L'UNIONE COMPRENDA BENE CHE PER SVILUPPARE CULTURA,RICERCA E OCCUPAZIONE GIOVANILE NON VA SEGUITA LA RIFORMA MORATTI - del Prof. Mario Caronna

02 marzo 2006

L'UNIONE COMPRENDA BENE CHE PER SVILUPPARE CULTURA,RICERCA E OCCUPAZIONE GIOVANILE NON VA SEGUITA LA RIFORMA MORATTI - del Prof. Mario Caronna

Intendo riprendere quanto già da me osservato su questa rivista nel numero dell'ottobre 2005 per dichiarare a tutto tondo che non mi trova assolutamente concorde quanto è contenuto nel programma dell'Unione sulla scuola.
Detto in breve, il succo delle moltissime pagine che il programma dedica alla scuola secondaria superiore è il seguente: obbligo scolastico fino a sedici anni, obbligo formativo fino ai diciotto da spendersi o nel sistema della istruzione o nella formazione professionale regionale, ovvero anche nell'apprendistato.
Ciascuno si può render conto che l'Unione, malgrado le tante affermazioni contrarie, accetta sostanzialmente la riforma Moratti, limitandosi a correggerne aspetti non essenziali e a ritoccare appena verso l'alto l'età dell'obbligo scolastico.
Io invece avevo sostenuto, e continuo a sostenere, ben altro, e cioè: obbligo scolastico (da spendersi nel sistema dell'istruzione) fino a diciotto anni; riforma della formazione professionale in modo tale che questa, pur differenziandosi, si intrecci in maniera simbiotica con la stessa scuola secondaria superiore; costruzione di un sistema integrato dell'E.D.A. (Educazione Degli Adulti).
Più in là spiegherò il disegno in maniera più esplicita, e insieme le ragioni del mio dissenso rispetto al progetto del Ministro Moratti, pur nella versione edulcorata del programma dell'Unione.
Prima però vorrei occuparmi di un altro aspetto non secondario del programma dell'Unione su una questione strettamente intrecciata con la scuola. Si tratta dello "spoils system". Come è noto infatti la legge Frattini è stata applicata esclusivamente nella scuola, ove "per ragioni politiche", come esplicitamente e candidamente ha dichiarato il Ministro Moratti, sono stati sollevati dalla loro carica alcuni dirigenti generali (tredici per la precisione) che la stessa Moratti non apprezzava "politicamente". Sostenevo e sostengo la necessità di abolire la legge Frattini, grave vulnus nel sistema dell'impiego pubblico italiano. Lo spoils system statunitense è ben altra cosa e ha una tradizione di oltre duecento anni. Intanto riguarda personale molto limitato di numero e si tratta di sistema rigidamente regolamentato: alcune importanti cariche amministrative sono di nomina politica (del Presidente e dei Governatori). Dunque chi viene assunto "politicamente" ha nel contratto di lavoro proprio la possibilità di essere sollevato da esso, una volta sopravvenuto il "cambio" politico. Soprattutto andrà a sostituire personale che, come nel suo caso, era stato assunto a termine e che ben conosceva tale termine. In sostanza il sistema americano prevede assunzioni di tipo fiduciario di poche quote di personale altamente qualificato che abbia uno stretto rapporto politico con chi lo nomina. Solitamente chi accetta l'incarico lo fa per spirito di servizio andando spesso incontro alla perdita (almeno temporanea) di remunerazioni ben più alte di quelle che gli offre l'amministrazione pubblica.
