MA QUALE EXPO? Di Roberto Biscardini
23 ottobre 2009
È trascorso un anno e mezzo dall’aggiudicazione dell’Expo 2015 a Milano, ma ad oggi non è chiaro quale sarà la struttura di questa esposizione universale. Il primo anno si è perso per la definizione dell’assetto della società di gestione e per la nomina del suo AD, l’ex ministro Stanca. Alla faccia del federalismo lombardo, indicato dal Governo ma sul conto del Comune di Milano.
Anche il più perfetto spool system targato PDL-Seconda Repubblica ha richiesto i suoi tempi di maturazione e ha dovuto rispettare le normali regole lottizzatorie.
Trovare un’intesa tra diverse parti in commedia non è stata cosa semplice. Da una parte il Governo, nell’equilibrio difficile tra le esigenze del PDL e quelle della Lega, rappresentate in solido dal vice ministro Castelli. Dall’altra la Regione, che fin dall’inizio ha giocato la carta del protagonismo infrastrutturale. E dall’altra, ancora, il Comune, con poche idee da mettere sul tavolo e tanta voglia di primeggiare. E dopo la nomina di Stanca? Altri mesi persi per scegliere la sede ed altri se ne stanno perdendo per fare assunzioni.
Il paradosso è che dopo il successo parigino del 2008, ottenuto con un gioco di squadra ben sostenuto sul piano politico dal Governo Prodi e sul piano imprenditoriale da una potente lobby (Eni, Telecom, Finmeccanica, A2A, e Saras per citare solo le componenti principali), tutto è sembrato sfarinarsi. Marco Alfieri, nel suo bel libro La peste di Milano, lo registra alla perfezione: “Ci voleva davvero un capolavoro al contrario per disfare in pochi mesi il senso della vittoria di Parigi. La classe dirigente milanese ci è riuscita in pieno.”. Ma la dichiarazione più impietosa e ripresa nello stesso libro, è quella dell’ex direttore dell’Ansa Pierluigi Magnaschi, del 18 marzo 2009: “Una vicenda del genere è tipica del profondo Sud lottizzato e tanto criticato dal Nord. Se va avanti così, i milanesi dovranno chiedere aiuto a Bassolino, che nelle paralisi di una città almeno è più esperto…”.
Nel frattempo, anche se molte informazioni sono segretate, una cosa è certamente maturata: il progetto originario presentato alla Bie deve essere sostanzialmente cambiato e il programma delle opere illustrato a Parigi, non sta più in piedi. Il minor trasferimento di risorse dallo Stato (Tremonti all’Expo non ci ha mai tenuto molto), i progetti infrastrutturali non ancora definiti e quindi opere difficilmente cantierabili, insieme alla crisi economica che ha ridotto la speranza di un forte impegno dei privati, stravolgeranno il progetto dell’Expo e lo ridurranno all’osso.
La crisi e i ritardi impongono una diversa utilizzazione delle risorse.
Nel disastro, un’occasione da non perdere per rimodellare il progetto in senso positivo. A condizione che la politica, finora assente, faccia un salto di qualità, definisca un’idea politica forte e si dia l’obiettivo di individuare progetti e azioni utili a garantire le ricadute più produttive sia per il Paese che per la Lombardia, per acquisire in un momento di crisi più prestigio per entrambi. Altrimenti, a che serve?
Se questo è l’assunto, la si smetta di fare enunciati giusti e pratiche sbagliate. Non si vada a vincere sulla base di un “progetto paese” aprendosi al mondo ed evocando un tema di grande spessore politico ed economico, come Nutrire il pianeta. Energia per la vita, per poi ritornare a casa a parlare di soldi, di rendite, di metri cubi e di tanta altra robaccia condita da alcuni discutibili ammennicoli urbani, dalle piste ciclabili, ai Navigli finti e corsi d’acqua compresi. E sul piano territoriale, si prenda l’intera Lombardia e non solo la piccola Milano come proprio punto di riferimento.
