Lo stato della Costituente Socialista. LIBERTA', MERITO, EQUITA' PER UN PARTITO NUOVO - di Lanfranco Turci per le Ragioni del Socialismo 24 settembre 2007
10 ottobre 2007
Pur in mezzo all’indifferenza e al boicottaggio dei media e a un diffuso senso di incredulità e di scetticismo, la Costituente socialista lanciata il 14 luglio ha iniziato il suo cammino. Un cammino temerario per la sproporzione davvero incredibile fra l’ambizione del progetto politico e la debolezza delle forze al momento disponibili. Da un lato abbiamo la “cosa rossa”, un’iniziativa dal potenziale elettorale non trascurabile qualunque forma possa assumere, anche se dovesse restare un continuum indistinto e contraddittorio dai no global alla Fiom, da Rifondazione a Mussi. Dall’altro abbiamo l’enorme battage pubblicitario del PD. Al loro confronto la Costituente socialista sembra una fragile barchetta, a rischio di essere schiacciata ogni momento fra un battello vecchiotto, un po’ tarlato ma ancora imponente e un moderno transatlantico pieno di luci meravigliose, come il Rex ammirato dalla spiaggia sognante della Rimini di Fellini. Se la nostra barca non riuscirà a uscir fuori rapidamente da questa tenaglia, non solo non sarà visibile ma correrà il rischio di affondare. Penso tuttavia che possiamo farcela. Proviamo a considerare le forze in campo. Abbiamo cominciato il 14 luglio con gli spezzoni della diaspora socialista, fra i quali il più forte e diffuso territorialmente è senz’altro lo Sdi. Per questo si è riconosciuto da parte di tutti allo Sdi e a Boselli un ruolo di particolare responsabilità in questa fase costituente. Allo Sdi, ai Socialisti Italiani di Zavettieri e Bobo Craxi, alla parte del Nuovo Psi di De Michelis e Del Bue, si sono aggiunte personalità socialiste come Formica e il suo movimento “Socialismo è Libertà”, personalità provenienti dai DS come Roberto Barbieri o dal mondo democratico liberale come Cinzia Dato. Fra i soggetti costituenti va in particolare ricordata l’Associazione Per la Rosa nel Pugno, con l’insieme di circoli e gruppi che si sono ritrovati nei Convegni di Montecatini, Bertinoro e Chianciano, provenienti in gran parte dall’esperienza elettorale della Rosa nel Pugno e dal tentativo non riuscito di trasformarla in una forza politica unitaria radicalsocialista. Un pulviscolo di soggetti variamente organizzati, con provenienze socialiste, diessine, liberali e radicali, che dall’esperienza non inutile della Rosa nel Pugno ha riscoperto la lezione e l’attualità della cultura liberalsocialista, con cui si connota all’interno della Costituente. L’arrivo in questi giorni, sulla base dell’appello rivolto da Boselli, Angius e Spini a Sinistra Democratica, di un gruppo di compagni autorevoli come gli stessi Angius, Spini e Grillini ha allargato ulteriormente le fonti di alimentazione della Costituente e ne ha arricchito il pluralismo di esperienze e sensibilità politiche, riducendo il rischio che possa essere percepita come un semplice tentativo di ricomposizione della diaspora socialista. Se consideriamo infine l’interesse dichiarato di altre aree radicali, liberali e repubblicane che, pur trattenute dalla scelta per noi discriminante del PSE, guardano tuttavia con simpatia al nostro progetto e pensano se non all’adesione, quanto meno a possibili alleanze e patti federativi, cominciamo a cogliere il quadro potenziale delle culture politiche di riferimento della Costituente. È un quadro, se guardato con la lente di ingrandimento, di indubbio interesse. Ma è appunto ancora un ricco e variegato…microcosmo. Sono infatti ancora troppo ristrette le forze organizzate dietro le diverse componenti della Costituente. Quelle un po’ più organizzate dello Sdi e degli altri piccoli partiti della diaspora sono presenti nel paese a macchia di leopardo, spesso con radicamento legato più a fattori di governo locale che a una tensione e una progettualità politico nazionale. Bisogna riconoscere che è stato un merito non da poco, in particolare da parte dello Sdi, aver conservato in tutti questi anni una presenza socialista autonoma direttamente partecipe del PSE. Ma si è trattato soprattutto di una esperienza di resistenza, prima all’ondata del giustizialismo pre e post tangentopoli, poi alla spinta semplificatrice del bipolarismo e alle manovre di assorbimento della Cosa 1 e 2. Nella seconda Repubblica le forze socialiste organizzate si sono abituate più a sopravvivere che a essere protagonisti politici. Sono andati quasi perduti i rapporti con gran parte della ricca intellighenzia socialista degli anni 80, i