MEGLIO UN SOGGETTO DI COORDINAMENTO TRA ENTI LOCALI – di Giorgio Goggi, da il Riformista dell’11 agosto 2006
14 settembre 2006
Città metropolitana. E’ un’istituzione ormai superata.
I geografi, che giustamente non si curano dei temi della politica, assegnano all'area urbana milanese la dimensione di oltre 7 milioni d'abitanti. La provincia di Milano ne conta ben meno di 4 milioni. In queste due cifre è rappresentata tutta l'inadeguatezza dell'attuale dibattito politico sulla città metropolitana. La scienza, infatti, obbliga a tener conto di tutta la popolazione che vive in condizioni urbane in stretta relazione con un polo principale, con il quale può intrattenere spostamenti pendolari. Il dibattito politico, invece, nonostante il conclamato obiettivo di superare i confini comunali, resta chiuso nei confini delle istituzioni territoriali, attento soprattutto alla nuova distribuzione di poteri che ne può conseguire.
Ormai è del tutto superata la visione della città metropolitana come nuova istituzione che cancella e sostituisce i comuni con la loro storia e la loro tradizione di partecipazione democratica, come incautamente prevedeva l'abrogata legge 142/90. Tuttavia, anche il Dlgs 267/2000, che l'ha sostituita, muove da un contesto molto simile di ingegneria istituzionale,ove un nuovo ente territoriale - supposto più rispondente ai bisogni - ne sostituisce un altro, in questo caso la provincia. In realtà, il decreto non ci dice nulla dei poteri della «città metropolitana», se non che «acquisisce le funzioni della Provincia». Se si sta alla lettera della legge, si tratta di un cambiamento di nome senza modifica di sostanza, cosa che fa suonare stravaganti gli entusiasmi scatenati in questi giorni intorno all'argomento. A meno che non sia sottintesa la cessione di poteri propri da parte di altri enti: questo è davvero rilevante, ma non scontato.
Ora, se la legge 142 è rimasta lettera morta per un decennio e il Dlgs 267, dopo sei anni, sembra avviato ad una sorte analoga, un motivo serio ci dovrà pur essere. E' un fatto che le velleità di ingegneria istituzionale sono andate spesso a scontrarsi con le radici profonde della nostra cultura e della nostra democrazia, fondata - per tradizione secolare - sui poteri comunali. Da queste radici occorre partire, chiedendosi, innanzitutto, se la città metropolitana sia davvero cosa ragionevole. Propongo una breve, sommaria riflessione per scoprire a quali bisogni si debba rispondere e con quali strumenti.
All'origine vi è il diffuso riconoscimento dell'inadeguatezza degli attuali enti territoriali alle nuove dimensioni urbane. Se è il sentire dei più che i problemi della città superano i confini comunali, non è affatto detto che occorra creare un nuovo ente abbastanza grande da ricomprenderli. Il dibattito dà, quindi, per scontato che la città metropolitana debba essere una nuova istituzione caratterizzata da un proprio, definito territorio.
Ma l'ambito dei problemi di una grande area urbana si allarga in continuazione e varia in ragione della natura dei problemi da affrontare. Oggi i confini provinciali vengono ampiamente travalicati da molte urgenti scelte di assetto del territorio milanese. Definire come territorio della città metropolitana quello della provincia vorrebbe dire trascurare le legittime aspettative della metà degli abitanti dell'area urbana milanese come riconosciuta dai geografi. Per non dire della futura nascita della Provincia di Monza, in questa logica contraddittoria. Pertanto tutta l'ingegneria istituzionale, spesa ad individuare un'istituzione grande come i problemi, è destinata al fallimento per progressiva e continua inadeguatezza.
Viene quindi da concludere che, per stare al passo con i problemi, la città metropolitana non dovrebbe avere un territorio definito, ma ambiti costruiti sui bisogni reali dei cittadini. Ambiti sovracomunali che potranno essere, in relazione ai temi affrontati, più o meno estesi dei territori provinciali. Resta da definire se debba anche essere un'istituzione analoga agli enti locali che noi oggi conosciamo. Tutti pensiamo che la città metropolitana debba essere sede di quelle scelte che travalicano il livello decisionale dei singoli comuni e, insieme, quella in cui si effettua il coordinamento fra i singoli comuni ed i rispettivi poteri. Ma la città metropolitana deve anche avere dei poteri propri, oltre a quelli della provincia che la legge le assegnerebbe? E se sì, quali saranno questi poteri, ma soprattutto a chi verranno tolti? Ai singoli comuni o alla Regione? E quale di questi enti vorrà spogliarsi dai propri poteri per conferirli alla nuova istituzione?
E ancora, in presenza di un'area urbana geografica di oltre 7 milioni d'abitanti, potrà questa nuova istituzione fare a meno dell'attiva partecipazione della Regione, unico ente che riesce a ricomprendere quasi tutta la reale popolazione urbana? Viene in mente un soggetto che sia il luogo delle scelte e del coordinamento tra i comuni e gli enti locali, che non abbia poteri propri se non quello di chiamare tutti i soggetti al coordinamento, che agisca invece per mezzo dei poteri degli enti che vi siedono. Che non abbia strutture proprie al di fuori di quelle degli enti coinvolti. Questo soggetto dovrebbe vedere la partecipazione attiva della Regione che interverrebbe sostituendolo con i poteri propri. Non sarebbe un doppione dei cosiddetti «tavoli» di coordinamento in sede regionale, per via delle vaste ancorché flessibili - dimensioni, ma soprattutto perché godrebbe di riconoscibilità politica.
Un soggetto di questo tipo risponderebbe ai reali bisogni, senza confliggere con le radici profonde della nostra democrazia. Sarebbe totalmente difforme da quanto previsto dagli art. 22 e 23 del Dlgs 267, (forse non varrà nemmeno la pena di chiamarlo città metropolitana), ma non sarebbe contrario al disposto della legge. Infatti, l'art. 24 dello stesso Dlgs 267 prevede che la regione possa definire ambiti sovracomunali «per l'esercizio ordinato delle funzioni degli enti locali» in materie come «la pianificazione territoriale, le reti infrastrutturale, lo smaltimento dei rifiuti» ed altre ancora. Il nostro soggetto, quindi troverebbe nella legge attuazione immediata ed operativa. Nelle grandi aree urbane d'Europa, come Londra e Parigi, le istituzioni metropolitane sono state da tempo smantellate in favore di organismi di coordinamento; finora l'esperienza internazionale non è bastata, speriamo che almeno faccia riflettere la misera storia della nostra legislazione metropolitana.