L'incongrua introduzione del sistema americano nel contesto amministrativo italiano, di vecchio impianto napoleonico, rischia di distruggere tutto il pubblico impiego italiano, sopprimendone la neutralità. Senza contare che l'Italia è un Paese - lo sappiamo bene - in cui eccessiva è la politicizzazione in quasi tutti i settori pubblici e privati: ormai perfino la dirigenza bancaria mostra di non essere immune dal morbo! La legge Frattini introduce una sorta di politicizzazione obbligata ed esplicita nella dirigenza generale dell'amministrazione pubblica. Evviva! Ci mancava solo questo! Sostenevo e sostengo che tale legge va abolita perché inquina gravemente il sistema dell'amministrazione pubblica, già di per sé sufficientemente inquinato sin dai tempi della prima repubblica. Sono ben lontane da me la attitudine del laudator temporis acti e l'ipocrisia del "tutto andava bene madama la marchesa": so bene che i partiti di allora cercavano, appena possibile, di inserire nei ministeri, nelle amministrazioni pubbliche in genere, dirigenti di stretta osservanza partitica, i quali ovviamente erano tenuti alla gratitudine - e a mostrarla quand'era richiesto - verso il partito, o la corrente di partito cui dovevano l'avanzamento di carriera. Per lo meno però allora il ceto politico, per effettuare il ricambio e inserire i propri protetti, doveva attendere che i posti si rendessero liberi, finché i dirigenti che li occupavano andavassero in pensione. Comunque anche il sistema che precedeva l'attuale spoils system aveva le sue pecche; perciò a mio avviso non basta abolire sic et simpliciter la legge Frattini - la quale comunque peggiora gravemente la situazione - ma sarebbe necessario anche studiare un sistema di formazione ad alto livello scientifico - e dunque politicamente del tutto neutro - per la dirigenza superiore della pubblica amministrazione, prendendo a modello l'ottimo sistema francese dell'E.N.A..
Ebbene, forse qualcosa mi sarà sfuggito nella lettura delle oltre duecentosettanta pagine del programma dell'Unione, ma non vi ho trovato il minimo accenno alla volontà di abolire la legge Frattini e il conseguente spoils system della dirigenza generale dello stato.
Nel programma si spendono molte parole sulla necessità di rendere sempre più efficiente la pubblica amministrazione, parole che sono pura ovvietà e luogo comune se non si affronta il punto cardine, cioè l'abolizione dello spoils system previsto dalla legge 142/2002, più nota appunto come "legge Frattini", e non si propone un valido sistema, rigorosamente neutrale, per la formazione e il reclutamento dell'alta dirigenza della pubblica amministrazione stessa. In caso contrario il rischio della politicizzazione obbligata, in un settore che dovrebbe promuovere efficienza ed imparzialità, probabilmente, come ho detto, porterà allo sfascio completo il sistema pubblico del nostro sistema pubblico.
Una semplice dimenticanza quella del programma dell'Unione? Sarebbe grave; ma non tanto grave se, come temo invece, si trattasse di una scelta scientemente operata e che nascondesse la volontà del centrosinistra di utilizzare pro domo sua la legge Frattini, una volta riconquistato il potere. Restando in vigore la legge consentirebbe anche al nuovo eventuale governo di centrosinistra di cacciare via i dirigenti generali della P.A. poco graditi, e di mettere gente propria al loro posto. Se questo fosse l'arrière pensée, anche il centrosinistra privilegerebbe a sua volta i meriti politici sulle capacità dirigenziali, accettuando le descritte conseguenze di degrado. Il Presidente Prodi giustamente ha messo al centro della propria campagna elettorale da leader della coalizione il principio che un futuro governo da lui guidato opererà "per il bene dell'Italia" mettendo al bando non solo interessi di parte ma anche voglia di vendetta che allignasse in qualche animuccia di sinistra, povera culturalmente.
In questo caso il programma dell'Unione contraddice il valido orientamento generale del suo leader. Senza contare, poi, che l'appropriazione di una legge ingiusta come la 142/2002 da parte della sinistra non sarebbe solo un grave errore politico, ma rischierebbe di diventare un boomerang; la magistratura ordinaria, cui i dirigenti superiori scolastici "defenestrati" hanno fatto ricorso, ha ritenuto il dubbio di incostituzionalità di quella stessa legge legittimo e quindi necessario il ricorso alla Consulta. Ciò è ben comprensibile: sono stati allontanati dirigenti che non avevano un contratto di lavoro a scadenza, contrariamente ai loro colleghi americani.
Del resto, in punta di diritto, il prof. Sabino Cassese, noto amministrativista che oggi proprio della Consulta fa parte, precedentemente al suo nuovo incarico aveva illustrato il proprio punto di vista, sostenendo appunto il contrasto della 142/2002 con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Se dunque un possibile futuro diverso governo di centrosinistra accogliesse la legge Frattini e, ancor peggio, la applicasse, potrebbe con grave disdoro e vergogna vedersela abolita dalla Corte Costituzionale.

