MACRON di Alberto Benzoni
19 aprile 2019
Ovvero, grandi doti, scarsi
risultati
A differenza di quanto si racconta nelle fiabe, alla nascita di Emmanuel
Macron, non c’erano fate cattive, magari perché non invitate. Presenti solo
fiabe buone, tutte intente a garantirgli le doti necessarie ad assicurargli i
più luminosi destini politici. Competenza in tutto; transito rapido e
preventivo in tutti luoghi del potere, Ena, banca Rotschild, governo Hollande.
Disponibilità e “sensibilità”a svolgere ruoli politico-culturali diversi:
sovranista al massimo grado ed europeista; esaltatore, modello De Gaulle, del
ruolo dello stato e liberista convinto; né di destra né di sinistra perché
macronista; ascoltatore e affabulatore; pronto ad essere interlocutore
privilegiato di americani, russi e cinesi ma al tempo stesso sospettoso di
tutti e tre; leader olimpico e privilegiato e presidente sollecito dei bisogni
dei “meno favoriti; e ancora. E, a coronare in tutto, una fiducia totale nelle
proprie capacità; fata Modestia e fata Senso del limite non erano state
invitate; e ne hanno preso atto. E, non essendo presente in natura fata
Onnipotenza, a decidere i suoi futuri percorsi saranno inclinazioni naturali e
circostanze esterne; che lo porteranno verso i percorsi più facili e scontati.
Difficile anzi impossibile cambiare l’Europa in mancanza del consenso della
Germania. E, allora, in mancanza di quello, si pratica il sovranismo più
spinto. Facile misurarsi con i più deboli ma impossibile gestire, in assenza
dell’Europa i rapporti con le grandi potenze mondiali. Difficile essere, alla
lunga, non essere ascoltato se non sai cosa dire a chi ti contesta;
trasformandolo anzi- vedi il caso gilet gialli- in un nemico della Francia e
dell’ordine pubblico. E, in definitiva, difficile non essere né di destra né di
sinistra, quando l’una e l’altra opzione esiste in natura e tutto ti spinge a
essere parte della prima: con una Camera dei deputati che conta lo 0.2% di
operai e ben oltre il 50% di professionisti e dirigenti ed un governo formato
in maggioranza da milionari (il più ricco dei quali è ministro del lavoro…).
Capita quasi sempre, a chi non è onnipotente, scegliere il percorso più facile.
Perché è quello cui ti portano la tua indole, le forze che ti sostengono e il
“senso comune”dell’epoca in cui vivi. Segui cioè la via delle privatizzazioni,
degli sgravi fiscali per i privilegiati, del contenimento della spesa pubblica;
compensando, si fa per dire il tutto, con misure di sostegno specifico a favore
dei più deboli.
Una scelta che però si paga. In termini politici. E soprattutto
economico-sociali. Per spiegarne il perché e il percome non c’è bisogno di
ricorrere all’estremista di turno. Basta ascoltare quello che dice, in una
intervista a “Le Monde”, l’economista capo dell’OCSE, Laurence Boone.
A suo motivatissimo (perché sostenuto dai dati) giudizio la Francia è, tra i
paesi sviluppato, quello caratterizzato da uno dei più forti “determinismi
sociali”; leggi dal fatto che esiste un fossato pressoché invalicabile tra quelli
che “nascono bene” e quelli che “nascono male”. I primi, con la strada già
spianata sin dall’inizio; i secondi che, per uscire dalla loro marginalità,
avranno bisogno di generazioni.
Una condizione, aggiunge implacabile la Boone, su cui continuano a pesare tre
scelte di fondo che hanno segnato la politica economica francese (e non solo)
negli ultimi decenni: tagli e privatizzazioni che rendono, fin dalla nascita,
sempre più difficile l’accesso ai servizi pubblici essenziali (sanità,
istruzione, trasporti); una politica di austerità nemica della crescita; e,
infine, una politica fiscale che pesa in modo abnorme su ceti medi in via di
impoverimento.
Difficile che Macron accolga questo messaggio (per non parlare dei suoi fans
italiani). A noi cittadini di farne tesoro.