MESSINA: IL PONTE E I SUOI DERIVATI, di Giorgio Goggi, da Mondoperaio n.7

08 novembre 2009

MESSINA: IL PONTE E I SUOI DERIVATI, di Giorgio Goggi, da Mondoperaio n.7

Sentire il presidente del Consiglio che anche dopo l’alluvione di Messina dichiara di voler realizzare subito il ponte sullo Stretto suscita sempre in me reazioni contrastanti.
Da una parte sono sempre stato convinto della necessità di collegare la Sicilia al continente, anche se per motivi urbanistici – che più avanti esporrò – ben diversi dalle necessità di trasporto per le quali il collegamento viene invocato. Dall’altra, però, pavento sia la realizzazione del Ponte, che considero un intervento non appropriato alle necessità di quell’area, sia le conseguenze per lo straordinario paesaggio dello Stretto.
Non sono mai stato contrario all’umanizzazione del paesaggio ed alle sue trasformazioni, anche radicali, ma giudico questa trasformazione non necessaria.
L’esperienza che mi ha fatto cambiare idea è l’aver partecipato, negli anni 1992-94, alla progettazione dell’attraversamento dello Stretto mediante tunnel in alveo (proposta allora avanzata dall’ENI), come responsabile dell’associazione di professionisti incaricata dal Consorzio ENI degli studi ed i progetti nel campo urbanistico, trasportistico e del disegno urbano. Infatti negli anni ottanta, quando il Presidente Craxi proponeva l’attraversamento dello Stretto, parlava di “collegamento fisso”, quasi lasciando intendere che vi fossero più modi di realizzarlo. Non a caso, quindi, l’ENI sviluppò la proposta dei tunnel in alveo e la tradusse in progetto preliminare negli anni 1992-94. Il progetto fu poi abbandonato, nonostante i risultati tecnici molto positivi, ed è stato dimenticato, ma l’esperienza di quegli studi è stata fondamentale per chi l’ha vissuta.
Il progetto si contrapponeva a quello del ponte perché prevedeva di collegare le due sponde con tunnel subacquei, che, non essendo condizionati dalla lunghezza del tracciato, consentivano il collegamento diretto tra le città, in particolare per la rete ferroviaria. I tunnel inoltre non avrebbero comportato alcuna intrusione nel paesaggio esistente. Il ponte, invece, per poter raggiungere la quota d’imposta ed il punto più stretto del braccio di mare, non potrà collegare direttamente le città (con il progetto del ponte di allora il percorso Reggio-Messina, via Scilla-Ganzirri, sarebbe stato di circa 60-70 Km).
Quindi il ponte sarà prevalentemente al servizio del traffico nazionale ed internazionale e pochissimo di quello urbano.
La ricerca progettuale per i tunnel si mosse su due filoni fondamentali: il primo e preponderante, a carattere tecnologico, che affrontò e risolse tutti i problemi tecnologici ed economici legati alla realizzazione in alveo (in virtù della grande esperienza dell’ENI in questo campo); il secondo - oggetto del nostro lavoro - a carattere macrourbanistico e trasportistico, che affrontò in modo globale i problemi territoriali dell’area dello Stretto. Tuttavia, anche nel merito di questo secondo punto di vista, la diversità dell’approccio tecnologico si impose: obbligò a ripensare globalmente la situazione insediativi dell’area dello Stretto ed a trovare soluzioni urbanisticamente e trasportisticamente diverse da quelle fino ad allora proposte e praticate. In altre parole non fu possibile “fare la stessa cosa con una diversa tecnologia”, ma la diversa tecnologia indusse e consentì di concepire qualcosa di totalmente diverso.
Non tanto l’attraversamento, ma il problema dell’assetto urbanistico dell’area dello Stretto e delle sue possibilità di sviluppo diventò il punto centrale della ricerca. La costruzione della “Città dello Stretto” (che avrebbe comportato di gran lunga maggiori e migliori opportunità di sviluppo per tutta l’area) si rivelò presto l’obiettivo prioritario della ricerca, per due ordini di motivi. In primo luogo la quantità di traffico nazionale ed internazionale che attraversa lo Stretto (quella rilevata allora come l’attuale) non era e non sarà mai tale da non poter essere smaltita da un efficiente sistema di traghettazione.
I miglioramenti nella traghettazione, da allora fino ad oggi, lo hanno dimostrato. Ne conseguiva che la realizzazione del collegamento stabile non avrebbe potuto essere sostenuta da altro che dall’incremento del traffico urbano. Quindi l’opera era (e dovrebbe essere ancora) direttamente motivata non tanto dai livelli di traffico, ma dagli obiettivi e dalle necessità di integrazione e sviluppo delle città, in termini sia di insediamenti sia di attività.
In secondo luogo un investimento così rilevante, come quello previsto per la realizzazione di un qualsiasi collegamento stabile (ponte o tunnel che sia), non può trovare giustificazione se non si traduce anche, ed innanzitutto, in nuove condizioni economiche e di vita, in particolare delle aree urbane coinvolte.
Quest’impostazione del problema portò ad un ribaltamento dell’ottica convenzionale: lo sviluppo urbano e l’integrazione delle tre città (Messina, Reggio e Villa S. Giovanni) nella “Città dello Stretto” diventò non la conseguenza della realizzazione delle infrastrutture, ma la condizione per poter attuare la politica infrastrutturale di collegamento fisso attraverso lo Stretto. Il sistema urbano dello Stretto, formato dalle tre città principali e dagli insediamenti minori, ha una struttura urbanistica complessa; questo vale in particolare per la città di Reggio, estesa su un vasto territorio. In tutta l’area la mobilità, indotta anche dalla particolare conformazione urbana, è molto elevata. La barriera fisica dello Stretto tuttavia incide molto sulle relazioni: infatti la mobilità attraverso lo Stretto è molto meno sviluppata (dei 253 milioni di spostamenti anno che si contavano nell’area dello Stretto, solo poco più di 2 milioni attraversavano). Per contro, la città dello Stretto oggi è già una realtà per il sistema universitario, distribuito sulle due sponde.

