LORO RESISTERANNO E NOI? - di Antonio Polito da "Il Riformista" dell'8 luglio 2005
12 luglio 2005
L'11 settembre di quattro anni fa ero un cittadino di Londra. Per essere un cittadino di Londra non ci vuole molto. Basta vivere a Londra. Non è che bisogna andare in circoscrizione a comunicare il cambio di residenza, o produrre documenti o mostrare la ricevuta della tassa sull'immondizia. Si può essere cittadino di Londra con qualsiasi passaporto. Metà della popolazione di Londra non è inglese. Nell'asilo dove andava mia figlia le coppie di genitori entrambi inglesi erano due su ventisette. A Londra si parlano - non è uno scherzo - trecento lingue. Londra è una città-stato, nata in un'ansa del Tamigi e cresciuta intorno alla City. Il fisco è più generoso a Londra. Il diritto d'asilo è più generoso a Londra. Generazioni di evasori fiscali e di perseguitati politici hanno trovato riparo a Londra. Negli ospedali di Londra le vittime degli attentati di ieri sono state ricucite da dottori pakistani, curate da infermiere giamaicane, trasportate da portantini nigeriani. A Londra predicano imam più radicali che a Lahore, passeggiano donne islamiche più velate che a Kabul, si prega in moschee alla cui soglia si lasciano scarpe e telefonino. Londra è la Casa della Libertà. Quella vera.
Dall'11 settembre di quattro anni fa tutti i cittadini di Londra sapevano che sarebbe successo. Era prima dell'Afghanistan, prima dell'Iraq: attenti alla cronologia, la guerra era già cominciata allora. Già da allora tutti i cittadini di Londra sapevano che sarebbe toccato anche a loro. Mentre andavano in onda le immagini delle Due Torri di New York aspettavo davanti a una scuola di Camden Town l'uscita dei bambini, insieme con decine di altri padri e madri. Ognuno di loro aveva un parente, un amico o un conoscente a New York, molti dei quali lavoravano a Wall Street o nel World Trade Center. Le vittime inglesi furono più di ottanta. L'11 settembre fu già londinese. Leggo sulle agenzie italiane che c'è «panico a Londra». Ma quale panico? Tutto avviene con movenze lente e misurate, Bbc e Sky trasmettono a telecamera fissa, si vedono solo le strisce gialle della polizia che chiudono le strade e le divise arancione degli uomini delle emergenze, i feriti parlano a testa e voce bassa, non espongono il loro sangue, tutto era stato già studiato e programmato nelle simulazioni, la polizia ha taciuto per ore perché cercava la «bomba sporca», quella radioattiva. Il dubbio non era sul «se», ma sul «quando» avrebbero colpito. E quando il quando è arrivato, la reazione è stata così composta che, forse, ha perfino contenuto il bilancio delle vittime cercato da una tale potenza d'assalto.
Quando ero cittadino di Londra vivevo proprio sopra la stazione del Tube di Baker Street, la più antica del mondo, snodo di cinque linee di metropolitana. Se prendevo un treno westbound, verso occidente, la prima fermata era Edgware Road, la seconda Paddington. Se andavo eastbound, la seconda fermata era Euston, la terza King's Cross, altre quattro ed era Liverpool Street, un'altra ancora ed era Aldgate. Sono tutte le stazioni coinvolte nell'omicidio di massa di ieri. I miei due migliori amici abitavano dalla parti di Russel Square, proprio di fronte al British Museum, dove è saltato il tetto di un autobus a due piani. Quando sei stato cittadino di Londra, resti cittadino di Londra. Vale per le migliaia di giovani avvocati, broker, studenti della London School of Economics, tossicodipendenti, malati di Aids, in tutto centoquindicimila italiani emigrati a Londra per cercare soldi, conoscenza, lavoro, padronanza della lingua, un servizio sanitario universale o i benefici di un welfare di generosità incomparabile con quello italiano, nonostante la Thatcher e Blair. Assassinare cittadini di Londra è esattamente come assassinare cittadini di Roma, Milano, New Delhi o Timbuctu. Londra è la capitale del mondo libero, più globale e cosmopolita di New York, più europea di Madrid.
Per quello che so dei cittadini di Londra, non reagiranno né come i pompieri di New York, né come i socialisti di Madrid. Non urleranno «go get them» a Bush e non reclameranno il ritiro da Zapatero. Loro resisteranno. Sanno farlo. Sono già stati bombardati, dalla Luftwaffe e dalle V2, sanno che cos'è un «blitz». Never surrender, si diranno, anche se può costare «blood, sweat and tears», sangue sudore e lacrime. Pregheranno il loro Dio, il loro Allah, il loro Buddah, e resisteranno. Si faranno una birra, andranno in discoteca sabato sera, riprenderanno a far soldi nella City lunedì mattina, e resisteranno. Quelli che dicono «i valori occidentali», stiano attenti. Tra quei valori convivono religiosità ed edonismo, senso della comunità e aspirazione alla libertà individuale, chiesa e mercato. Se c'è un posto del mondo dove questo è chiaro, quello è Londra. Per questo ci è così cara.
I londinesi, dunque, resisteranno. Resisteremo noi? Resisterà Chirac, resisterà Berlusconi, resisterà Prodi? Oggi è facile dire: siamo tutti londinesi. Lo dicemmo anche dei newyorkesi, e anche dei madrileni, eppure gli uni e gli altri reagirono in modi opposti. La vera domanda è: pensiamo che questa sia una guerra solo per chi ha deciso di fare la guerra? Pensiamo che il terrorismo islamista sia una forma, per quanto esasperata e particolarmente pericolosa, del solito terrorismo, un nichilismo come un altro, che come viene va, un'Ira o un'Eta solo più toste e barbare? Oppure pensiamo che il nuovo terrorismo è un esercito, con una fede e un'ideologia, con i suoi corpi speciali e le sue salmerie, e che noi - tutti noi, Europa e America, Occidente - siamo il nemico? Se la risposta è sì alla prima domanda, allora basterà dire che «oggi siamo tutti londinesi». Se la risposta è sì alla seconda domanda, bisognerà invece aggiungere che «oggi siamo tutti blairiani».