigarola 14 dove si era volontariamente ricoverato (per questa ragione la Casa di Riposo viene poi chiamata “Virgilio Ferrari”). Ferrari è stato il sindaco della ricostruzione, il sindaco del ritorno alla normalità della città,  delle nuove ambizioni e dell’avvio della modernizzazione.

Fu lui a candidare Milano come capitale della CEE. Milano entrò in lizza con Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo alla riunione del Consiglio dei Ministri degli esteri il 1 luglio 1958; si parlò di un’area extraterritoriale a nord della città, si determinò un alleanza che andava dalla UIL al MSI ma il tutto cadde anche per  la timida  (eufemismo) adesione del governo nazionale e delle sinistre. Fu lui il 26 febbraio 1957 a chiedere al governo di poter ricostruire e gestire l’aeroporto di Linate dove il primo volo di linea atterrò il 25 luglio 1960 (Linee aeree libanesi) e con la firma della convenzione Stato/SEA viene riconosciuta la natura privata degli aeroporti milanesi. Fu lui a lanciare la sottoscrizione pubblica per comperare la Pietà Rondanini.

Fu lui nel 1955 a creare la società Metropolitana Milanese che inaugurerà il primo tratto nel 1964. E si potrebbe continuare parlando del pareggio di bilancio; dell’acquisto del palazzo di Piazza Beccaria; del progetto del nuovo centro direzionale; dell’ampliamento dello stadio di San Siro inaugurato nel 1956 con Italia-Brasile (amichevole vinta dagli azzurri per 3-0); del trasferimento della biblioteca comunale a Palazzo  Sormani (10 marzo 1956, prima i volumi erano al Castello); del restauro della Besana (1956); del quartiere di Via Feltre; della costituzione del Piano Intercomunale; della sistemazione di Piazza Vetra, di Quarto Oggiaro; della nuova centrale del latte; dell’approvazione del PRG; del Museo della scienza e della tecnica. Toccò a lui gestire la pandemia dell’Asiatica che, si stima, in Italia fece più di 30000 morti e a Milano arrivò il nell’agosto del 1957, affrontata per la verità senza grandi drammi: vennero chiusi uffici e stabilimenti e ritardata l’apertura delle scuole.

La città di Ferrari era la Milano delle prime cabine telefoniche (1952, San Babila), dell’avvio della costruzione del Pirellone (luglio 1956), del primo striptease di Rita Mayfair – in arte Rita Renoir – che scandalizzò i benpensanti, del primo concerto rock (maggio 1957), della rapina da 200 milioni di Via Osoppo, dell’entrata in vigore della legge Merlin sui bordelli.

Insomma Ferrari gestisce il periodo di storia della città che va da quando si parla di vendere la Galleria (per costruire case popolari perché il Comune non ha un soldo) al periodo del boom economico; realizzò molto anche grazie alle impostazioni del suo predecessore e delineò le linee su cui si mossero i suoi successori, valorizzando quella che è una delle caratteristiche della gestione della città nel dopoguerra: una forte continuità. Fu un modernizzatore come dimostra, ancor più di Linate e della MM, la vicenda dei supermercati.

Il 27 novembre del 1957, aprì a Milano, in Viale Regina Giovanna, il primo supermercato moderno. Un emporio “all’americana”, con parcheggio per i clienti, scaffali forniti di migliaia di articoli, tutti preconfezionati e prepesati. Il supermercato apparteneva alla Supermarkets Italiani S.p.a. di proprietà  per il 51% dei  Rockefeller, e per il resto di diversi  industriali: Bernardo e Guido Caprotti,  Marco Brunelli e altri.

La commissione comunale competente si era espressa contro la concessione della licenza, poi toccò alla  Giunta dove la maggioranza era contraria, anche perché l’Unione Commercianti aveva minacciato vendette elettorali. Fu proprio Ferrari, che fece riferimento, forse a sproposito, anche alle iniziative annonarie del cugino Caldara, a imporre la decisione favorevole. L’Unione Commercianti “per reazione, mise in discussione la competenza del Comune in materia di supermercati e un centinaio di commercianti fecero ricorso alla giunta provinciale amministrativa per le licenze concesse da Palazzo Marino…Per giungere a una risoluzione della controversia, il sindaco fece svolgere al Servizio lavoro e statistica del Municipio un’indagine finalizzata a stabilire quanto i supermercati costituissero effettivamente un vantaggio per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, rispetto ai tradizionali negozi. Dall’inchiesta emerse che i supermercati offrivano prezzi inferiori, a volte anche in misura consistente, e che davano maggiori garanzie in termini di peso, caratteristiche originarie e igiene dei prodotti; il sindaco, consentì l’apertura di altri due empori” .2

Pochi gli studi su quel periodo, nessuna monografia su di lui. Nel giugno del 1985 si propose di erigergli un monumento; non se ne fece nulla. C’è comunque una strada che porta il suo nome: fu una decisione di Corbani, al tempo vicesindaco comunista, nel 1989.

Walter Marossi

 

1 Bonardi, Forlanini, Paolo Pini,  Annibale Albini, Giovanni Allievi, Enrico Arienti, Luigi Carozzi, Gino Panoli, Francesco Ferrari, Letterio Lizzini, Luigi Veratti

2 E. Scarpellini, Comprare all’americana. Il Mulino.

 

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