LUCIANO CAFAGNA, IL SOCIALISTA POSSIBILE di Alberto Benzoni del 8 febbraio 2012

12 febbraio 2012

LUCIANO CAFAGNA, IL SOCIALISTA POSSIBILE di Alberto Benzoni del 8 febbraio 2012


Ricordo Luciano Cafagna, la sua presenza attenta e spesso silenziosa alle riunioni di Mondoperaio e, soprattutto, di Ragioni del Socialismo.
Spesso bisognava sollecitarlo perché parlasse; e i suoi interventi, mai scontati, erano quasi sempre problematici; manifestazione di preoccupazioni o di interrogativi più che enunciazione di direttive o espressione di certezze.
Non era la cautela del politico che dice e non dice sino a coprire quello che dice con le ambiguità di rito, era piuttosto la naturale angoscia di chi, a partire dai suoi convincimenti profondi, deve costantemente misurarsi con il “principio di realtà”.
In questo senso, l’orizzonte del nostro compagno è rimasto costante nel tempo e si può riassumere nel titolo del libro con il quale Antonio Giolitti esprimeva la sue scommessa politico-culturale nella seconda metà degli anni cinquanta, all’indomani dalla sua fuoruscita dal Pci: “Riforme e rivoluzione”. Un testo, in cui si delineava il profilo di un socialismo possibile, che doveva molto al contributo intellettuale di Cafagna che tra l’altro era stato, assieme a Pietro Melograni, l’estensore della “lettera dei centouno”, una sorta di manifesto (anche se inizialmente previsto per un uso interno) che avrebbe accompagnato il progressivo distacco di molti intellettuali comunisti dal partito in occasione della rivoluzione ungherese del 1956 e del relativo intervento sovietico.
“Socialismo possibile”, una formula come tutte quelle in cui un sostantivo è accompagnato da un aggettivo, in cui il secondo tende progressivamente ad assorbire il primo sino a cancellarlo. Non così nel caso di Cafagna. Per il giovane studioso marxista degli anni cinquanta, così come per l’osservatore attento e appassionato dei decenni successivi, il socialismo rimane un punto fermo; salvo ad intensificarsi sempre più strettamente con le esperienze e i valori della socialdemocrazia del XX secolo ma, proprio in questa prospettiva va combattuta una battaglia senza quartiere contro il “socialismo parolaio”, anzi contro ogni tipo di radicalismo estremista che, sacrificando la realtà ad una sua rappresentazione fantastica, è immancabilmente fonte di disastri.
Per Luciano, una vera e propria scelta di campo; che ne condizionerà scelte e giudizi lungo tutto l’arco della sua storia personale e pubblica: “servitore della collettività” (prima al “commissariato al piano” con Giolitti e poi con Pieraccini; poi a Bruxelles, sempre con Giolitti, infine, e per ben sette anni, alla Commissione antitrust), professore d’università, storico e saggista di grandissima qualità.
Così Cafagna starà (assieme a Giolitti) a fianco del Lombardi riformista dei primi anni sessanta, ma non lo seguirà nei suoi disegni di “rottura anticapitalista” del decennio successivo con il conseguente progetto di alternativa di sistema. Così non avrà alcuna simpatia con quanti vivono gli anni settanta all’insegna della rivoluzione prossima ventura, mentre saprà vedere la potenzialità revisionista del messaggio craxiano senza chiudere gli occhi rispetto ai limiti dell’operazione politica avviata da leader milanese. Così guarderà all’esperienza dell’unificazione italiana schierandosi esplicitamente a fianco del “radicalismo possibile” (quello di Cavour, cui dedicherà una splendida biografia) e contro i fautori di una rivoluzione impossibile. Così, infine, condannerà sin dal principio il progetto della seconda repubblica, a partire dalla pretesa di imprigionare in una logica di bipolarismo rigido un Paese la cui crescita politica e civile era stata segnata da successive mediazioni.
Oggi, avremmo ancora un grande bisogno di lui; come spirito libero e come fonte inesauribile di vitalità intellettuale e di simpatia umana. Uno dei tanti socialisti senza tessera e, soprattutto, uno de tanti amici che hanno accompagnato il nostro cammino e che saranno con noi anche in futuro.

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