Ma veniamo al punto centrale del programma dell'Unione sulla scuola: all'atteggiamento cioè del nostro schieramento politico sulla riforma Moratti relativa alla scuola secondaria superiore.
Nel precedente articolo dello scorso ottobre riportavo la seguente affermazione di Gaetano Cuozzo: "La riforma scolastica attuata dal governo Berlusconi non ha come obbiettivo la formazione di tutti e la «promozione» dei talenti migliori, ma, al contrario, quello di discriminare e imporre ai nostri ragazzi una scelta precoce fra due sistemi: i licei e la formazione professionale, in cui, come avveniva ai tempi delle scuole di avviamento, sarà il censo a fare la differenza". Non ho citato allora, e ricitato oggi, perché ritenessi peregrina questa dichiarazione. Mi sembrava e sembra che il suo autore avesse soprattutto il grande merito di esprimere con chiarezza sintetica un pensiero critico sulla riforma Moratti che tutto il centrosinistra, in tutti i suoi reparti - dai più moderati ai più radicali - era andato esprimendo nel lungo periodo di opposizione, non appena fu esplicito il disegno morattiano di riforma.
Questo giudizio del centrosinistra all'opposizione contrasta però del tutto con il suo programma di governo, dato che questo accoglie ora ciò che era sempre stato rifiutato. Intendo la stessa riforma Moratti, sostenendo con quella che l'"obbligo di formazione fino ai diciotto anni" può essere svolto in più modi, sia nella scuola secondaria superiore, sia nella formazione professionale, sia ancora - persino! - con l'apprendistato.
Un principio fondamentale del socialismo riformista, cui esso non può rinunziare, pena un completo snaturamento, consiste nell'abolizione di ogni forma di discriminazione, tanto più per ragioni di censo, e nella decisa volontà di offrire a tutti i cittadini - a partire dalla culla e dalla scuola - le stesse opportunità. La riforma Moratti, a mio avviso, ma un tempo a parere di tutta la sinistra, contraddice gravemente questo principio e quindi deve essere respinta in toto.
Dunque non resta che tentare di delineare un possibile progetto scuola - degno di un governo di centrosinistra, progetto ovviamente tutto da precisare nei dettagli, ma ora così sintetizzabile: riqualificare al più alto grado sia l'istruzione che la formazione professionale, sviluppandole entrambe in maniera simbiotica, ma mantenendone le funzioni separate, non intercambiabili.
Dunque:
1) istruzione per tutti nel sistema scuola fino al diciottesimo anno di età;
2) riqualificazione della formazione professionale regionale, rendendola atta ad essere ristrutturata nella direzione di due obbiettivi: in primo luogo in corsi agili e brevi - ma ricorrenti a livelli sempre più alti - rivolti non solo ai lavoratori che abbiano bisogno di approfondire o riconvertire professionalità, ma anche agli studenti delle scuole secondarie superiori che dovranno far precedere e/o seguire periodi di stage in azienda (dei quali bisogna studiare forme di obbligatorietà periodica) con corsi professionali pomeridiani ad hoc. La scelta da parte dello Stato di spendere adeguatamente in questa direzione, coinvolgendo in tale curricolo i giovanissimi e i giovani durante il lungo periodo scolare della secondaria superiore, servirebbe ad avvicinare sempre di più istruzione, formazione professionale e lavoro; necessità cardine della nostra società, se si vorrà abbassare l'attuale allungamento dell'adolescenza e tagliare i tempi, oggi eccessivi, dell'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, con l'obbiettivo fondamentale di far diminuire la stessa precarietà del lavoro giovanile.
Il secondo tipo di formazione professionale potrebbe consistere negli attuali istituti professionali "di Stato", la cui gestione potrebbe utilmente essere affidata alle Regioni (applicando così finalmente gli artt. 117 e 118 della Costituzione), le quali però dovrebbero avvalersi della collaborazione dello Stato stesso, che fu l'istitutore e il gestore pluridecennale di quegli istituti. Nel quadro di questa collaborazione istituzionale fra Stato e Regioni non solo si potrà evitare, ad esempio, che in una Regione si possa sostituire all'Istituto professionale alberghiero - oggi strutturato in maniera organica con materie, stages e programmi che in Europa si giudicano di alta formazione - con generici corsi di cucina. Starei per dire di "bassa cucina", pensando soprattutto a come potrebbe essere reclutato dalla Regione il personale docente di tali corsi.
