“MACCHE’ POLITICA” , IL LEONE SOCIALISTA FORMICA intervista di Francesco Ghidetti a Rino Formica su QN
28 marzo 2017
“Come in una sequenza cinematografica mi vengono in mente due immagini. Da una parte Roma. Isolata. Dove i governanti non vogliono avere rapporti coi governati. Dall’altra Milano, piena di gente, che si stringe attorno al Papa.”
Rino Formica, vecchio leone socialista, uno fra i pochissimi, per capirsi, che sapeva dire dei fermi ma cortesi “No” all’allora onnipotente Bettino Craxi, analizza con sereno pessimismo l’anniversario dei Trattati del 1957 e il documento scritto ieri.
Formica, lei usa immagini cupe.
“Chi governa è lontano da chi dovrebbe essere governato. Chi
si è stretto attorno al Pontefice non è che si è convertito così, all’improvviso..
Il presente che viviamo pone temi laceranti che dividono popoli e maggioranze
democratiche”.
Le celebrazioni romane hanno partorito una lunga
Dichiarazione.
“Documento che sfuma le parole. Senza un significato
proprio. Senza proporre una soluzione nitida. Si parla dei prossimi dieci anni
come spazio temporale per superare la crisi. Un vaticino? Una speranza? Che
risposte diamo ai grandi temi dell’euro, dei migranti, delle crisi economiche e
sociali? La realtà è che nessuno ha il coraggio di sciogliere l’Unione e quindi
si ricorre a queste formule.”
C’è il tentativo di declinare l’Europa all’insegna dell’unità.
“Un tentativo fallito. Mi vengono in mente le parole di
Stalin: Quando non riesco a raggiungere la maggioranza mi accontento dell’unanimità.”
E allora che cosa sono andati a fare a Roma i leader
europei?
“Direi che è stata una vacanza romana. Soffocata.”
Perché?
“Ma perché rinchiudersi all’interno di logiche
protezionistiche e nazionalistiche pone un doppio problema. Da un lato di tipo
sovranazionale, dall’altra di tipo nazionale. Se non capiamo che il problema è il conflitto che c’è tra
modello sociale e misure comunitarie non arriviamo a nulla”.
Si riferisce all’Italia?
“Sì. La prima parte della Costituzione definisce il modello
sociale del nostro Paese. Si parla di lavoro. Non di mercato, concorrenza,
profitto. Quindi la domanda conseguente e logica è: sono in grado i governanti
di rispettare i vincoli imposti dall’Europa senza entrare in conflitto con la
carta costituzionale? Evidentemente no.”
E come se ne potrebbe uscire?
“Introducendo una norma semplice: qualsiasi decisione che
incide sulla prima parte della Costituzione va sottoposta a referendum. Ma ci
vorrebbero partiti di sinistra veri in grado di prendere l’iniziativa affinché
le regole europee non impongano scelte in contrasto con i principi costituzionali
italiani”.
Diceva di Milano e di Papa Francesco.
“Sì. Mi è venuta in mente la Roma del luglio 1943 bombardata
dagli Alleati. Con Papa Pacelli fra le rovine e la gente intorno in cerca di un
briciolo di speranza”.
Presidente, i populismi..
“Lo fermo subito. Basta porsi problemi astratti. Andiamo sul
pratico. C’è una frattura tra popolo e istituzioni. Non è una novità, accade da
fine Ottocento e sempre in momenti di crisi. Ciò detto, l’ostacolo non va
aggirato. Perché sta andando in crisi il modello della rappresentanza
democratica coi rischi di distruzione del Parlamento”.
Mentre nel 1957…
“Formidabile atmosfera. Eravamo in pieno boom. La gente
aveva fiducia nella politica. Altri tempi. Lontanissimi.”
Erano i tempi di comunisti e socialisti in disaccordo sull’Unione
Europea…
“No. Le posizioni della sinistra italiana erano tre. Comunisti
ostili. Pietro Nenni e il Psi neutralisti. Iniziativa socialista e il Psdi di
Giuseppe Saragat decisamente europeisti.”
Ora invece c’è malinconia.
“Sì. Specie da parte di una persona, Matteo Renzi. Gli si è
stretto il cuore e si è mangiato molto fegato a vedere Paolo Gentiloni firmare…”