L'OPERAIO BUGLIO E IL “NEMICO” BIAGI - da Il Riformista del 17 marzo 2006
23 marzo 2006
«Marco Biagi è stato un uomo coraggioso. Soprattutto perché ha messo le mani dove altri hanno sempre avuto paura di metterle. La sua riforma andava nella direzione giusta. Lo faccia dire a me che questi temi li conosco per averli provati sulla mia pelle e non certo perché li ho letti sui libri di scuola». In calce a queste parole dette al Riformista c'è la firma di Salvatore Buglio.
Proprio lui, l'operaio che nel 1996 passò dalla mobilità in cui si trovava dopo il fallimento dell'impresa in cui lavorava a un seggio in Parlamento conquistato con le insegne dei Ds che - tiene a precisare - «mi diedero un collegio tutt'altro che sicuro. Eppure vinsi, sconfiggendo una signora di Forza Italia che faceva l'industriale». Oggi Buglio sarà candidato con la Rosa nel pugno ma spiega: «Non è che difendo la legge Biagi perché sono passato in una nuova casa. Io queste posizioni le ho sostenute sempre. E per questo, in molte occasioni, sono stato guardato con sospetto da quelli che pensavano che fossi un operaio-macchietta di quelli che avrebbero ripetuto dalla mattina alla sera che Berlusconi è il male assoluto e cose del genere». Un riformista, Buglio, lo è da sempre. Le sue idee sul mercato del lavoro sono dettate dalla convinzione, più che dalla vocazione. Spiega Buglio: «Biagi aveva intuito che bisogna preparare le persone non al lavoro, ma ai lavori. Io sono convinto, e non da oggi, che gli ammortizzatori sociali “passivi” vadano aboliti. Prendiamo la mobilità. Ma la conosce la frustrazione di un operaio in mobilità? Lo sa quanti miei colleghi lo nascondevano addirittura alla mogli e la mattina uscivano di casa per andare al parco del Valentino fingendo di andare a lavorare? Lo sa di quanto aumentavano le vendite di tranquillanti e antidepressivi presso gli operai in cassa integrazione?».
Parla con il cuore in mano Salvatore Buglio. Lo si capisce quando afferma senza esitazioni che «le riforme sul mercato del lavoro devono sempre essere legate alla formazione. Sugli ammortizzatori sono stato in disaccordo non solo con i sindacati ma anche con quella parte della Confindustria che li sosteneva. Sulla mobilità lunga, condivido la posizione di Maroni. Il problema non è il lavoro atipico ma studiare le garanzie, i sostegni, il paracadute. Sbaglia Epifani quando sostiene che esiste solo il lavoro a tempo indeterminato».
Passano gli anni, eppure la figura di Marco Biagi continua a dividere gli animi. Osserva Buglio: «C'è anche chi pare vergognarsi di chiamarla legge Biagi. Secondo me, alcuni la chiamano “legge 30” quasi come se avessero qualche rimorso. In questo dibattito, purtroppo, la sinistra conserva molte rendite di posizione». E ancora: «Pare quasi che ci siano sensi di colpa. Non mi riferisco nella maniera più assoluta alle tragiche circostanze in cui Biagi ha trovato la morte, ci mancherebbe. Però il giuslavorista, e con lui personalità come Ichino, sono stati a lungo demonizzati da gran parte della sinistra». Buglio difende quest'ultimo asserto e ne rintraccia possibili cause. «La verità è che del fatto che Biagi fosse un uomo di sinistra, che addirittura si era candidato con il centrosinistra alle comunali di Bologna non gliene frega niente a nessuno. In molti non gli hanno perdonato di aver collaborato con il governo Berlusconi. Lo stesso trattamento che riservarono a Pezzotta quando la Cisl firmo il Patto per l'Italia. Lo trattarono come un traditore solo perché aveva fatto al meglio il suo lavoro di sindacalista».
Eppure, nei Ds, anche Buglio coltivò i suoi sogni. «Ricordo la coraggiosa riforma del lavoro del governo di D'Alema. Un'idea geniale. Peccato che ci fermammo di fronte al niet della Cgil di Cofferati». Per l'operaio siciliano emigrato a Torino e arrivato a Montecitorio, il percorso tracciato da Biagi va proseguito. Anche perché, aggiunge, «rappresenta un incentivo a far emergere il sommerso. Penso a me, ai tanti anni in cui ho lavorato in Sicilia senza maturare nemmeno un centesimo di contributi». L'operaio continua la sua energica campagna elettorale con la Rosa. «Non è vero che sto con Pannella per cancellare la chiesa e i sindacati, come alcuni mi dicono. Sono arrivato in un luogo in cui mi sento di poter esprimere al meglio le mie idee di sempre». Quelle della Rosa nel pugno, quelle dell'agenda Giavazzi. Proprio ieri quest'ultimo ha invitato i futuri ministri della Rosa a far ricorso alle «terapie d'urto». All'appello Salvatore Buglio, operaio prestato alla politica, ha già risposto «presente».