Al fine di attuare una collaborazione simbiotica fra istruzione e formazione professionale sarebbe opportuno istituire permanentemente la Conferenza Stato-Regioni, con scadenze, ad esempio, triennali. Suo compito sarebbe non solo definire di volta in volta i molteplici rapporti fra i due grandi settori della formazione, bensì risolvere anche le problematiche relative al diritto allo studio che riguardano appunto entrambe le istituzioni, nonché per definire sinergicamente quel 15 o 20% di programmi che la legge Moratti affida alle Regioni stesse. Questa parte della riforma attuale potrebbe rimanere in vigore, in un quadro di accordo fra Stato e Regioni che consenta di evitare scelte incongrue e non ben coordinate. Per evitare, ad esempio, l'ipotetica scelta che gli studenti lombardi siano costretti allo studio, poniamo, della "grammatica camuna", piuttosto che all'approfondimento dellla grammatica latina o quella della lingue moderne. Non scordiamoci di una tale tesi, tempo addietro ma non tanto tempo, ventilata da esponenti della Lega Nord. Questo mio è un solo esempio per spiegarmi meglio: sia chiaro che non temo affatto una simile scelta da parte della Giunta regionale lombarda. Il Presidente Formigoni è certo un avversario politico, ma gli vanno riconosciute doti di intelligenza e capacità amministrative; inoltre, nel quadro di un centrodestra sempre più estremista e fazioso, egli si è costantemente mostrato uomo di moderazione. Ma certo altrove, da giunte regionali di destra o di sinistra che siano, ci si potrebbero aspettare parecchie scelte similmente incongrue.
E' giusto lasciare alle Regioni la scelta di quella parte di programmi che la legge riconosce loro, ma tale autonomia va operata in seguito ad un ricco confronto con lo Stato, cogestore maggiore della istruzione pubblica. Ecco proprio la Conferenza permanente (triennale?) Stato-Regioni potrebbe benissimo essere la sede adatta a quel necessario confronto.
A questo punto è ben immaginabile l'obiezione che sarà rivolta: è del tutto utopistico puntare sull'obbligo scolastico a diciotto anni. Tante sarebbero le famiglie che hanno bisogno che i figli vadano al lavoro a quindici o a sedici anni. Si potrebbe rispondere che non è ormai più questa la tendenza prevalente a livello sociale, neppure nei ceti popolari. Ma si deve riconoscere che l'obiezione ha un suo valido fondamento: naturalmente si deve consentire alle famiglie la scelta lavorativa per gli adolescenti di quindici o sedici anni. In fondo si tratta della stessa obiezione che la Moratti avanzava nei confronti del centrosinistra, quando quest'ultimo si batteva per l'obbligo scolastico ai diciotto anni, e tale obiezione aveva conquistato allora parecchi consensi al Ministro quando annunciò la sua riforma.
Proprio per questo è indispensabile che il centrosinistra dia prova di inventiva e lungimiranza straordinarie, dato che ci troviamo in una situazione straordinariamente difficile per un Paese che deve risalire la china.
Al fine di programmare con la necessaria creatività e rigorosità un serio progetto per la scuola secondaria superiore bisogna preventivamente ricordarci che in tutti questi anni di opposizione il centrosinistra al completo ha giudicato la deriva economica dell'Italia, dipendente in gran parte dal mancato investimento in ricerca e formazione. Alla sicurezza con cui la sinistra ha formulato questo giudizio si deve aggiungere la coscienza, ormai acclarata da parte degli esperti appartenenti a tutte le parti politiche, della gravità di un degrado culturale presente nelle ultime generazioni che non solo non consente di affrontare adeguatamente gli studi superiori (si parla di un 85% degli studenti universitari non in grado di comprendere i testi, in italiano!), ma anche con una preparazione inadeguata per un lavoro sempre più professionalizzato e raffinato, ove know-how e capacità critiche sono sempre più richieste. Senza dubbio un valido sapere di base e alte capacità professionali sono il vero patrimonio - il "capitale", potremmo dire - del lavoratore oggi. Certamente rimarranno in vita lavori di tipo esecutivo che non dovranno né potranno tutti essere affidati a extracomunitari, ma un buon bagaglio culturale e professionale potrà aprire un futuro diverso anche al giovane lavoratore impegnato oggi in settori puramente esecutivi.