militanti sono invecchiati, i quadri si sono invischiati in tantissime beghe di potere locale, spesso dedicandosi più alla battaglia interna che a quella esterna. Si sono quasi rinsecchiti anche i rapporti con quelle che una volta chiamavamo le “organizzazioni di massa”, un po’ per la loro trasformazione e autonomizzazione, spesso in chiave corporativa, un po’ per la pressione Pci-Pds-Ds. Resta un rapporto un po’ più aperto con la Uil. D’altro lato le componenti che arrivano per vie diverse e con storie diverse dai Ds non portano al momento parti significative di quella eredità in termini di forza organizzata. L’esperienza emblematica di Sinistra Democratica, a parte gli sforzi meritori di Angius e di altri compagni, conferma il peso della ultima tradizione comunista e berlingueriana, in una sostanziale estraneità alla cultura socialista. Chi di noi viene dalla tradizione migliorista sa bene, come sanno Macaluso e Morando anche quando discutono fra di loro se lo sbocco più appropriato sia l’opzione socialista o quella del PD, che comunque nel PCI siamo sempre stati una componente minoritaria, progressivamente tagliata fuori dalle leve del comando e dal consenso organizzato della base del partito, man mano che esplicitavamo la nostra scelta socialdemocratica e liberal. Dunque bisogna costruire in gran parte da capo consenso e organizzazione. Abbiamo deciso di raccogliere ex novo le adesione al nuovo soggetto socialista con le iscrizioni direttamente indirizzate al centro del partito. Questa scelta comporta il rischio di perdere qualche area di iscritti non attivi, ma può favorire l’accesso di socialisti più irrequieti e innovatori, può sollecitare il protagonismo di compagne che già si stanno attivando. Può soprattutto attrarre quelle aree giovanili colte di cui abbiamo visto molti segni nelle iniziative e nei blog di questo anno di incubazione della Costituente. Queste nuove aree, non condizionate dalla prassi politica tradizionale, a volte ingenuamente emozionate anche dal movimentiamo qualunquista di Grillo o da quello neoconservatore di Capezzone, possono tuttavia aprire canali di comunicazione con mondi lontani dalla politica corrente, in quanto posseggono il linguaggio culturale e tecnologico capace di valicare muri che ai politici di tradizione possono apparire insuperabili. Questa è una delle direzioni principali in cui dovremo indirizzare i nostri sforzi. Penso inoltre che un canale al momento ancora sommerso, ma che potrebbe acquisire più forza in futuro, possa essere quello con le componenti laiche della Margherita e le componenti riformiste dei Ds. Se la nostra analisi sui limiti del PD, sulla mancanza di un netto profilo e riformista, sulla sua debole cultura laica e liberale, sulla sua vocazione tendenzialmente dorotea ha fondamento, c’è da aspettarsi che si aprano anche a tempi brevi situazioni di crisi e di malessere alle quali potremmo offrire lo sbocco necessario. Le mozioni di minoranza al Congresso DS con il loro richiamo al socialismo europeo hanno ingenerato l’equivoco che l’opzione socialista potesse trovare un terreno più fertile nelle componenti di sinistra di quel partito, ma in verità, salvo le importanti eccezioni già ricordate, è nella parte dei DS che aveva imboccato più nettamente la strada riformista, senza avere la capacità di tradurla in una moderna e coerente scelta socialista, che si deve provocare l’operazione verità. Io sono sempre affascinato dalle analisi e dalle proposte di Michele Salvati. Il suo recente programma per la rivoluzione liberale – salvo l’ingiustificabile rimozione della parola socialismo, per quello che è oggi il socialismo europeo (forse conseguenza di una sorta di damnatio nominis) – è in grandissima parte condivisibile, anche se piena di una certa leggerezza di toni sui temi dei diritti civili. Ma è sicuro Salvati che il transatlantico Rex trasporti una rivoluzione liberale, e non invece una pax dorotea peraltro incompatibile con gli umori profondi e tempestosi che agitano il nostro corpo sociale? Se fosse così, noi potremmo essere la via di uscita, l’uscita di sicurezza per tanta sinistra riformista che ora si accasa nel P.D. Qui viene a proposito la domanda sul progetto socialista che proponeva Luigi Covatta su il Riformista del 10 settembre u.s.; “se cioè lo sforzo, sicuramente apprezzabile, di superare la diaspora e di aprirsi a significativi contributi di gruppi estranei alla storia del PSI, ha comunque come orizzonte l’unità dei riformisti, o se invece mira a lucrare una ennesima rendita di posizione”. Nella prima ipotesi dovrebbero