MA A CHE SCOPO UN GOVERNO DI SCOPO? di Alberto Benzoni dall'Avanti! della domenica del 14 aprile 2013
11 maggio 2013
A cosa e a chi serve oggi il governo? Abbiamo scritto “il”, ma proprio in riferimento al caso italiano, avremmo dovuto dire “un” governo. Possiamo partire da Matteo Renzi. Secondo lui, è ora di finire la melina aprendo un negoziato serio con il centro e con il Pdl, cosa auspicata dal 95% degli italiani. Già, ma che tipo di governo? Su questo Renzi non si pronuncia, rifiutando anzi con sdegno l’accusa di collusione con il nemico di Arcore, se c’è qualcuno che sta trescando di nascosto con il Cavaliere, questo qualcuno non è né sarà lui, semmai quelli del “tortello magico” e della vecchi guardia Pd. Lo stesso Bersani sta smettendo l’armatura lucente di campione di uno schieramento fondato sulla priorità della questione morale, trattando in tutte le direzioni e con parlamentari “vincoli oppure sciolti”, per la formazione di un esecutivo per ora a geometria variabile, ma comunque incardinato su di lui. E, tanto per confondere ulteriormente le cose, punta, insieme, sul suo successo (leggi voto finale di fiducia) e sul suo fallimento (leggi, voto finale di sfiducia). Grillo contesta globalmente il governo “dei partiti”, ma ciò posto, gli va bene qualsiasi tipo di governo e “horribile dictu”, anche la minestra riscaldata del governo Monti. Monti sembra ridotto al “vengo anch’io” di jannacciana memoria, definitivamente sceso dal pero di “salvatore della patria”, si accontenta ormai di diventare partner non troppo esigente di combinazioni quanti più possibile incolori e inodori. A Berlusconi, infine basta l’entusiasmante sensazione di essere rientrato in gioco, magari togliendo alla sinistra Pd l’arma lucente della questione morale, a lui interessa partecipare, ciò posto sul che cosa (o, più esattamente su ciò che non riguardi direttamente lui) non sarà particolarmente esigente. In quanto all’Europa e ai mercati, questi non sembrano affatto turbati dall’assenza del governo. Come ha detto Draghi, c’è il pilota automatico, nella veste di un governo tecnico che segue tranquillamente i dettami e le pratiche dell’ortodossia liberista-rigorista, né si vedono all’orizzonte strategie, economiche e politiche, in grado di superarli. E tanto basta, perché degli effetti collaterali del non governo, drammaticamente in atto nel nostro Paese, l’Europa sembra interessarsi assai poco. Il “combinato disposto” di queste varie esigenze e/o preoccupazioni è, appunto, il “governo di scopo”, intendendo per tale, un governo il cui principale scopo sia quello di esistere, limitando nel tempo e nei contenuti la sua attività al minimo sindacalmente necessario e garantendo, questa volta nella misura massima possibile, ai partiti la facoltà di ridisegnare la loro linea politica in vista del non troppo lontano appuntamento elettorale. Faccenda grave e urgente quest’ultima. E che ci riguarda tutti. Perché l’Italia è entrata, dopo queste elezioni, in un nuovo sistema politico il cosiddetto (rubo il termine a Gigi Covatta) “tripolarismo autistico”, in cui ognuna delle tre componenti non solo non vuole dialogare con l’altra ma, quando finge di dialogare, compie, in realtà, un’opa ostile nei suoi confronti. È il caso dell’appello del Pd nei confronti dei deputai di Cinque stelle; è il caso dell’abbraccio dei berlusconiani nei confronti di Bersani; sarà, a partire dai prossimi giorni, il “più uno”costantemente proposto dai grillini nei confronti del Pd (a cominciare dal voto sulla Presidenza della Repubblica). Di qui un’incertezza anzi un terremoto continuo. Difficile anticiparne gli esiti, in un contesto in cui qualsiasi decorso e/o esito razionale (appunto, il governo di scopo) è appeso a un filo, e in cui, ancora, cresce la distanza, già siderale, tra ciò che la gente esige, fortemente e talvolta contraddittoriamente, dalla politica e quanto la politica è in grado di dare. Più facile, invece, individuare l’epicentro del sisma, che è, indiscutibilmente, il Pd. Il partito sarà infatti chiamato a risolvere, nel corso dei prossimi mesi e vivendo in una tempesta politica pressoché perfetta un’equazione a più incognite. Dovrà così ridisegnare la sua identità (Partito socialdemocratico? Partito della protesta sociale? Partito della responsabilità nazionale, a servizio dell’ordine costituito e delle istituzioni, italiane e/o europee?). Chiarire il suo ruolo nel sistema politico (e qui la domanda è: chi è il nemico principale?). Decidere, una volta per tutte, se ha sempre bisogno di un “papa esterno”. E, infine, optare per questa o quella “forma partito”(in un contesto in cui le opzioni sul tappeto sono tra loro del tutto opposte). Impossibile, al punto in cui siamo arrivati, continuare a evadere le questioni. E allora si tratta di sapere se il necessario generale riposizionamento avverrà in un clima di resa dei conti e di sfascio generalizzato oppure. E, allora, se il governo di scopo ha uno scopo, è proprio di arrivare alle elezioni con un sistema politico un po’ meno folle di questo, a cominciare dall’ultima architrave rimasta, appunto il Pd. Obbiettivo corretto e auspicabile. A me pare di sì, ma si accettano obiezioni.
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