MA ANCHE D'AMBROSIO NON POTEVA NON SAPERE di Mauro Del Bue dall'Avanti del 9 settembre
25 ottobre 2012
Piovono le rivelazioni, si moltiplicano le dichiarazioni e si rispolverano i ricordi a proposito dell’intervista, pubblicata post mortem, dall’ex ambasciatore americano in Italia Bartholomew, alla quale si è poi aggiunta quella dell’ex console americano a Milano Semler, pubblicate entrambe da “La Stampa”. Tre sconcertanti novità emergono. La prima è che Bartholomew abbia convocato, per denunciare le persistenti violazioni dei diritti civili in Italia (attraverso l’improprio uso del carcere preventivo a fini di confessione) alcuni magistrati nel suo ufficio, assieme ad Antonio Scalia, giudice della Corte suprema. In quell’incontro si convenne che in Italia si stavano calpestando “i diritti basilari degli imputati” nonché “i principi basilari del diritto anglosassone”. Non è dato sapere che fine fece quella denuncia, della quale nulla emerse pubblicamente. Questa posizione l’ambasciatore americano prese anche per equilibrare la posizione assunta dal console americano che era di completo appoggio all’azione di Di Pietro e seguiva un orientamento Dell amministrazione e Clinton di mutare la posizione degli Usa, che fino al 1993 era di totale appoggio a un cambio di sistema in Italia. D'altronde, che la politica giudicata eccessivamente filo araba di Andreotti e Craxi, nonché le vicende di Sigonella e della mancata concessione delle basi militari per bombardare la Libia, fossero più che mai presenti dopo la caduta del muro e la fine del comunismo, era perfino logico aspettarselo. Era ovvio che anche l'Italia era destinata a cambiare dopo il 1989, e non vedo come possa stupirsene Gianni De Michelis che la situazione internazionale doveva conoscere assai bene. Cadevano le tradizionali contrapposizioni e anche un alleato strategico come il nostro Paese cessava di essere in qualche misura protetto e garantito nella sua stabilità e continuità politica. E questo, a mio giudizio, risulta essere l'errore politico del gruppo dirigente del PSI di allora, che non percepì la nuova situazione o, se la percepì, non volle o non Apple trarne le logiche conseguenze. Così viene disvelata la seconda e ancor più sconcertante novità. E cioè che Semler ricevesse nel suo ufficio Di Pietro per periodici faccia a faccia. La cosa era evidentemente sconosciuta ad altri magistrati anche dello stesso Pool. Tanto che Gerardo D’Ambrosio se ne stupisce e afferma che se l’avesse saputo allora si sarebbe alquanto arrabbiato col piemme, simbolo di quella stagione. La terza e altrettanto sconcertante novità scaturisce da un ricordo di Semler riferito all’autunno del 1991 (l’arresto di Chiesa è del marzo del 1992). In quell’occasione Di Pietro rivelò al console americano che Craxi e la Dc sarebbero stati distrutti dalle inchieste. Dunque con cinque mesi di anticipo sul primo arresto, non solo violando il segreto istruttorio (come era, e purtroppo è tuttora, prassi consolidata), ma anche anticipando le conclusioni delle indagini, quasi fossero state già scrittte. L’unica conclusione, che mi pare per ora giusto trarre, sta nelle stesse affermazioni di D’Ambrosio. Poteva un Pool (cioè una sorta di aggegrazione di magistrati che dovevano concertare le loro iniziative) avere al suo interno un magistrato che teneva un segreto di questa portata, riferito a rapporti con un rappresentante di una nazione straniera, anche se alleata? Evidentemente si trattava di un segreto importante e forse decisivo, altrimenti non sarebbe stato così gelosamente custodito. Non doveva valere infatti anche per i magistrati del Pool il teorema del “non potevano non sapere?”.
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