La città dello Stretto
La situazione di mobilità rilevata consentì di prevedere (e di calcolare con modelli di traffico) che il superamento della barriera fisica avrebbe indotto un consistente aumento degli scambi tra le due sponde, con la creazione di un’unica area di mobilità e di un’unica città di 500.000 abitanti. In questo modo si sarebbero generati gli spostamenti necessari a sostenere il progetto: pertanto la condizione per la realizzazione del collegamento fisso era verificata, ma solo in uno scenario di consolidamento e sviluppo degli insediamenti e delle attività urbane presenti nell’area. In altri termini, le possibilità di costruzione della “Città dello Stretto” erano direttamente legate al recupero ed alla valorizzazione del sistema insediativi locale.
Una volta chiariti gli obiettivi e le premesse essenziali, fu possibile definire lo schema macrourbanistico del progetto di attraversamento stabile. Risultò evidente come il concetto chiave fosse l’equilibrio degli insediamenti e delle attività, associato a flessibilità e gradualità nella realizzazione delle infrastrutture. Apparve chiaro, cioè, come la rete dei trasporti nell’area dello Stretto fosse un sistema necessariamente formato sia dai collegamenti marittimi (traghetti, aliscafi), sia dall’eventuale attraversamento fisso, il quale avrebbe dovuto aggiungersi al sistema integrandosi agli altri elementi, al fine di garantire una più elevata accessibilità complessiva. In altri termini si vide come l’attraversamento fisso si dovesse inserire nell’equilibrio formato da insediamenti, attività produttive e reti di trasporto, senza turbarlo, ma inducendone l’evoluzione con la necessaria gradualità. In caso contrario si sarebbe prodotto uno squilibrio urbanistico ed economico, ancor prima che infrastrutturale.
Numerosi erano i pericoli insiti nel progetto: da quello di causare la rovina dell’industria del traghettamento a quello di creare nuove aree dismesse all’interno degli insediamenti urbani. Non andava dimenticato lo squilibrio causato dalla rilevante massa di manodopera necessaria per la costruzione, che al termine delle opere non avrebbe trovato adeguata collocazione, come avvenne a Taranto all’epoca della costruzione del polo siderurgico. Non a caso una delle parti più importanti della ricerca economica che guidò il progetto ebbe come obiettivo quello di evitare squilibri nell’assetto economico e del mercato del lavoro. La tecnologia individuata consentiva ampiamente di realizzare la flessibilità richiesta. Si prevedeva, infatti, la realizzazione separata e scaglionata, in relazione alle necessità ed al livello di sviluppo dell’area urbana, dei vari collegamenti tra le due sponde.
Conviene a questo punto illustrare con maggiore dettaglio i contenuti del progetto di attraversamento con tunnel in alveo.
I tunnel sarebbero stati costituiti da elementi modulari posati a circa 45 metri sotto il livello del mare. Poiché questi elementi sono soggetti alla spinta idrostatica, essi vengono ancorati al fondo marino con elementi tubolari in acciaio. Si sarebbe trattato di manufatti assai complessi, realizzati con la sovrapposizione di più gusci in materiali diversi, in grado di soddisfare tutte le norme di sicurezza, anche in caso di sismi o catastrofici incidenti di navigazione. Nella configurazione definitiva il collegamento tra le due sponde sarebbe stato costituito da tre tunnel: uno dedicato al trasporto ferroviario, contenente un doppio binario, e due dedicati al trasporto stradale, contenenti ciascuno una carreggiata con due corsie di marcia ed una d’emergenza.