A mio parere le ragioni del degrado culturale e della inadeguatezza di cui si discorreva non possono, però, essere tutti attribuiti alla Moratti, anche se ella, con i suoi esperti, grandemente vi ha contribuito, in primo luogo con la grave sottovalutazione del valore di una istruzione di base solida e rigorosa.
La colpa è in non piccola parte anche di una neopedagogia sciuè-sciuè che ha privilegiato nell'ultimo decennio la cosiddetta "formazione individualizzata", perdendo e facendoci perdere la coscienza che scuola vuol anche dire "routine": essa è appunto, oltre che "educazione", anche "formazione routinière", collettiva e consolidata, costruita con programmi di spessore. La stessa neopedagogia ha privilegiato, per la formazione degli insegnanti, il cosiddetto "insegnare ad insegnare" dimenticando che la capacità didattica va sovrapposta a una preparazione solida e rigorosa dei contenuti epistemologici della materia che si insegna: preparazione certo non sufficiente per essere un bravo insegnante, ma certamente necessaria, necessarissima come irrinunciabile base.
Partendo proprio dalla coscienza della utilità per lo Stato di investire senza lesinare in ricerca, formazione, riqualificazione degli studi universitari per i futuri docenti, non dovrebbe essere difficile, a mio parere, conciliare l'obbligo scolastico a diciotto anni e la possibilità di entrare a quindici o sedici anni nel mondo del lavoro: basterebbe investire adeguatamente nell'E.D.A., l'"educazione degli adulti", meglio nota in Europa con il nome più efficace di "educazione permanente", rendendola intanto sistema organico. Esso va considerato composto dai corsi di alfabetizzazione, dai corsi pomeridiani di licenzia media (le vecchie "150 ore") e dei corsi di scuola secondaria superiore serale, questi ultimi presenti diffusamente sul territorio nazionale ma relegati a un ruolo sostanzialmente ancillare.
Un giovanissimo lavoratore di quindici o sedici anni (preferirei che venisse posto un vincolo di sedici) potrebbe benissimo ottemperare all'obbligo scolastico fino a diciotto anni lavorando e frequentando la scuola serale. Bisognerebbe investire, quindi, nell'E.D.A., rendendo - come dicevo - organico il sistema e consentendo, all'interno dei distretti, la possibilità in un dato territorio della scelta più ampia fra i vari tipi di scuola secondaria superiore. Naturalmente va ricalibrata la legge, facendo sì che possano accedere alle scuole serali tutti i lavoratori studenti anche se inferiori ai diciotto anni.
La soluzione appare semplice, ma va detto che non basterebbe investire in una scelta simile soltanto quattrini, ma - e ciò è forse più difficile - anche pensiero, cultura, impegno politico, creatività. I sindacati dei lavoratori (e quelli degli imprenditori) dovrebbero, di fronte a una scelta politica di tal fatta, ritrovare l'entusiasmo creativo della stagione, ormai lontana (si era a metà degli anni Settanta) quando si impegnarono con ricchezza di risultati, anche didattici, nelle cosiddette "centocinquanta ore". Infatti, per far uscire l'Italia dall'attuale degrado culturale che influisce grandemente anche sulla defaillance economica, servirebbe lo stesso impegno di allora da parte dei settori più vivi e responsabili del Paese, intendo il mondo del lavoro e quello della produzione.
