L'ULIVO E I RISCHI DELLA LISTA UNICA
31 agosto 2004
Ad arricchire il dibattito tra i pro e i contro della lista unica, pubblichiamo l'articolo di Massimo Salvadori apparso su Repubblica il 4 Novembre 2003. "La proposta avanzata da Prodi di presentare con una lista unica i partiti dell’Ulivo alle elezioni europee del 2004 è diventato uno degli argomenti centrali del dibattito politico. Nel merito sono intervenute su questo giornale voci autorevoli come quelle di Alfredo Reichlin, che si è espresso a favore, e di Luciano Gallino, il quale ha invece avanzato considerazioni critiche. È chiaro che quella di Prodi non è una proposta riducibile ad una questione di semplice efficacia elettorale, ma un passo che, se compiuto, aprirebbe un processo dalle molte implicazioni, che si proietterebbero sull’avvenire dell’Ulivo, delle attuali forze di opposizione e dell’intera politica nazionale. Non a caso coloro che la sostengono con maggior determinazione la considerano l’inizio di una riorganizzazione destinata a dare all’Ulivo una più salda unità, nella convinzione che il nuovo “soggetto” sarebbe in grado di ottenere un più vasto e sicuro consenso. L’esigenza di conferire all’Ulivo maggiore unità, stanti i ricorrenti contrasti al suo interno, è indubbiamente giusta. Senonché la parola unità nasconde molte ambiguità. E' facile da invocare, ma difficile da realizzare. Unità di quale tipo? Tutti i nodi da sciogliere stanno nelle diverse risposte all’interrogativo. L’unità mi pare si presenti con tre significati: l’unità programmatica tra partiti che si alleano mantenendo la propria piena autonomia; l’unità che dà vita ad una federazione; l’unità che culmina in un partito nuovo, ora chiamato “riformista”. I fautori del secondo tipo di unità si dividono in due correnti: l’una che intende fermarsi alla federazione e l’altra che considera quest’ultima come l’anticamera del partito riformista. Il dibattito sembra restare in una fase assai preliminare per le difficoltà disseminate sul cammino. Il pericolo palese è che si ripeta uno scenario già visto anzitutto all’interno del maggiore partito della sinistra, il quale nel giro di pochi anni è passato dal pci al pds e al Ds, ha discusso e ridiscusso dei suoi rapporti ideali e politici con la socialdemocrazia, il progressismo democratico, il socialismo liberale; della propria natura di partito “socialdemocratico”, “democratico”, “riformista”; di varianti di nuove “terze vie”; dell’Internazionale socialista come casa comune e dell’Internazionale socialista da trasformarsi in Internazionale democratica. Tutto questo dopo un lancio di linee dall’alto e senza approdare a nulla di stabile. Una considerazione preliminare viene a questo punto da sé. Qualunque sia la strategia che i Ds, la Margherita, l’Ulivo si apprestano a darsi, non si compia l’errore di mantenerla nel chiuso dei circoli dei politici di professione e dei parlamentari. A questi spetta l’iniziativa, la proposta; è inevitabile. Ma poi la si confronti con le basi dei partiti, con l’opinione pubblica. Un referendum tra gli iscritti come quello proposto da Fassino per i Ds può essere una misura efficace, a patto che si ponga a conclusione di un dibattito non confinato alle sfere alte, ma sceso alla base (l’ultima parola è nelle mani degli elettori). Delle tre formule dell’unità, a prima vista la più appetibile —in base all’argomento: se ci sono contrasti, riduciamo i soggetti dei contrasti stessi — appare quella della formazione di un nuovo “partito riformista”. Ma perché essa abbia un fondamento solido occorre che sia vera la tesi di Enrico Morando, leader della destra Ds, secondo cui il gran corpo degli elettori dei Ds, della Margherita e dello Sdi è ormai socialmente e culturalmente identico (ovvero — aggiungo — i Ds come apparente partito di sinistra sono in effetti “appiattiti” sulla Margherita, che è un partito di centro). Una simile tesi è tutta da verificare in profondità. Chi scrive, il quale pensa che le cose non stiano così, teme che la costituzione di un partito unico politicamente e ideologicamente sbilanciato sul centro avrebbe l’esito di far confluire elettori Ds verso i Comunisti italiani e anche Rifondazione, di ingrossare l’assenteismo a sinistra, di provocare prima o poi una scissione all’interno di quello che è attualmente il maggiore partito della sinistra. Quanto alla trasformazione dell’Ulivo in una federazione di partiti, essa richiede la soluzione di un problema della massima importanza. Una federazione che non mascheri una confederazione, per funzionare richiede la costituzione di un gruppo dirigente che non resti la sintesi di frazioni di gruppi dirigenti dei vari partiti; sicché la sua naturale logica di sviluppo; è di portare al partito unico. L’unità come alleanza di partiti presenta l’indubbio svantaggio di presentarsi come la formula che ha portato nel 2001 alla sconfitta. Ma —prima questione — se le divisioni — che, piaccia o non piaccia, corrispondono a persistenti diverse identità — ci sono, si può pensare di superarle in maniera sostanziale ed efficace mediante uno spostamento dei confini partitici interni alla coalizione? Quali conseguenze avrebbe — seconda questione — affidare la prevalente rappresentanza di quanti continuano a credere nella necessità di una sinistra di ispirazione socialista a Rifondazione e ai Comunisti italiani? Non si vede il rischio assai forte — terza questione — che una linea diretta all’accorpamento del centro e della destra dei Ds con la Margherita abbia il contemporaneo effetto da un lato di creare un vuoto in chi crede nel ruolo di una sinistra socialdemocratica e dall’altro di mantenere e persino accrescere ulteriormente le divisioni all’interno di quella alleanza di partiti che — non si perda di vista questo aspetto — resterà in ogni caso il soggetto principale preposto a misurarsi con la coalizione avversaria alle elezioni? Certo i propositi di pervenire ad una maggiore unità hanno il più serio dei fondamenti, ma gli ostacoli si possono superare unicamente restando aderenti alle realtà di fatto che li generano. Essi vanno abbattuti cercando le possibili intese, male “accelerazioni” possono provocare conseguenze assai indesiderate. Marciare verso la lista unica e dopo questa verso il partito riformista ha propriamente senso, ripeto, se sono vere le due ipotesi avanzate dalla destra Ds, le quali si tengono per mano, che la socialdemocrazia debba essere considerata come un mero residuo storico e che la grande maggioranza degli elettori dei Ds, della Margherita e dello Sdi siano ormai una cosa sola, per cui è tempo di far cadere i vecchi involucri così da far sorgere il partito riformista del futuro. Per avere le necessarie risposte, bisogna affidarle non tanto ai sondaggi, agli articoli degli opinionisti e alle interviste rilasciate dai leader di partito, quanto piuttosto agli iscritti dei partiti, ai quali spetta, dunque, non già di dire semplicemente un sì o un no su una scheda nel corso di un referendum, ma di esprimere le proprie idee e di scegliere tra modelli di culture politiche e relative proposte programmatiche. Insomma, quel che si vuol dire è che bisogna guardarsi dal mettere il carro avanti ai buoi, perché, in ultima analisi, sono sempre i buoi a tirare il carro, anche in campo elettorale".
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