Un progetto graduale
Lo studio del collegamento ferroviario fu particolarmente approfondito: era costituito dall’inviluppo di quattro assi ferroviari che si riunivano nel tunnel d’attraversamento. I quattro assi ferroviari avrebbero costituito un sistema di totale accessibilità urbano-regionale dell’area dello Stretto: verso Gioia Tauro sulla costa tirrenica calabrese, verso Locri sulla costa ionica calabrese, verso Milazzo sulla costa tirrenica siciliana, e verso Taormina, sulla costa ionica siciliana. L’esercizio di questo sistema ferroviario di area urbana sarebbe stato reso possibile dal transito sia dei treni nazionali sia di quelli regionali e locali, con margini di capacità per ospitare tutti i servizi. Tutti i treni sarebbero confluiti in due stazioni principali a due livelli (uno sotterraneo per l’attraversamento ed uno in superficie) poste a Reggio/Gallico e Messina Centrale, dove era consentito lo scambio tra tutte le linee.
Nel tratto urbano queste linee avrebbero costituito un efficiente servizio di metropolitana delle tre città principali: Messina, Reggio e Villa S. Giovanni. La presenza sulla linea dei treni nazionali, regionali e locali avrebbe consentito frequenze fino a 5 minuti sui rami più prossimi all’attraversamento (nell’urbano di Reggio e Messina). Il servizio metropolitano sarebbe stato assai veloce ed efficiente per gli spostamenti urbani tra le città: il percorso Reggio Centrale-Messina Centrale sarebbe stato coperto in 16 minuti, ed il puro attraversamento, sul percorso Reggio Gallico-Messina Centrale, in 5 minuti. La velocità è propria della scelta tecnologica, che consentiva di collegare direttamente i centri delle città.
Per sostenere l’onere economico dell’attraversamento subalveo ed evitare gli squilibri di cui si è detto si previde un’attuazione per gradi, di pari passo con lo sviluppo delle relazioni e degli insediamenti. In un primo tempo sarebbe stato realizzato il solo attraversamento ferroviario, con la costruzione di un solo tunnel. Questo avrebbe garantito la totale accessibilità urbana e regionale con un sistema di metropolitana ferroviaria ad alte prestazioni. A questo punto l’armatura infrastrutturale della “Città dello Stretto” sarebbe stata già compiuta, senza aver inserito elementi di squilibrio urbanistico o economico. Realizzare il collegamento sulla rete di trasporto pubblico, prima che su quella stradale, avrebbe inoltre consentito che l’accessibilità nella “Città dello Stretto” fosse ampia ed offerta a tutti senza limitazioni di condizione sociale.
Il passo successivo sarebbe stata la costruzione del secondo tunnel, destinato al trasporto stradale, con la realizzazione di un collegamento su unica carreggiata a due corsie, una per senso di marcia. Questa sezione stradale avrebbe potuto reggere al traffico veicolare in attraversamento dello Stretto per un periodo relativamente lungo. Quando la crescita del traffico avesse richiesto una superiore capacità di trasporto si sarebbe potuto realizzare il secondo tunnel stradale, riorganizzando il collegamento su due carreggiate separate a sezione autostradale.
La gradualità offriva numerosi vantaggi. Da una parte il nuovo collegamento non avrebbe sostituto totalmente i traghetti, che sarebbero stati parte integrante del sistema per tutti gli scenari intermedi. La manodopera necessaria per costruire il collegamento sarebbe stata più limitata, ma impiegata per un tempo più lungo (con una durata minima di oltre quindici anni), quindi formata da addetti stabili. Inoltre i manufatti componenti i tunnel avrebbero potuto essere costruiti in qualsiasi cantiere italiano, per essere poi rimorchiati allo Stretto, con larga ripartizione dei vantaggi economici e minori squilibri.
Questo modo di realizzare le infrastrutture avrebbe fatto crescere l’offerta di capacità insieme alla crescita della domanda e quindi anche della capacità di investimento. Infine, il sistema avrebbe potuto creare da solo una parte delle risorse necessarie al suo completamento: infatti il tunnel ferroviario realizzato per primo avrebbe iniziato a produrre utili e ad eliminare gli ingenti costi di traghettazione dei treni, quindi a ripagare gli investimenti ancor prima che il sistema fosse completato.
Ma il più importante vantaggio sarebbe stato dato dalla configurazione urbanistica dei tracciati. La centralità attribuita al problema degli insediamenti indusse a progettare le reti di trasporto sulla struttura urbanistica di Reggio e Messina: ne risultò un tracciato più razionale dal punto di vista trasportistico e più efficace in termini simbolici. Il traffico nazionale non ne sarebbe stato per nulla penalizzato, anche se i tracciati avrebbero privilegiato le relazioni fra gli insediamenti. Le reti di trasporto progettate non avrebbero “saltato” alcuna città: l’ambito urbano di Reggio, così come quello di Messina, sarebbero stati i veri terminali dell’attraversamento.