Si esca dalla logica immobiliarista di cosa si costruisce nel recinto dell’Expo, si abbandoni la logica delle shopping list di opere da realizzare, per altro, già pensate anni fa, tutte strategiche quindi nessuna strategica, ma anche si contrasti la versione patetica di un Expo che dovrebbe arricchire i commercianti milanesi in ragione di milioni di visitatori. Non sarà così. In epoca informatica, se fosse per i soli padiglioni espositivi, a Milano ne arriverebbero veramente pochi. Peraltro, non è l’Expo ad essere attrattiva in sé, ma il suo modo di essere e di rapportarsi al territorio. Nel nostro caso, alla città policentrica lombarda. Il palinsesto territoriale che alterna città e campagne in un’unica grande area urbana. Un know how territoriale che la rende esclusiva nel panorama mondiale delle grandi città. Un’area policentrica che va da Novara a Piacenza, sommatoria di tante identità economiche e culturali che non solo convivono tra loro, ma danno forma e forza al tutto, in un sistema di fitte interrelazioni. Non metropoli e non megalopoli.
Se questo è il quadro di riferimento, consigliamo al Sindaco di ripartire dalle premesse da lei stessa enunciate e di buttare via tutto il resto.
Primo. L’Expo 2015 deve avere una forte valenza nazionale. Intorno a questo evento Milano ha tutto l’interesse a interpretare l’unità della nazione e l’intero Paese ha l’interesse di identificarsi con Milano. Qualificandosi sui grandi problemi dello sviluppo sostenibile e dell’ambiente. Si assuma questo ruolo nazionale e si lavori fin d’ora di concerto con il Governo e con le altre realtà territoriali, perché le ricadute positive dell’Expo siano diffuse su tutto il territorio nazionale. Non si può essere miopi ed egoisti. La vittoria di Milano, che è stata la vittoria dell’Italia, non può essere dimenticata. E non si può aspirare ad essere, nella globalizzazione, capitale mondiale nel guscio dei propri confini, senza diventarlo a livello nazionale. Bisogna creare le condizioni affinchè dell’Expo di Milano possano andare orgogliosi anche al Sud.
Secondo. Come già accennato, la scala locale il riferimento dell’Expo non deve essere né il suo limitato recinto e nemmeno la sola città di Milano. Scale troppo piccole per un evento che si propone effetti durevoli. La scala territoriale giusta è quella vasta di Milano e Lombardia insieme, secondo il disegno politico di Città Lombardia o città regione, studiato, perfezionato e definito nella Scuola di Urbanistica di Milano degli anni ’70. Prospettiva allora lungimirante, oggi obbligata dal quadro macroeconomico, urbanistico ed ambientale e senza alternative. Mi riferisco alla Milano-Lombardia come unica area urbana di oltre 9 milioni di abitanti, evocata, ci auguriamo non casualmente, dalla stessa Moratti al momento della candidatura dell’Expo. Una realtà urbana che c’è già, che forse non tutti percepiscono, ma che deve essere costantemente perfezionata.
A questa scala la Lombardia può offrire molto all’Expo e l’Expo può rappresentare un’occasione per il suo rafforzamento, agendo su tre fronti.
1. Quello dei diritti alla qualità urbana e ambientale. La realtà urbana lombarda non è solo case e cemento, ma anche territorio agricolo, col suo paesaggio, che può conoscere processi di consolidamento, di rilancio e di recupero, sia nel sistema delle produzioni agroalimentari che nel ripotenziamento del sistema boschivo e dei suoi parchi. L’agricoltura, persino con le sue cascine ed il suo ambiente, può diventare “linfa vitale” sul piano economico, ambientale e territoriale dell’abitato.
2. Quello dei diritti di mobilità estesi a tutto il territorio. La Lombardia città policentrica regge già ora su un importante sistema infrastrutturale. Questo sistema va completato in una logica non monocentrica su Milano, per raggiungere il livello di un grande servizio regionale.
3. Quello dei diritti alla conoscenza estesi a tutti. La Lombardia città, già luogo della produzione della conoscenza, con le sue università, i centri di ricerca e il mondo della comunicazione, deve estendere e potenziare la propria rete degli scambi informazionali con il resto del mondo e viceversa.
È così che rispondo all’architetto Vito Redaelli del Politecnico di Milano, che già nel settembre 2006 poneva in anticipo la questione di quale formato l’Expo dovesse avere perché fosse un utile contributo innovativo alla costruzione della grande area urbana milanese e lombarda.
Dentro questo disegno politico, l’Expo 2015 può fare scattare vere sinergie. Diversamente, come già accaduto in tante altre Expo, anche quella di Milano potrà essere un costoso e inutile flop.