essere i socialisti “a lanciare nei confronti del P.D. un’Opa ostile, alla quale potrebbero aderire anche quanti dubitano che basti il bagno di folla delle primarie per emendare i vizi di origine del progetto”. In questo modo i socialisti potrebbero “costruire in Italia una forza di sinistra riformista a vocazione maggioritaria”. E’ chiaro che condivido la proposta di Covatta. Parlando di sproporzione fra le forze disponibili e l’ambizione del progetto, pensavo proprio a una sfida di questo tipo al P.D. Quando si parla comunemente, e l’ho fatto io stesso all’inizio di questo articolo, del progetto socialista collocato fra l’area della sinistra massimalista e il P.D., si possono determinare pericolose confusioni. Quasi fossimo alla ricerca di uno spazio intermedio un po’ più a sinistra del P.D. e un po’ più a destra della “cosa rossa”. A chi potrebbe interessare una tale ricerca di nicchie di mercato politico, da ragionieri del 2%? Insieme al parametro destra-sinistra, bisogna misurarsi anche su quello conservazione – innovazione. Vorrei proprio vedere, se noi fossimo in grado di tradurre in politica una coerente posizione liberalsocialista, come si svilupperebbe il rapporto di collaborazione-competizione con il P.D.! Proviamo a pensare alla riforma della pubblica amministrazione in chiave di efficienza e di meritocrazia. Proviamo a pensare a come ravvicinare la responsabilità di spesa e quella del prelievo fiscale con un federalismo equilibrato. Proviamo a ripensare la scuola e l’università in chiave di opportunità e di merito. Proviamo a combattere davvero il precariato (cosa che l’accordo sul Welfare non fa) non solo con gli ammortizzatori sociali, ma con la proposta di un contratto unico a tempo indeterminato per tutti i lavoratori subordinati, a costo di rimettere in discussione per i nuovi assunti alcune protezioni del lavoro, compresa una parte dell’art. 18. Vorrei davvero vedere di fronte a sfide come queste, o ad altre quali la riforma della giustizia e la riduzione del peso delle rendite politico istituzionali, corporative e monopolistiche, dove si collocherebbe il baricentro del Partito Democratico! Se non emergerebbe una tentazione conservatrice che lo avvicinerebbe ben più di noi alle posizioni della “cosa rossa”. I temi che ho citato sono molto cari alla cultura liberal diffusa negli ambienti intellettuali del nostro Paese. Ma, guardando attentamente, si possono rintracciare anche sotto la crosta plebea e qualunquista della protesta dei grillanti. Luca Ricolfi invocava qualche mese fa su La Stampa la nascita di un partito del merito di cui ancora non c’è traccia in Italia. Credo se ne possa far carico un moderno partito socialista che sappia abbinare giustizia sociale e merito. Libertà, equità e merito potrebbero essere proprio la terna di valori capaci di dare l’idea del progetto politico che vogliamo costruire. Questa mi pare anche l’evoluzione seguita in Europa dai partiti socialisti più innovatori. La libertà, intesa non solo nella sua dimensione politica, ma anche in quella civile e culturale di una società che si misura con le sfide inedite della rivoluzione biologica, della secolarizzazione dei costumi e della convivenza ravvicinata di fedi e culture diverse. L’equità, come giustizia sociale che si declina prima di tutto in offerta di opportunità e costruzione di reti di tutela di ultima istanza per tutti i cittadini Il merito, come riconoscimento delle capacità personali, dello sforzo individuale e della volontà di assumersi rischi e responsabilità. In una società in cui l’individuo si vive sempre meno come membro di una classe, o come componente di un collettivo, ma come persona che chiede l’opportunità di realizzarsi e il riconoscimento dei risultati raggiunti, lasciare la bandiera del merito nelle mani della destra vorrebbe dire condannarsi a essere una minoranza passatista e ideologica. Libertà, equità e merito spostano certamente l’asse in confronto alla triade del glorioso ’89. Ma allora il punto di riferimento era il citoyien, poi è diventato il proletariato con il socialismo della lotta di classe e del cambiamento dei rapporti di produzione. Ora i valori socialisti non possono non assumere al loro centro l’individuo dentro le coordinate di un vivere sociale sostenibile e responsabile anche nel confronto degli ultimi. O la Costituente socialista saprà farsi carico di questo sforzo immane sul terreno organizzativo e della elaborazione politico culturale, o non ce la farà. Vale la pena di provarci davvero.
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