LISTE CIVICHE MON AMOUR di Walter Marossi del 11 gennaio 2011
19 gennaio 2011
Puntuale come la mattanza dei capponi a Natale si è aperto a sinistra il dibattito sulla lista civica. L’idea è originale: per superare le liste dei partiti ritenute poco gradite dagli elettori o per giustificare alleanze contraddittorie con le proposte nazionali, si presenta una lista dal simbolo anonimo ma con forti personalità. Ancor più originale l’idea di una lista del sindaco, che è qualcosa di più della lista civica perché fa ritenere che contenga in sé il meglio dello schieramento e che parte avvantaggiata dall’obbligo anche per le liste concorrenti nello stesso schieramento di fare campagna per quel nome, solitamente l’unico elemento caratterizzante del simbolo. La novità nelle grandi città (la civica è da sempre molto diffusa nei piccoli comuni dove a volte si faticava a trovare candidati), fu sperimentata per la prima volta in questo dopoguerra da due giovani promesse della politica tali Nenni Pietro e Togliatti Palmiro nelle elezioni amministrative di Roma e Napoli del 1952, quando si votava con una legge simile all’attuale. A Napoli Togliatti non presentò la lista con Falce e Martello ma un più accattivante Vesuvio (in pratica quello che propone Antoniazzi al PD) e favorì la presentazione della lista di Arturo Labriola candidato a sindaco in pectore (in pratica quello che propone Corritore al PD). A Roma un altro giovane Francesco Saverio Nitti doveva far dimenticare il Fronte popolare ma mantenere l’alleanza social – comunista sperando che gli elettori moderati non se ne accorgessero: la lista cittadina aveva come simbolo il Campidoglio. Merita ricordare lo slogan degli avversari: “Ti conosco mascherina, la lista cittadina è la lista sovietica”. A Roma vinse la DC con Umberto Tupini a Napoli Lauro. In tempi più recenti la lista civica, non più second hand dei partiti, di maggior successo fu quella per Trieste. Il melone (questo era il simbolo) cercherà di uscire dal locale sostenendo liste civiche sparse per l’Italia: a Milano sostenendo Bucalossi in una lista in cui si candidò anche Bossi (5 preferenze), per fare poi liste comuni con il PSI oscillando perennemente tra destra e sinistra e sciogliersi nel berlusconismo. Anche Milano ha una sua bella tradizione di liste civiche. La prima lista civica nel 1946 fu la Lista Madonnina 7,4% (la campagna era caratterizzata dall’ostilità verso gli sfollati arrivati in città), che competé con la Lista Esercenti 1,5%. Tralasciando gli anni dei partiti forti è con l’elezione diretta del sindaco che hanno il loro boom. Eccovene un sommario elenco anche se alcune rifiutano il termine lista civica: 1993: Lista Federalista 0,3%; Borghini Fiducia in Milano 3,7; Lista per Milano. Mani Pulite 1,4; Lista Tiziana Maiolo 0,8; Con le donne per ricostruire Milano 0,7; Lega Pensionati Lista per la Lombardia 0,6; Pensionati Lista Stroppa 0,5; Pensionati Lista Fatuzzo 0,4. 1997: Italia Federale Irene Pivetti 0,4%; Lavoratori Padani più soldi in busta paga meno allo Stato 0,3; Milano Italia fuori dalla menzogna 0,2; Non chiudiamo per tasse Artigianato Commercio Industria 0,2; Città Civile 0,2; Italia Unita 0,1; Patto per Milano 0,5; Pensioni e lavoro 0,3; Rinnovamento italiano per Milano 0,7; Feder Italia 0,3; Italia democratica Nando Dalla Chiesa 0,9; Lega d’azione meridionale 0,9; 2001: Miracolo a Milano 1,7%; Lista Civica Milly Moratti 1,1. 