L'ORA DI GIORGIA di Claudio Martelli
23 dicembre 2016
Che si tratti di scosse di assestamento o delle avvisaglie di frane più grandi il terremoto referendario continua ad agire. Per ora tra i partiti e nei partiti s’intravvedono piuttosto che ricomposizioni, ulteriori faglie e pericolanti alleanze. Giustamente il presidente Mattarella, appena varato un nuovo governo, ha frenato la corsa a immediate elezioni reclamando priorità alle emergenze dei terremotati, del sistema bancario e del varo della legge elettorale. La probabilità che presto vengano convocati i referendum promossi dalla Cgil (e dalla minoranza bersaniana) sul Jobs Act e i voucher dilania il Pd. Il partito che detiene la maggioranza parlamentare rischia di passare da pilastro della stabilità a epicentro dell’instabilità di una fase politica che la vigilia elettorale rende confusa e conflittuale. Le mezze dimissioni di Renzi – dal governo, ma non dalla guida del Pd che del governo è artefice ed arbitro – contribuiscono non poco all’incertezza. Lo stesso impegno di Renzi a rivendicare puntigliosamente i meriti, che pur ci sono, del suo governo dedicandogli un libro provoca, per contrappasso, bilanci di tutt’altro tenore.
LA PIÙ AMBIZIOSA delle riforme, quella della Costituzione, è stata azzerata dal popolo sovrano e quelle del mercato del lavoro rischiano o una sorte analoga o di essere annacquate proprio per evitare analogo azzeramento per via referendaria. La riforma Madia della pubblica amministrazione è contestata dalla Consulta. La Buona scuola è scomparsa dai radar insieme con la vecchia ministra dell’Istruzione, mentre la nuova non sembra titolata a rilanciarla. Dunque, fondare il rilancio del Pd e della leadership renziana su quel che resta del bulimico attivismo del governo passato sembra più un riflesso meccanico che una scommessa vincente. L’esperienza di Berlusconi – e di altri ex capi di governo – dimostra la vanità di simili tentativi. Rivendicare un passato controverso e già trafitto dagli elettori non è il miglior viatico per vincere il futuro.
SERVONO semmai idee nuove, un nuovo linguaggio e una nuova squadra di governo. Soprattutto servirebbe un Renzi diverso che, facendo tesoro di successi e insuccessi, dimostrasse di aver imparato la lezione, anziché pretendere di darcene un’altra. Resta la pochezza degli avversari. Per la prima volta, a giudicare dai sondaggi, lo spettacolo di inettitudine della sindaca Raggi e dei suoi accoliti, ma anche la litigiosità endemica del Movimento grillino, interrogano la fiducia degli elettori. Quanto al centrodestra, i condizionamenti che la sorte di Mediaset esercita su Berlusconi e l’opposta fatale attrazione di Salvini per il populismo gemello e rivale di Grillo, rischiano di dividere, mortificando un potenziale elettorale pari a quello degli altri due poli. Forse, a destra, è giunta l’ora che Giorgia Meloni, sollevandosi dalla palude romanesca, dia ali a un’ambizione più grande, unitaria e nazionale, fresca e femminile. L’usato non è più sicuro e nel mondo è tempo di sorprese.
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