La salvaguardia del paesaggio
La scelta di realizzare il collegamento ferroviario per primo fu dettata anche da preoccupazioni di ordine urbanistico, cioè dalla necessità di recuperare i quartieri dispersi nella vasta urbanizzazione reggina, obiettivo congeniale alle caratteristiche del trasporto ferroviario. Si scoprì l’importanza di luoghi urbani estremamente significativi. Catona e Gallico – ora insediamenti periferici - e la stazione di Messina con le aree adiacenti, sarebbero diventati “luoghi urbanisticamente privilegiati” destinati a ricoprire un ruolo centrale nella “Città dello Stretto”. Questi luoghi, dotati della più elevata accessibilità poiché collocati nell’interscambio di tutte le reti di trasporto, avrebbero potuto ospitare attività di terziario avanzato necessarie per lo sviluppo della “Città dello Stretto”. Ma anche tutti i luoghi toccati dalle numerose stazioni del servizio metropolitano avrebbero goduto di notevoli caratteristiche di accessibilità (anche se non confrontabili con quelle delle due stazioni di interscambio) e sarebbero potuti diventare altrettanti centri di sviluppo urbano. Il contenuto del progetto era quindi costituito da più elementi: i manufatti dell’attraversamento, il sistema degli insediamenti, la rete di trasporto e le attività insediate erano inscindibilmente legati, il tutto con l’obiettivo di uno sviluppo globale.
Da ultimo, ma non per importanza, l’aspetto simbolico, in questo caso direttamente connesso con quello ambientale. I tunnel non sarebbero stati visibili all’esterno se non attraverso pochi, sofisticati e discreti segnali, non intrusivi nel paesaggio.
Il paesaggio naturale sarebbe rimasto invariato: l’aspetto più affascinante della sfida progettuale affrontata fu quello di unire funzionalmente conservando la separatezza e diversità paesaggistica. Ho sempre pensato che non si debbano avere eccessive paure nei confronti delle trasformazioni del paesaggio causate dalla tecnologia dei trasporti. Tuttavia sono profondamente convinto che la tecnologia che raggiunge risultati almeno uguali, se non superiori, lasciando il paesaggio invariato, sia sicuramente da preferire. Questo progetto, ormai abbandonato e dimenticato, fece capire a tutti noi come fosse possibile costruire città in modo ben diverso e più accorto, impostando un rapporto più profondo tra gli insediamenti, la rete di trasporto e lo sviluppo economico locale.

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