Consideriamo, comunque, anche i costi di una simile possibile scelta. Già in passato rilevai che la forte tendenza dell'aumento degli alunni verso i licei tradizionali, classico e scientifico, a scapito dell'istruzione tecnica, è dipesa in massima parte dall'incongrua licealizzazione, per ora soltanto nominale, di tutta la scuola secondaria superiore. Le famiglie avrebbero ragionato così: liceo per liceo, meglio frequentare un liceo "vero". Sarebbe interessante calcolare quanto è venuta a costare in denaro pubblico questa scelta di pura immagine operata dal Ministro, a causa dei molti docenti soprannumerari e sottoutilizzati dell'istruzione tecnica e delle classi in più nei licei tradizionali.
Ebbene, basta tener presente che aprire una nuova classe costa allo Stato circa cinquantamila euro. Allora risparmiare su questi giochini di pura immagine consentirebbe di investire più proficuamente nell'educazione permanente al fine di innalzare a diciotto anni l'obbligo scolastico.
Va comunque per onestà riconosciuto che la fuga verso i licei tradizionali è talmente di massa che non può essere attribuita solamente agli errori - che pure ci sono stati - del ministero Moratti. Forse in qualche misura tale fuga si deve anche a un oscuro sentimento presente nel preconscio degli utenti, famiglie e studenti, esprimente un bisogno diffuso di basi culturali più ricche e più solide.
E' necessario investire in formazione e ricerca, come predica da anni il centrosinistra; ma, più in generale, è necessario fermare in tutti i campi, anche al di fuori della scuola, il degrado culturale che scuote il Paese e che ne accompagna il declino economico. Tale declino parte certamente dalla scuola. Si costruisca allora una riforma della scuola, basata su programmi di alto spessore più che su di una riorganizzazione sistemica. Ogni importante riforma della scuola - a partire da quella Gentile - è stata una riforma di programmi. La riforma di Bottai, di cui nessuno più parla, fu una semplice riorganizzazione sistemica. E' questa la ragione per la quale suggerirei di riprendere in mano l'importante "progetto Brocca", studiandone attentamente la lunga sperimentazione su di esso svolta.
Il degrado culturale parte dalla scuola ma ad essa non si ferma. Ed io credo che il suo maggiore simbolo stia nel declassamento europeo della lingua italiana. La dolce lingua del Petrarca, che ha insegnato all'Europa il linguaggio delle muse e del mondo classico (non esiste una letteratura europea che non abbia avuto nel Cinquecento un'importante corrente di poesia petrarchesca), è stata tolta dal novero delle lingue ufficiali della U.E., senza che il nostro governo abbia sentito il bisogno di difenderla, né strenuamente, né blandamente. Tale poco amore dell'esecutivo per la nostra lingua nazionale non mi meraviglia punto: fra le ingenuità anglofile della Moratti c'è il disegno esplicitato di far sì che una materia curricolare dell'ultimo anno della scuola secondaria superiore italiana debba tenersi utilizzando la lingua inglese come lingua veicolare! A parte l'autodeclassamento culturale per la nostra lingua operato da questa scelta, vorrei chiedere al Ministro Moratti: come troveremo docenti in grado di insegnare in lingua inglese matematica, o greco, o latino, o filosofia, o elettronica, o economia politica?
Mi meraviglia invece non trovare nel ponderoso volume del programma dell'Unione nessuna indicazione sulla necessità di una difesa e di un rilancio della lingua italiana, e sulla strategia da adottare all'uopo nella U.E.. Sarebbe ad esempio tattica utile raccordarsi con gli spagnoli: anche la lingua di Cervantes, lingua fra le più parlate nel mondo, terza per diffusione dopo l'inglese e il cinese, è stata anch'essa assurdamente discriminata.
Una organica lotta a lungo termine in vari campi contro il degrado culturale dovrebbe essere messa in atto da un nuovo governo di centrosinistra, comprendendo che proprio la grande tradizione culturale italiana è la più grande ricchezza a nostra disposizione. Essa sta alla base di ogni sviluppo economico, passato, recente e, sperabilmente, futuro.

P.S.: Prima di andare in stampa Romano Prodi ha dichiarato che fra le cosiddette riforme del centrodestra che l'Unione si propone, andando al governo, di modificare radicalmente, c'è anche la Riforma Moratti. Evviva! Il mio articolo dunque può costituire un contributo utile per definire la direzione da seguire per la "riforma della riforma" della scuola. Spero poi che quanto scrivo possa anche influire sull'abolizione della legge Frattini.

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