2006: Lista Ferrante 7,5%, Lista (Letizia) Moratti 5,1; Uniti con Dario Fo per Milano 2,1; Lista Giovani per Milano 0,2; La tua Milano 0,2; Vivere Milano 0,2; Questa è una Città 0,1; Codacons Lista Consumatori 0,1; Lista Sante Gaiardoni 0,1; No ICI 0,1; Pensionati e invalidi 0,1; Lista Scelli SOS Italia Ambientalisti 228 voti; Europa Federale 128 voti. Sommariamente mi pare di poter dire che: 1) le liste civiche che ottengono un numero di voti significativo sono quelle con il nome del candidato a sindaco. Il cittadino le vota perché le ritiene espressione del candidato che ha scelto e anche perché sono facilmente identificabili e riconoscibili. La lista civica del sindaco toglie significato oltre che spazio elettorale ad altre liste. 2) Per il candidato a sindaco avere il sostegno di più liste significa più aspiranti consiglieri e più mobilitazione. Tuttavia considerando che la maggior parte dei candidati fa fatica a ottenere il voto dei propri congiunti e che probabilmente questi elettori avrebbero votato comunque in quello schieramento forse l’operazione non è così vantaggiosa. La presentazione di una lista comporta infatti una estenuante fase preparatoria tutta rivolta verso all’interno dello schieramento e un alto costo umano ed economico necessario per veicolare la novità. Inoltre le liste civiche concorrono allo stesso bacino di voti degli altri partner della coalizione mentre non paiono incidere sull’astensione che infatti è in costante aumento e generano quindi una forte concorrenzialità nella coalizione che si esprime con il noto meccanismo “facciamo a chi la spara più grossa”. 3) Generalmente si ritiene che la qualità dei candidati delle liste civiche sia superiore a quella dei partiti ma le preferenze dicono che l’elettore non se ne accorge affatto anzi tra i “più” trombati delle liste civiche molti sono nomi di spicco, seri professionisti nel loro mondo mentre a prendere più preferenze sono professionisti della politica o ex qualchecosa. 4) I programmi elaborati da queste liste (rileggendoli quando possibile) sono ben fatti, ma difficilmente ne resta traccia vuoi perché durante le elezioni si bada alle preferenze vuoi perchè dopo le liste tendono a dividersi in tanti piccoli gruppi. 5) Contrariamente a quello che si crede le liste civiche non si limitano alla politica amministrativa. Periodicamente qualcuno propone di dare vita a un coordinamento nazionale delle liste civiche. L’ultimo tentativo con significativo successo stampa fu fatto da Alagna con Veltri, Beha e Pancho Pardi. Anche in Lombardia nel 2006 si discusse a lungo e ruvidamente se una lista civica al Senato non fosse utile all’Ulivo. 6) L’idea che i partiti debbano rinunciare a presentarsi per fare più spazio alle liste civiche deriva dalla convinzione che i partiti candidino ormai solo burocrati della politica. Certo sono lontani i tempi in cui i socialisti eleggevano Vittorini, Musatti, Scalfari and Co. Tuttavia vale la pena notare che mentre i partiti si danno almeno periodicamente una forma di verifica interna del consenso (congressi, primarie) magari solo formale, il metodo assembleare plebiscitario con cui in genere si approntano le liste civiche non è necessariamente migliore. 7) Guardando poi l’elenco delle liste civiche degli anni passati si nota che nessuna ha avuto continuità da un’elezione all’altra mentre diversi loro candidati sono passati da una lista all’altra con il dubbio che ci sia altrettanto personalismo nelle liste civiche che nei partiti. 8 ) Se in alcune città la lista civica è riuscita a trasformarsi in soggetto politico permanente nella più parte dei casi è un tram della politica: si sale si cerca di arrivare a destinazione, si scende si manda in rimessa fino al prossimo giro. Il candidato sindaco del centro sinistra forse farebbe bene a non occuparsi delle liste né per favorirle né per ostacolarle: tempo guadagnato, risorse risparmiate, tanto voti tra gli schieramenti non ne spostano.
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